Rsa, un affare ma non per i pazienti

22/11/2012

La chiamano long term care ed è qualsiasi forma di cura fornita a persone non autosufficienti, lungo un periodo di tempo esteso, senza data di termine predefinita: in Italia ce n'è e ne ce sarà sempre più bisogno. Non servono studi e analisi per capire che il nostro è un Paese in cui il popolo degli over 80 aumenta, i casi di demenza e Alzheimer sono annunciati in crescita, le famiglie mononucleari sono sempre di più: se a questi trend aggiungiamo la progressiva evoluzione del sistema ospedaliero verso l'assistenza per i soli casi acuti è facilmente spiegato il problema, per non dire allarme, lanciato dall'indagine nazionale sulle residenze sanitarie assistenziale ad opera dell'Auser, l'associazione che forse più di ogni altra si batte da oltre 20 anni per favorire l'invecchiamento attivo, contrastando ogni forma di esclusione sociale, cercando di migliorare le condizioni di vita, diffondendo la cultura e la pratica della solidarietà e della partecipazione, il tutto puntando soprattutto sulla valorizzazione dell'esperienza, delle capacità e delle idee degli anziani stessi. L'offerta di servizi e strutture, in Italia, tanto nel pubblico quanto nel privato, non è adeguata alle proporzioni del fenomeno: uno degli ostacoli maggiori è non aver pensato finora a modelli replicabili che fossero anche economicamente sostenibili. Modelli che in altri Paesi europei funzionano a meraviglia con soddisfazione di tutti gli attori in campo. Tra gli esempi vincenti di questo modo lungimirante di affrontare l'invecchiamento di uno Stato c'è sicuramente il "sistema a rete", nell'ambito del quale le strutture residenziali di assistenza extra-ospedaliera e le altre strutture intermedia sono chiamate a svolgere una funzione di trait d'union tra ospedali e servizi già presenti sul territorio. Gli obiettivi sono evidenti: riduzione dei ricoveri ospedalieri impropri e continuità assistenziale anche quando il caso non è più tecnicamente catalogato come "acuto". Già, perché negli anziani il cui futuro è nelle Rsa c'è un prima ma ci deve anche essere un dopo. Dignitoso e professionale.

In Italia si è speso più tempo a parlare del problema che a cercare di risolverlo con il risultato che le cose non sono mai veramente cambiate e i servizi di assistenza a lungo termine sono ancora oggi ad appannaggio degli enti territoriali con tutti limiti del caso. I dati più recenti dipingono un quadro in cui i posti letto residenziali e semiresidenziali nel nostro Paese sono circa 240mila, meno della metà di quelli che l'apposita Commissione nazionale per la definizione e l'aggiornamento dei Lea indica come numero minimo, precisamente 496mila. Non se la passano meglio coloro che hanno bisogno di assistenza domiciliare integrata: la forbice tra i 527mila anziani "coperti" contro un fabbisogno di circa 870mila è troppo ampia. È qui che interviene e vede la propria sublimazione il concetto di sussidiarietà: ormai anche chi ci Governa sa che in un modo o nell'altro, alla fine, le famiglie italiane sono pronte a ogni sacrificio per garantire direttamente le cure e le prestazioni di cui un anziano ha bisogno o acquistando servizi sul mercato privato. C'è un ma: le risorse di queste famiglie sono allo stremo perché la politica non ha fatto i conti con la crisi che è arrivata forte, fortissima, facendo vacillare l'intero sistema. Succede così che anche le famiglie non ce la facciano più, siano costrette a gettare la spugna. Non si può essere in due luoghi diversi nello stesso momento, non si può lavorare per pagare un mutuo e mantenere gli studi dei figli e nello stesso momento prestare le cure che un anziano non più "caso acuto" ha bisogno. E i soldi comunque non bastano, a patto che siano davvero la risposta risolutiva del problema. Certo, c'è l'indennità di accompagnamento, di fatto la sola risposta pubblica a fronte della pressante richiesta di sostegno delle famiglia: il problema, semmai, è che "tale misura risulta praticamente separata dal sistema dei servizi reali, assicurato tramite la rete delle prestazioni sociali e socio-sanitarie locali". In Italia si stima la presenza di circa 4,1 milioni di cittadini non autosufficienti, 3,5 milioni dei quali sono anziani: con la popolazione invecchia e l'aspettativa di vita che si alza, secondo l'Istat nel 2060 gli ultraottantenni peseranno sulla popolazione complessiva per il 15,5%. Oggi siamo al 6%...

Gli ultimi rilevamenti in materia ci dicono che in Italia il 2% di ultra-sessantacinquenni sono ricoverati in strutture residenziali, l'1,8% in residenze sanitarie  assistenziali, il 3,6% godono del "lusso" dell'assistenza domiciliare integrata, la metà della media europea. Un altro dei problemi da affrontare è la disomogeneità della distribuzione dei servizi sul territorio nazionale: tanto per fare un esempio, la disponibilità dei posti letto in strutture residenziali è concentrata per più dell'80% nel Nord-Italia. Quelli a uso esclusivo degli anziani risultano essere 236 ogni 10mila abitanti residenti nella stessa zona al Nord, 76,3 al Centro, per crollare a 16,8 al Sud. "Le stime di lungo periodo mostrano uno scenario nazionale in cui la spesa pubblica per il long term care, in rapporto al pil, è destinata ad aumentare dall'1,8% del 2011 al 3,2% nel 2060. È la prima volta che qualcuno prende in esame su scala nazionale la realtà delle Rsa, cioè le strutture dedicate all'assistenza degli anziani non autosufficienti: l'Auser ha fatto così realizzato un servizio che è soprattutto un motivo si riflessione per la politica e gli amministratori. I motivi per sorridere sono davvero pochi quando le tariffe sono alte e in costante aumento, la comunicazione all'utenza è percepita come inadeguata, i dati sul personale impiegato sono nulli . Tra giugno 2007 e giugno 2012 le famiglie hanno visto lievitare il costo delle rette del 18,5% per quelle minime e del 12,8% per quelle massime. I rincari più sostanziosi spaziano tra la Campania e il Piemonte, la Lombardia e la Sicilia. Ovviamente non mancano i posti più prestigiosi dove le tariffe giornaliere superano con facilità i 100 euro. In altre parole, sulla teste delle famiglie incombe una spada di Damocle mensile che va dai 1.100 euro ai 1.400 euro per le strutture socio-sanitarie. Come confermato dal Terzo rapporto del Network non autosufficienza che "sulla base di una stima aggiornata al 2006 quantifica il costo medio mensile di una Rsa in 2.951 euro, sostenuto per 1.505 euro dalle Asl, per 1.375 euro dall'assistito e per 71 euro dai Comuni. Troppo alti i costi amministrativi, troppo antiquati i modelli aziendali verso cui sono migrate le Rsa. Ma non solo: la ripresa dell'inflazione, il desiderio di profitto degli enti gestori, la carenza di modelli organizzativi efficienti, la riduzione dell'impegno finanziario da parte delle Regioni. Curiosa l'analisi dell'Auser ricavata dallo studio di 113 bilanci finanziari di strutture residenziali: "Il settore risulta anticiclico rispetto all'andamento economico generale e ciò è testimoniato dalla continua crescita degli investimenti nel settore e dei fatturati dei principali operatori anche in periodi in cui la crisi finanziaria internazionale ha colpito la generalità delle attività economiche; gli utili di settore risultano in diversi casi cospicui; il mercato italiano è oggetto di penetrazione da parte di operatori esteri, prevalentemente francesi".

Alberto Picci
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