21/03/2011
Una sperimentazione nei comuni con più di 250 mila abitanti,
ma che può coprire anche altri 90 comuni fra medi e piccoli. Una gestione
affidata al terzo settore (gli “enti caritativi”), ma che può essere estesa
anche agli enti locali. Una card che raggiunga stranieri residenti e senza
dimora, ma che può interessare anche una fetta più ampia di famiglie povere
attualmente escluse.
Tutto è in mano al ministero del Lavoro e delle Politiche
sociali, che entro la fine di marzo deve emanare il decreto attuativo sulla
sperimentazione sulla carta acquisti (social card) inserita dal governo nel
testo del “Milleproroghe”, ormai convertito in legge. Ad evidenziare l’elevato
potere discrezionale del ministero è Ugo Trivellato, docente di Statistica
economica all'Università di Padova, che firma un breve documento –
pubblicato, insieme a quello firmato da Cristiano Gori, sul sito delle Acli, che fanno proprie e traducono in azione politica le riflessioni dei due esperti - nel quale
delinea un possibile scenario della sperimentazione sulla social card.
Il testo
di legge, ovviamente, definisce alcuni punti fermi, ma lascia ampi margini al
ministero nella definizione della misura. E su questi si concentra l’intervento
dello studioso. La social card sperimentale, afferma l’autore, deve essere
“diversa” rispetto a quella attuale: altrimenti cadrebbe la ragione stessa di
sperimentare. Anzitutto, i beneficiari: l’attuale social card è destinata a
famiglie povere con al loro interno un over 65 o un bambino sotto i 3 anni. Il
testo che prevede la sperimentazione non specifica nulla al riguardo: è
evidente che essa dovrà essere estesa almeno agli stranieri residenti e ai senza fissa dimora, ma nulla – secondo Trivellato - impedisce anche di allargare i criteri,
ad esempio abbassando da 65 a
60 anni il primo requisito e portando il secondo da 3 a 5 anni. Almeno un primo passo,
insomma, verso l’allargamento a tutte le famiglie povere. Dopo i beneficiari,
l’importo: l’attuale social dà 40 euro a tutti. Quella sperimentale, se il
ministero del Welfare lo volesse, potrebbe funzionare in modo diverso, ad
esempio dando una quota pari al 40 per cento della differenza fra il reddito effettivo
di una famiglia e la corrispondente soglia della povertà assoluta definita
dall’Istat (che tiene conto dell’effettivo costo della vita a livello
territoriale).
Ancora, il dove. Il testo approvato dal Parlamento prevede
che la sperimentazione abbia luogo nei Comuni con più di 250 mila abitanti, ma –
nota Trivellato – «non dice che non si può svolgere in comuni più piccoli», nei
quali peraltro vive la gran parte degli italiani. Dunque, secondo l’autore «la
sperimentazione deve essere condotta nelle grandi città e può – ed è bene che
sia - condotta anche in un campione ragionato di comuni medi e piccoli». La
proposta è dunque che il decreto del ministero del Welfare stabilisca la
sperimentazione negli 11 comuni italiani con più di 250 mila abitanti (valutando
l’opportunità di restringere a singoli quartieri o municipi degli stessi) e poi
su un campione ragionato di 90 comuni medi e piccoli, divisi fra Nord, Centro e Sud, e con gestione affidata o solo ad enti locali, o solo ai comuni, o a
comuni ed enti locali.
Ed eccoci al passo successivo: chi gestisce la
sperimentazione? Il testo di legge parla di un ruolo da affidare agli “enti caritativi”
(realtà del non profit, da definire meglio nel decreto), ma il modello basato
sui soli enti non profit può essere affiancato – secondo l’autore - anche da un
modello che poggi sui soli Comuni e su uno fondato sulla collaborazione fra
enti locali e enti non profit.
Tutta questa realtà porta ad una valutazione dei risultati
(fase a cui tutta la sperimentazione è indirizzata) che confronterà non solo
l’attuale social card con quella sperimentale, ma anche i diversi modelli con
cui si è sperimentata la nuova card, in modo da poter valutare i risultati e
poterli usare nel concreto per l’obiettivo finale, cui arrivare in un arco
temporale definito, di raggiungere tutte le famiglie in povertà assoluta. Per
effettuare al meglio tale valutazione, viene proposto l’inserimento,
nell’atteso decreto del ministero, dell’obbligo di un Rapporto annuale di
monitoraggio e valutazione redatto da una struttura dotata di risorse adeguate
per la raccolta dei dati, la costituzione di un Nucleo di supervisione al ministero,
l’istituzione di un organismo di consultazione e coordinamento fra comuni e non
profit, la creazione di una Cabina di regia con i rappresentanti di tutte le
strutture appena citate per l’adeguato raccordo e la valutazione comune dei
risultati. Risultati che, precisa l’autore, devono poter essere valutati – in
un’ottica di consenso globale - anche da altri analisti, ai quali dovrebbe
essere dato accesso completo alle informazioni raccolte.
RedattoreSociale.it