26/05/2012
“Rendiamo illegale la miseria”. Questa dura espressione
dell'Abbé Pierre è stata scelta come titolo dell'iniziativa per ricordarlo a
cinque anni dalla morte (22 gennaio 2007) e a cento dalla nascita (5 agosto
1912), che si è svolta a Roma, all'Auditorium Antonianum.
L'Abbé Pierre, per i più semplicemente “l'Abbé”,
all'anagrafe Henri Grouès (foto), è stato frate cappuccino, partigiano della
Resistenza francese e fondatore delle comunità Emmaus.
Si è battuto con forza contro la miseria e l’ingiustizia,
con quella che è stata definita “la collera dell'amore”, l'impossibilità cioè
di tacere e sopportare le ingiustizie.
Il cantautore Gianmaria Testa, intervenendo ieri sera, ha
detto di apprezzare dell'Abbè proprio “le sue sonore incazzature”.
“Piuttosto che gli uomini muoiano legalmente, preferisco che
vivano illegalmente” amava ripetere il fondatore di Emmaus e Renzo Fior,
presidente di Emmaus Italia, sottolinea come lo spirito delle Comunità sia
rimasto quello: “L'illegalità può diventare una scelta nonviolenta per poter
riaffermare in maniera pubblica la dignità delle persone: Gandhi ci ha educato
a disobbedire a leggi ingiuste che andavano contro la persona, ma era
altrettanto pronto a pagarne le conseguenze: carcere, bastonature, violenze”.
La disperazione di tante persone nasce dalla profonda
solitudine nella quale si trovano davanti ai problemi. “Bisogna riaffermare la
priorità della persona. E la persona non può essere lasciata sola” prosegue
Fior e così sul palco dell'Antonianum, salgono alcuni comunitari di Boves
(Cuneo), Villafranca (Verona) e Roma che testimoniano come siano rinati nelle
rispettive Comunità. Come abbiano ritrovato il senso della vita nel servizio
agli altri, uscendo dal tunnel dell'alcool o della dipendenza dai videopoker,
male moderno.
Avvenne così anche per Georges, il primo comunitario,
parricida, al quale l'Abbè Pierre non fece solo un'offerta di aiuto, ma una
richiesta concreta: “Aiutami a costruire case per i senza tetto”.
Non una realtà assistenziale, con assistenti e assistiti, ma
una comunità.
Così iniziò Emmaus, in una Francia indifferente, dove piano
piano le parole dell'Abbè Pierre iniziarono a colpire nel segno. Charlie
Chaplin fu uno dei primi benefattori (2 milioni di franchi) e disse: “Non li
regalo, li restituisco al vagabondo che sono stato e che ho incarnato”.
Oggi le comunità di Emmaus sono 350 in 35 Paesi del mondo e
15 sono quelle presenti nel nostro Paese.
In tanti sono venuti ad omaggiare l'Abbè Pierre e tra questi
Nicola Zingaretti, presidente della Provincia di Roma, che ha ricordato la
necessità di tornare all'intransigenza che aveva il fondatore di Emmaus: “Ci
dicono che non ci sono soldi, ma le risorse quando si vuole si trovano. Bisogna
solo riscrivere la gerarchia delle priorità e tornare alla funzione pura della
politica, ovvero pensare meno a sé stessi e di più agli altri. Chi ha di meno
ha più bisogno della comunità. Bisogna tornare ad essere intransigenti se si
vogliono salvare la politica e questo Paese”.
Don Luigi Ciotti (foto), fondatore di “Libera”, che definì l'Abbè
Pierre “un polmone di Dio”, ha catturato il pubblico con la sua voce tonante,
ricordando l'urgenza di rompere il silenzio, perché la denuncia è “annuncio di
salvezza”.
“Come ha testimoniato l'Abbè servono meno bacetti alla Madonna e più
testimonianza civile. Mancare l'appuntamento con l'altro è mancare
all'appuntamento con la vita”.
E questo era proprio il pensiero di fondo del fondatore di
Emmaus. Ciò che contava per lui prima di tutto era l’incontro con l’altro,
essere capace di riconoscerlo, di entrare in comunicazione con lui, di
riconoscerlo nella propria “pienezza” e anche di farlo esistere nella sua
dignità.
Non a caso l'accoglienza verso lo sconosciuto che bussa alla
porta si riassume per Emmaus nella frase: “Vieni, ti aspettavamo”.
Per approfondire, non rimane che leggere “Tutte le sfide
dell'Abbé Pierre” (di Denis Lefévre, Emi editore) che ci illumina sulla lunga
avventura umana dell'Abbé. Partigiano e poi deputato, carismatico promotore di
solidarietà nel rigido inverno del '54 e organizzatore di alloggi per i
senzatetto, presidente del Movimento federalista mondiale e difensore
dell'obiezione di coscienza al militare, sostenitore della lotta alla fame nel
mondo e figlio ante litteram della chiesa conciliare...
E poi la sua abilità nell'usare i mass media, la sua arte di intessere
relazioni, con gli ultimi come con i “grandi” di questo mondo.
Gabriele Salari