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... non risolve ma aiuta. Amnesty ripercorre il 2012 con dodici avvenimenti da ricordare per proseguire con rinnovata convinzione nella strada del rispetto dei diritti umani

21/12/2012

L'ottimismo nasce dalla consapevolezza che questa è l'unica strada possibile: continuare a lottare per tutti coloro che vedono calpestati i loro diritti in ogni angolo del mondo. È a loro che va il pensiero di Amnesty alla fine di un 2012 che ha comunque registrato qualche piccolo grande successo di giustizia.

È passato quasi un anno da quando, era il 4 gennaio 2012, la corte d'appello della città ecuadoriana di Lago Agrio confermava la condanna a carico della Chevron, che dovrà pagare oltre 16 miliardi per essersi rifiutata di scuse pubbliche, con l'accusa di disastro ambientale e danni alla salute pubblica. Si è trattato di una sentenza per certi versi storica, nata dall'onda emotiva di 30mila persone che hanno voluto fare luce sugli abusi perpetrati tra il 1964 e il 1990 dalla controllata Texaco incaricata dell'estrazione del petrolio nel cuore della foresta amazzonica.

È il 23 febbraio 2012 quando l'Italia è costretta ad assumersi le proprie responsabilità di fronte alla Corte europea dei diritti umani per il caso "Hirsi Jamaa e altri contro l'Italia" portato in giudizio da 11 cittadini somali e 13 eritrei facenti parte di un gruppo di circa 200 persone intercettate in mare nel 2009 dalle nostre autorità e respinte direttamente in Libia. Nessuno in quell'occasione si era preso la briga di valutare l'eventuale necessità di protezione internazionale dei profughi.

Il 14 marzo 2012 è il popola del Guatemala a ottenere giustizia 30 anni dopo la strage di Dos Erres: il 6 dicembre 1982 le forze speciali del Paese fecero irruzione in un villaggio in cerca di armi appartenenti al fronte dei ribelli. Pur non trovandone traccia accusarono gli abitanti del posto di collaborazionismo con il fronte di liberazione e in tutta risposta torturarono e stuprarono donne e bambine, uccidendo circa 250 persone, una settantina delle quali con meno di 12 anni. Solo negli anni Novanta furono rinvenuti i cadaveri in un pozzo. Uno dei militari che parteciparono all'operazione, Pedro Pimentel Rios, estradato dagli Usa nel 2011, è stato condannato a scontare 6060 anni di carcere.   

Il Connecticut è stato il 17° Paese degli Usa ad abolire la pena di morte: la firma del governatore sull'apposita legge è del 25 aprile 2012.

L'ultima che era stato visto era il 1985: Yaacoub Shamoun, cittadino libanese sequestrato dalle forze siriane, a maggio 2012 è tornato un uomo libero dopo 27 anni di prigionia.

Il 2 giugno 2012 l'ex presidente egiziano Hosni Mubarak e l'ex ministro dell'interno Habib Al Adly vengono condannati all'ergastolo per non aver posto in essere le misure necessarie a prevenire la morte di 840 manifestanti nel corso delle proteste della primavera araba tra gennaio e febbraio 2011.

A Thomas Lubanga Dyilo, leader di un gruppo armato congolese, è stata inflitta da un tribunale del suo Paese una pena di 14 anni per aver reclutato e impiegato bambine e bambini soldato in un conflitto armato.

Svolta epocale nella giustizia messicana: il 21 agosto 2012 la Corte suprema ha giudicato incostituzionale il famigerato articolo 57 del codice penale militare che attribuiva alla giustizia militare la competenza a giudicare sulle violazioni dei diritti umani attribuite a membri delle forze armate.

Giustizia è fatta anche per Yousef Naderkhani, pastore protestante iraniano condannato a morte con l'accusa di apostasia: assolto l'8 settembre 2012.

Contro il razzismo: è la presa di coscienza del tribunale slovacco del distretto di Presov, in Slovacchia, che ha accusato una scuola elementare di aver istituito classi apposiste per bambini di etnia rom. È successo il 30 ottobre 2012.

Il 19 novembre 2012 in Myanmar chi lotta per i diritti civili ha visto premiati i propri sforzi: tra i numerosi prigionieri politici detenuti, ne sono stati rilasciati una cinquantina. 

Una luce in fondo al tunnel per le popolazioni del delta del fiume Niger: il 15 dicembre 2012 la Corte di giustizia della Comunità economica degli stati dell'Africa occidentale ha giudicato la Nigeria responsabile della violazione della Carta africana dei diritti umani e dei popoli. Le compagnie petrolifere che finora hanno fatto ciò che hanno voluto senza sottostare ad alcuna regola sono avvisate: d'ora in poi dovranno rispondere dell'impatto ambientale provocato dal loro operato.

Alberto Picci
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