23/07/2012
Valeria Gemello, di Soleterre.
A vele spiegate contro i tumori. Killer spietato, ogni anno, nel mondo, il cancro colpisce più di 160 mila bambini, uccidendone circa 90 mila, dunque oltre la metà. Nei Paesi industrializzati, però, circa l'80% dei bambini affetti da tumore riesce a guarire. Questa percentuale, purtroppo, precipita al 20% o addirittura al 10% nei Paesi a basso indice di sviluppo socioeconomico dove l'informazione, la diagnosi precoce, l'accesso alle cure e ai trattamenti di supporto sono spesso problematici. Secondo l'Organizzazione mondiale della sanità, queste cifre sono destinate a salire ulteriormente nei prossimi anni, soprattutto nei Paesi che cercano di affrancarsi dalla povertà, dove i fondi destinati alla salute pubblica sono molto limitati.
Per queste ragioni, l'organizzazione non governantiva italiana Soleterre ha deciso di avviare un Programma internazionale per l'oncologia pediatrica (Piop) in diversi Paesi in via di sviluppo (Ucraina, Marocco, Costa d’Avorio, Repubblica democratica del Congo, India, El Salvador) per garantire sostegno psico-sociale e cure ai bambini affetti da tumore. L’iniziativa "Ambasciatori di speranza" è un’esperienza unica, fatta di onde, sole e barca a vela, ma anche di consapevolezza, autostima e socializzazione: una progetto realizzato con la collaborazione della
Fondazione Tender to Nave Italia Onlus e la Marina Militare italiana. Valeria Gemello, coordinatrice del progetto, ci racconta cosa succede a bordo del veliero Nave Italia su cui si sono imbarcati 15 ragazzi, italiani e stranieri.
Cosa imparano i ragazzi sulla nave?
«Le attivitá piú amate sono sicuramente la “salita a riva” (arrampicarsi sull’albero maestro), l’apertura delle vele e il bagno in alto mare. Tutte attivitá fuori dal normale per molti di noi, figuriamoci per dei ragazzi che provengono da Paesi a basso e medio reddito e da famiglie non certo abbienti. Inoltre, alle attivitá prettamente marinaresche, vengono associati giochi di gruppo ed esercizi volti alla conoscenza di altre culture, al potenziamento del lavoro in team e alla stima di sé. Ogni sera sulla Nave abbiamo lasciato spazio alle delegazioni provenienti da Italia, Marocco, Russia, Bielorussia, Ucraina e India per presentare il loro Paese, le loro tradizioni, culture e religioni. Un’esperienza davvero arricchente sia per i ragazzi che per l’equipaggio di Marina Militare».
«Un altro fattore importantissimo a bordo», prosegue Valerio Gemello, «é la condivisione con l’equipaggio dei lavori da svolgere a bordo. I ragazzi divisi in squadre devono collaborare nella preparazione dei pasti, la pulizia della Nave e la sua manutenzione. Se inizialmente qualcuno storce un pó il naso, poi il lavoro diventa un gioco, un modo per sentirsi parte di un team e integrarsi con i marinai. Dopo il secondo giorno di navigazione i ragazzi fanno a gare per candidarsi come aiutanti marinai».
Il viaggio è un “premio” o, piuttosto, fa parte del processo di guarigione?
«Il progetto ha come obiettivo di favorire l'incontro interculturale e
la condivisione con coetanei di altri Paesi che hanno vissuto la stessa
esperienza di malattia oncologiche e che hanno finalmente raggiunto la
remissione completa. Le conseguenze psico-emotive della malattia non
sono da sottovalutare: proprio lo scorso anno abbiamo ospitato un
ragazzo che, dopo essere guarito da un neuroblastoma, ha tentato il
suicidio a causa della depressione causata dai lunghi e dolorosi
trattamenti. Giá in passato Soleterre ha messo in evidenza, attraverso
uno studio compiuto presso il reparto di Kiev, che il 70% dei bambini e
ragazzi con patologie tumorali soffre di forme piú o meno gravi di
depressione. Il progetto, attraverso diverse attivitá di vela-terapia ha
come obiettivo quello di migliorare l’autostima e le capacitá di
socializzazione».
Cosa si portano a casa i ragazzi una volta rimessi i piedi sulla terraferma?
«Gli addii sono la parte piú difficile del viaggio. Una volta sbarcati e
dopo la settimana trascorsa in Sadegna, i ragazzi devono prima dire
addio alla Nave e ai marinai (oltre che allo staff della Fondazione
Tender to Nave Italia) e poi ai buggerai (i ragazzi da due anni sono
ospitati, dopo la navigazione, nel comune di Buggeru, in provincia di
Carbonia-Iglesias). Nel corso delle due settimane passate insieme si
creano relazioni molto forti e intense. Ogni anno é la stessa storia: i
primi due o tre giorni i ragazzi sono timidi e non comunicano tra di
loro. Poi, dopo gli esercizi per rompere il ghiaccio e le attivitá a
bordo, le barriere cadono. I ragazzi iniziano a socializzare tra di
loro, a parlare tra di loro in strani miscugli linguistici, non hanno
bisogno né di mediazionbe culturale né di traduzioni. I saluti sono
sempre bagnati da fiumi di lacrime, ma grazie ai moderni mezzi di
comunicazione i ragazzi riescono a mantenersi in contatto anche dopo il
viaggio. Inoltre, adulti come ragazzi si portano a casa il ricordo di
paesaggi stupendi, delfini che rincorrono la Nave, cartoline della
nostra migliore Italia».
Valeria Gemello, di Soleterre, con alcune ragazze protagoniste del progetto Ambasciatori di speranza.
Come reagiscono i ragazzi al ritorno nel loro Paese e, in che misura, l’esperienza condiziona la loro attività e il loro impegno con altri ragazzi malati e guariti?
«Il miglioramento della stima di sé, l’incontro con altri ragazzi di culture e Paesi diversi che hanno in comune l’essere guariti dal cancro, migliorano lo stato psico-emotivo dei ragazzi e li rendono pronti, un volta tornatai a casa, a diventare dei leader, dei ragazzi che non solo testimoniano con i loro splendidi sorrisi che di cancro si puó guarire e che si puó tornare a una vita normale, ma che possono lavorare attivamente in azioni per promuovere la difesa dei diritti dei bambini malati nei loro Paesi».
Quindi, obiettivo raggiunto?
«I risultati delle due precedenti edizioni parlano chiaro: tutti i ragazzi che sono venuti in Italia hanno aumentato, anche nel lungo periodo, la loro austima e sono diventati volontari sempre piú attivi nelle associazioni cui appartengono e che sono partner di Soleterre in questa iniziativa. Insomma, ci simo ormai resi conto che la vela-terapia é un’ottima scuola diplomatica per formare e motivare i nostri ambasciatori di speranza».
Alberto Picci