Un bicchiere d'acqua per salvarli

Da un convegno dell'Inmp in Etiopia, l'allarme sulle "malattie della povertà": uccidono milioni di bambini, anche se per curarle basta poco.

12/11/2010

Il segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon, al termine del summit mondiale sui Millennium Development  Goals (New York 20-22 settembre 2010), ha dichiarato che verranno stanziati 40 miliardi di dollari per la salvaguardia dell’infanzia e della maternità. In questo modo saranno salvate 16 milioni di vite.

     È il tentativo immediato della comunità mondiale di drenare la sensazione di parziale sconforto, all’indomani della pubblicazione dei risultati. Degli obiettivi prefissati per il 2015, infatti, pochi viaggiano a livelli accettabili mentre la maggior parte migliorano a un tasso troppo flebile per raggiungere il traguardo. A leggere il rapporto dell’ONU che fotografa gli otto anni (lo studio arriva fino al 2008) trascorsi dalla solenne promessa di 192 stati membri dell’ONU di partecipare attivamente allo sradicamento della povertà del mondo, si rimane spaesati. Da una parte si comprende che siamo in drammatico ritardo. Dall’altra si ha la netta percezione che basterebbe poco per acquisire velocità.

     Tra gli obiettivi che arrancano maggiormente  ve ne sono due che rappresentano più di ogni altro il futuro: la riduzione della mortalità dei bambini sotto i cinque anni e quella delle mamme. L’iniziativa del Segretario dell’ONU, quindi, è una boccata d’ossigeno.  Ne trarranno vantaggio, prime fra tutte, la madri della Sierra Leone dove il tasso di mortalità peripartum è il più alto al mondo (2,1 donne ogni 100 bambini nati), ma anche quelle dell’Afghanistan (1,8), di Ciad e Guinea Bissau (1,5) e Liberia (1,2). È la solita, vecchia storia del primo mondo  che nasce sano, cresce meglio, vive, lavora, mangia, muore nel modo più giusto. E del terzo, che già dal ventre materno comincia la sua infinita corsa a ostacoli con traguardi che sembrano dilatarsi sempre di più.

     La realtà, talvolta, è semplice. “Sì, come un bicchier d’acqua", spiega la dottoressa Annalisa Rosso, medico esperto in salute pubblica, con un passato di cooperante in paesi in via di sviluppo, al momento in forza all’INMP (Istituto Nazionale per la Promozione della Salute delle Popolazioni Migranti ed il Contrasto delle Malattie della Povertà), "anzi un litro, 8 cucchiaini di zucchero, 1 di sale e il succo di un limone. Basterebbero questi ingredienti per contrastare la disidratazione  provocata da infezioni intestinali che ogni anno uccide milioni di persone. In ogni caso, semplici rimedi preventivi quali lavarsi le mani prima di mangiare, bere acqua filtrata - anche con un panno pulito - o prima bollita laddove non esista acqua corrente potabile, sarebbero sufficienti per praticamente azzerare la seconda causa di mortalità infantile nel mondo”.

     La diarrea. La micidiale roncola che ogni anno passa per l’Africa o l’Asia falcidiando le  vite di oltre 1,5 milione di bambini al di sotto dei 5 anni e che rallenta spaventosamente l’azione che dovrebbe realizzare l'obiettivo di due terzi in meno di mortalità infantile entro il 2015. Peggio di essa, solo le malattie polmonari che mietono ogni anno 1,8 milioni di vittime minori di 5 anni. “Di diarrea, per quanto possa sembrare strano, nessuno parla", denuncia il professor Aldo Morrone, irettore dell’INMP: "Esistono, giustamente, giornate mondiali per l’AIDS, per la malaria, per tante patologie ma nessuno ha mai pensato di istituire giornate di studio sulla diarrea né di lanciare simposi o seminari a riguardo. Il Global Fund si rivolge a tubercolosi, malaria e AIDS e stanzia enormi quantità di fondi per affrontare queste patologie. E per la diarrea? Nulla, non ci sono fondi specifici né programmi”.

     Le chiavi interpretative di una simile vacanza possono essere molteplici. AIDS e tubercolosi, ad esempio, riguardano anche l’Occidente: qui queste patologie si sono diffuse o sono ancora presenti e sempre qui si producono le medicine per curarle. La profilassi e la terapia, inoltre, richiedono moltissimi fondi visto che i farmaci costano tanto. E dove girano soldi, si crea interesse. “La diarrea, invece", riprende Morrone, "si previene  e si cura con metodi semplicissimi e per assurdo ciò non suscita che attenzioni locali.  È prevalentemente un questione di grossi interessi. Per risolvere la diarrea, sostanzialmente, non ci vogliono farmaci e se non servono farmaci, non sono necessarie neanche le case  farmaceutiche con i loro ingenti investimenti, i congressi, le giornate internazionali e ciò che ne consegue. Di recente uno studio dell’Istituto Svizzero di scienze acquatiche ha dimostrato che l’acqua può essere disinfettata dall’energia solare, che in Africa e Asia non manca di certo. Pensa che qualcuno abbia interesse a investire su otri d’acqua da mettere al sole?”.

     Nasce così, da una semplice costatazione, l’idea del professor Morrone di promuovere una giornata di riflessione sulla diarrea infettiva. “L’iniziativa sarà lanciata nel corso del Congresso Internazionale Dermatological Care for All: Awareness and ResponsAbility che il mio istituto organizza ormai da 4 anni”. La Conferenza si è appena svolta ad Addis Abeba e Makallè (Tigrai). L’obiettivo è ambizioso quanto affascinante. “Noi vogliamo porre al centro del dibattito non le patologie ma l’uomo, nella fattispecie l’uomo che vive in estrema povertà e sottosviluppo e non ha accesso a cura. Piuttosto che di malattie neglette, mi piace parlare di malattie di persone neglette. Per questo abbiamo scelto di spostarci in Etiopia e di portare colleghi, autorità, giornalisti, uomini e donne di cultura in Africa”.
 

Luca Attanasio
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