Israele, la convivenza possibile

A Sephoris, vicino a Nazareth, c'è una casa d'accoglienza che ospita bambini e adolescenti di ogni religione. Vivono insieme, in pace, ma la struttura rischia di chiudere.

17/12/2012

A Sephoris, pochi chilometri da Nazareth, Israele sperimenta un'oasi di dialogo, di rispetto reciproco e di integrazione: all'interno di un moshav ebraico, in una lingua di terra in cui gli arabi musulmani sono in prevalenza, tre suore missionarie e una trentina di educatori di diversa provenienza, con il "placet" del Governo israeliano, accolgono bambini e ragazzi senza distinzioni etniche o religiose.

Nelle settimane in cui missili e bombardamenti infiammavano Israele e la striscia di Gaza, nei giorni in cui, tra tensioni e minacce, l'Onu riconosceva per la prima volta la Palestina come osservatore non membro, in questo luogo la vita è trascorsa serena, scandita da piacevoli abitudini. All'insegna della speranza. La stessa speranza che ha permesso alla Casa d'accoglienza dell'ordine delle figlie di sant'Anna, giorno dopo giorno per quasi 90 anni, di diventare l'emblema di una convivenza possibile. A prescindere dal contesto, dalla vicinanza dei conflitti, dai pregiudizi.

A Sephoris, drusi, beduini, cristiani, ebrei, musulmani giocano e mangiano insieme, dormono e parlano insieme, discutono e sorridono insieme. Gli uni affianco agli altri, comunque insieme. Duecento bambini e adolescenti, tra gli 0 e i 17 anni, accomunati dalla perdita/abbandono dei genitori, destinati in affido o con gravi problemi familiari hanno trovato nella Casa d'accoglienza un punto di riferimento sicuro, un'ancora di salvezza nel segno del rispetto dell'appartenenza etnica e religiosa di ciascuno. Merito di chi ci lavora, dedicandosi anima e corpo al progetto "Bambini di Sephoris", con la consapevolezza che la pace tra i popoli, sempre più necessaria, passa da esperienze come questa. 

Ma questo equilibrio magico, questa atmosfera sospesa, fuori dal tempo e dallo spazio, rischia di andare in frantumi se non si interviene e se non lo si fa in fretta. A suonare il campanello d'allarme è Hope onlus, organizzazione non profit impegnata prevalentemente in Medio Oriente e specializzata a interventi in contesti multietnici e multireligiosi con progetti di sviluppo sostenibile nei settori della salute, dell'educazione e del lavoro a tutela di donne e bambini.

L'edificio che ospita la comunità di Sephoris porta inequivocabilmente i segni del tempo: con un secolo di vita sulle spalle, infatti, la Casa d'accoglienza non rispetta più gli standard minimi di sicurezza, igiene e abitabilità richiesti per una struttura di questo genere. Ma il tempo stringe e l'alternativa è la sua chiusura. Hope si è già mobilitata mettendo a punto un piano di emergenza in grado di convincere le autorità israeliane che il sogno deve proseguire: nella prima fase si è proceduto con la realizzazione di una nuova cucina suddivisa in otto locali con le relative apparecchiature. Nella seconda fase è stato predisposto un sistema anticendio. Ora c'è un ultimo scalino da superare: la ristrutturazione del primo piano dell'antico orfanotrofio, quell'area che oggi ospita l'alloggio dei bambini più piccoli.

Come si può sostenere il progetto? Ovviamente c'è il modo "tradizionale" tramite carta di credito o bonifico al conto corrente intestato a Hope onlus presso Credito artigiano (Iban IT05N0521601630000000013050). Per maggiori informazioni: http://www.hopeonlus.org/

Alberto Picci
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