E la Cina punta sul non profit

Tanti passi avanti sono stati compiuti negli ultimi 20 anni ma ancora di più ce ne sono da fare in futuro per individuare meglio le esigenze, perfezionando i servizi.

20/01/2013
Un'immagine della Croce Rossa cinese. La foto di copertina è dell'agenzia Reuters.
Un'immagine della Croce Rossa cinese. La foto di copertina è dell'agenzia Reuters.

Il settore non profit in Cina sta crescendo a ritmi vertiginosi. Se sarà un'opportunità di miglioramento dei servizi sociali e di protezione delle fasce della popolazione più vulnerabili o si trasformerà solo ed esclusivamente in un'opportunità per speculatori ed "esperti" di greenwashing, è ancora presto per dirlo. Intanto la Conference Board China Center for Economics and Business ha pubblicato in report dettagliato che analizza il trend del settore. E non mancano alcune sorprese. Di certo il Paese ha iniziato un profondo cambiamento da quando, alla fine degli anni Ottanta, ha iniziato ad aprirsi al mondo e nonostante siano ancora tante le battaglie da combattere per la difesa dei diritti civili, in particolare quelli legati alla libertà di espressione, molti passi avanti sono stati compiuti sganciandosi dalla rigida logica di uno Stato-apparato che si fa carico, nel bene e nel male, di tutto e tutti. E se da un lato è vero che anche l'attuale sistema politico e normativo cinese ostacolano la crescita del terzo settore, il numero delle organizzazioni non profit in Cina è più che raddoppiato negli ultimi dieci anni e con esse anche i livelli di donazioni.


Le aziende, in tal senso, sono la chiave di questo aumento delle "operazioni" caritatevoli ed è facile attendersi che nel prossimo futuro potranno giocare un ruolo decisivo nel consolidamento di una maggiore consapevolezza di sé, del proprio ruolo, da parte della società civile. Non è un mistero che la Cina sia ancora un Paese di forti contraddizioni dove il gap tra ricchezza e povertà è ancora altissimo e dove le disparità si manifestano in modo lampante nell'accesso ai servizi di ogni genere: la filantropia, dunque, è destinata a diventare non solo un imperativo sociale ma anche un'occasione per le imprese di impegnarsi, dar vita a dibattiti e "guidare" il cambiamento sociale del Paese.

Proprio l'attività filantropica, infatti, sta emergendo come vero e proprio strumento strategico e fonte di differenziazione per le aziende. Tanto più che il malcontento della gente serpeggia in modo sempre più rumoroso e incontrollabile: in generale, le aspettative dei cittadini cinesi per tutto ciò che concerne la qualità della vita e la garanzia dei diritti fondamentali sono mutate radicalmente negli ultimi venti anni in concomitanza con il cambiamento delle condizioni materiali, soprattutto nelle aree urbane.


Ruolo determinante, ovviamente, l'uso di Internet seppur con tutte le limitazioni del caso e i dubbi che ciclicamente che vengono avanzati sul rispetto della privacy dei cittadini: certo è che il fenomeno del microblogging ha contribuito ad alzare il livello modificando sostanzialmente la capacità della gente di impegnarsi in dibattiti pubblici.

Sempre attente agli umori della piazza, le aziende cinesi hanno immediatamente colto il disagio e l'insoddisfazione crescenti vendendosi "costrette" a rispondere in modo adeguato e concreto alle nuove esigenze dei cittadini. Se interpretati correttamente, i malumori dell'opinione pubblica possono diventare uno straordinario volàno di crescita per quelle imprese che non possono permettersi di vedere la loro immagine lesa gravemente  da comportamenti ritenuti comunemente inaccettabili. Condotte "inadeguate" che trovano nella Rete terreno fertile di contestazione fanno diminuire drasticamente il valore del marchio, peggiorano i rapporti con il Governo e incrinano la fiducia non solo degli utenti finali ma anche dei dipendenti. I donatori stranieri sono ancora decisamente sconcertati per la complessità e la scarsa trasparenza del settore non profit in Cina. 

D'altronde le norme che lo regolano sono nettamente differenti rispetto a quelle occidentali, fattore che scoraggia attività di charity da parte di imprese straniere. Di conseguenza, molte multinazionali portano avanti programmi filantropici che non danno un supporto effettivo a obiettivi strategici. Nel 2011, si legge nel rapporto, il numero di organizzazioni non profit regolarmente registrate che operano in Cina ha quasi toccato quota 500mila: in cinque anni, dal 2006 al 2011, il flusso di donazioni è passato da 1.6 bilioni di dollari a 15,2 bilioni di dollari.


Per fare un confronto, nel 2010, il totale mosso dalla beneficenza cinese è stato circa il 5% di quello degli Stati Uniti. Ma i margini di crescita ci sono e sono esponenziali e potranno essere gestiti al meglio quando le organizzazioni non profit nazionali avranno raggiunto una maggiore maturità in un contesto che deve necessariamente evolversi per agevolare forme di partenariato. Serve anche che nella cultura cinese si faccia largo l'idea che costruirsi una carriera improntata a svolgere attività senza scopo di lucro non sia più svilente di altre che hanno come unico obiettivo finale il denaro. 

D'altro canto, soprattutto per tutte quelle aziende straniere che si prevede apriranno le loro basi in Cina nei prossimi anni, è necessario che abbiano conoscenze approfondite dei meccanismi che regolano la società e l'economia cinese: scavalcarli o fare finta che non esistano nel tentativo di una occidentalizzazione a tutti i costi anche del settore non profit rischia, invece, di comprometterne l'affermazione. 

Alberto Picci
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