Guerra in Mali, Tuareg in fuga

Abituata ad attraversare il Sahara lungo piste sconosciute ai Gps, questa popolazione è vittima di una violenta repressione. Grazie a un Ong italiana, la testimonianza di una bambino.

23/10/2012

Migliaia di tuareg in fuga a seguito dei combattimenti che nei mesi scorsi hanno sconvolto il Mali. Combattimenti che inizialmente hanno visto l'ala indipendentista della popolazione berbera alleata delle milizie islamiche e, successivamente, sua acerrima nemica tanto da metterne addirittura a rischio la sopravvivenza.

Quello a cui si è assistito dal mese di febbraio in poi è sconvolgente: con un clima che è stato particolarmente avverso, data la siccità imperante e l'intensità dei venti secchi e polverosi harmattan, la situazione umanitaria è diventata immediatamente allarmante. La difficoltà di convogliare i profughi, tradizionalmente nomadi, in campi attrezzati, peraltro insufficienti, ha aggravato il quadro già preoccupante e da tempo la Croce Rossa insieme con altre associazioni di volontariato impegnate nei territori interessati dagli scontri ha lanciato l'appello per il ritorno a una situazione quanto meno controllabile per garantire i rifornimenti di cibo, acqua e medicinali. Quello che la maggior parte dei tuareg chiede, visto come sono andare le cose, è soltanto di tornare nelle proprie terre e provare a ricominciare ad allevare il bestiame ripartendo da quei pochi capi che non sono morti in questi mesi disgraziati. Grazie all'intermediazione dell'associazione Bambini nel deserto, Ong impegnata in interventi mirati per migliorare le condizioni di vita dei bambini del Sahara e del Sahel, siamo riusciti ad avere una lettere di Mohamed, tuareg in fuga attualmente rifugiato in Burkina Faso.

«Buongiorno. Sono un Tuareg di Timbouctou, mi chiamo Mohamed A. Vivevo con la mia famiglia nella comunità di Mar Mar. Avevamo capre e cammelli, organizzavamo carovane per trasportare il sale in grosse lastre da Toudenni al mare. Il turismo ci aiutava: tutto l’anno ma specialmente durante il festival di Essakane, che si svolgeva a gennaio nel deserto, a 60 chilometri dalla città, quando avevamo l'occasione di vendere oggetti d’arte della nostra cultura, pelli e stoffe e di organizzare gite in cammello».

«Quando i mercenari sono arrivati a Timbouctou, tutti sono fuggiti abbandonando il territorio e con c’è stato più lavoro. Anche le Ong si sono bloccate. Attualmente io mi trovo in Burkina Faso con la famiglia di mia madre e alcune altre famiglie del mio villaggio. Lavoriamo per guadagnarci di che vivere quotidianamente, grazie all’aiuto di Bambini nel Deserto, ma è comunque molto difficile. BnD ci ha aiutati fornendoci del denaro che ci siamo spartiti tra noi abitanti dei villaggi prossimi a Timbouctou affinché ciascuno possa lavorare nell’artigianato e guadagnarsi la vita. Comunque, nonostante ciò, la situazione resta difficile. Alcuni rifugiati sono rientrati in Mali, a Bamako, che adesso è sicura. Anche la famiglia di mio padre, che si trova in Mauritania, vuole tornare lì. Attualmente io sono a Ouagadougou, ma mi muoverò verso il Senegal».

Alberto Picci
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