Soffre di Sla? L'assiste il rifugiato

I malati possono trovare personale qualificato; chi è scappato per motivi politici può trovare un lavoro. A Roma un corso di formazione voluto da Viva la vita e Centro Astalli.

02/04/2011

Stranieri con lo status di rifugiato impegnati nell’assistenza domiciliare ai malati di Sla italiani. E’ quanto succede a Roma con l’organizzazione di un corso di formazione specifico che cerca di gettare un ponte fra due realtà sociali assai rilevanti: da un lato la difficoltà di trovare personale qualificato per l’assistenza domiciliare dei malati di Sclerosi laterale amiotrofica (Sla), dall’altro l’altrettanto grande difficoltà di trovare lavoro da parte di persone che in Italia abbiano ottenuto lo status di rifugiato o la protezione per motivi umanitari.


Organizzato dall’associazione Viva la vita onlus, impegnato nella cura dei malati di Sla, con la collaborazione del Centro Astalli, il servizio dei Gesuiti per i rifugiati, il corso mira a dare ad alcuni rifugiati quella solida formazione professionale necessaria per diventare assistenti domiciliari con specializzazione specifica per l’assistenza a malati di Sla. E, in futuro, a trovare un lavoro proprio in questo ambito. Cinque persone (un pachistano, due eritrei, un somalo e un camerunense) hanno frequentato un primo ciclo di lezioni teoriche, e hanno iniziato un tirocinio presso famiglie e strutture residenziali. «Sono state selezionate le persone con attitudine per il lavoro di cura a persone malate o che volevano seguire questo tipo di percorso formativo», spiega Emanuela Limiti, del Centro Astalli . Nei loro Paesi di origine due di loro erano infermieri e uno lavorava come tecnico ospedaliero. Si tratta dunque di persone che hanno una certa familiarità con la malattia e le cure, ma del gruppo fanno parte anche un giornalista e un raccoglitore di frutta. 

Dopo la selezione è partita la fase delle lezioni teoriche, 36 ore per inquadrare la malattia, il tipo di assistenza di cui necessita e le attrezzature di cui i malati hanno bisogno. Da pochi giorni sono stati avviati anche i tirocini, che prevedono 24 ore di assistenza a malati nelle loro case, o in hospice. «Trovare personale qualificato per l’assistenza domiciliare è difficile», spiega Stefania Chiucchiù, che per assistere suo marito affetto da Sla ha lasciato il suo lavoro,  «perché servono competenze specifiche, bisogna conoscere la malattia e le sue conseguenze, le attrezzature necessarie e così via». Chiucchiù, come caregiver, ha tenuto otto ore di lezione, si è occupata dell’area motoria e di spiegare “come mobilizzare i malati”, che man mano perdono tono muscolare e vanno incontro all’immobilità. Altre lezioni sono state tenute da pneumologi, infermieri, esperti di cure palliative e una psicologa. «Ho cercato»,  dice,  «di osservare bene le loro reazioni, perché la Sla è una malattia con cui non si possono avere incertezze: certo il primo impatto è stato abbastanza difficile, ma questo succede un po’ a tutti, e per di più in questo caso si tratta di persone che alle spalle hanno storie particolari e che magari hanno ancora qualche difficoltà con la lingua. Poi però hanno reagito bene, hanno superato la timidezza e hanno cominciato a fare domande, a partecipare attivamente». 

Nel complesso dunque, da parte dei cinque stranieri viene segnalata una buona reazione. «Si sono impegnati, li ho visti molto motivati dalla prospettiva di trovare un lavoro concreto», osserva Chiucchiù. Oltre alla formazione di base, il corso ha affrontato anche operazioni più complesse come la medicazione della tracheotomia, la via respiratoria artificiale aperta chirurgicamente: anche se di questo in genere si occupano gli infermieri inviati dalle Asl, «l’assistenza fornita dalle Asl – viene spiegato - è molto disomogenea e bisogna essere preparati per qualsiasi evenienza». Con i tirocini avviati, divisi nelle fasi della mattina e del pomeriggio «perché le rispettive operazioni da compiere sono diverse», il corso volge verso la sua conclusione. Per i rifugiati, dopo, non rimarrà che cercare un lavoro.

RedattoreSociale.it
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Postato da Franco Salis il 03/04/2011 08:26

Altra iniziativa encomiabile. Anche perché “da un lato la difficoltà di trovare personale qualificato per l’assistenza domiciliare dei malati di Sclerosi”, quindi non si ruba il lavoro agli italiani. Piuttosto 36 ore di corso mi sembrano pochine, anche se portatori di precedenti esperienze. Suggerisco quindi, forse inutilmente perché già lo si fa sin d’ora, il proseguimento del corso anche dopo l’avvio al lavoro. Oh, infine una ultima raccomandazione, ora utilizziamo al massimo il servizio di questi rifugiati, ma in caso di cessazione del bisogno,”a fora” (© Bossi ministro della Repubblica italiana!) Senza stare a perdere tempo distinguendo rifugiati, migranti e clandestini. ”a fora” e basta!

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