28/03/2011
Chi non ci ha mai messo piede probabilmente ne ha sentito parlare, non fosse altro per la canzone che tanti anni fa Claudio Baglioni gli ha dedicato. Quello di Porta Portese a Roma è il mercato storico dell’usato più famoso d’Italia e uno dei più importanti d’Europa. Qui si trova davvero di tutto: "pezzi d'auto, spade antiche, quadri falsi", come cantava Baglioni, oppure l’utensile dimenticato o che si pensava non esistesse più, pezzi di antiquariato, mobili per la casa e i vecchi dischi in vinile conservati come reliquie. Luoghi di incrocio tra culture, particolarmente amati dai collezionisti che tra le montagne di oggetti scovano magari la rarità inseguita da tempo, i mercatini delle pulci si trovano in molte città, da quello di Firenze in piazza dei Ciompi, al popolare mercato del Balon a Torino, fino alla Fiera di Sinigallia (o Sinigaglia) nella zona dei navigli milanesi.
Eppure, fino a oggi gli operatori dell’usato, coloro che vivono di recupero e rivendita di oggetti usati, non hanno mai visto riconosciuta a livello formale la loro attività e sono quindi sempre vissuti senza precise regole e un quadro di diritti-doveri a difesa del loro operato. Per questo motivo, a giugno 2010 è nata a Roma la Rete Nazionale degli operatori dell’usato (Rete Onu), la prima organizzazione che riunisce varie associazioni del settore dell’usato e rappresenta circa 3mila operatori in tutta Italia. Alla rete hanno aderito Associazione Bidonville, Associazione Operatori del Mercato di Porta Portese, Associazione Vivibalon di Torino, Occhio del Riciclone e Rete di Sostegno ai Mercatini Rom.
Dal 31 marzo al 2 aprile a Torino, nella sede del Sermig, nello storico quartiere Borgo Dora, la Rete Onu promuove per la prima volta gli Stati generali dell’usato: tre giorni di incontri e workshop tematici – oltre a mostre fotografiche ed esposizioni di pezzi d’arte e artigianato realizzati con materiali di recupero - per fare il punto sull’economia dell’usato e il sistema del riutilizzo, promuoverne la riqualificazione e avviare con il ministero dell’Ambiente un percorso che porti alla formalizzazione e regolarizzazione del settore. «Gli Stati generali vogliono mettere insieme tutto il settore dell’usato», spiega Gianfranco Bongiovanni, del Centro di ricerca Occhio del Riciclone, «non solo l’ambulantato, ma anche le botteghe di rigatteria classica, il conto terzi, i rovistatori dei cassonetti e tutto il mondo della solidarietà – dalla Comunità di Sant’Egidio fino a Mani tese - attivo con progetti legati al riutilizzo che coniugano rispetto dell’ambiente da un lato e inclusione sociale e prevenzione dell’emarginazione dall’altro».
Molti operatori dell’usato recuperano oggetti e beni in disuso attraverso lo sgombero di cantine e di locali, oppure rovistano i cassonetti dei rifiuti e da lì recuperano gli oggetti ancora in buono stato. «La comunità rom è diventata in Italia il primo anello di riutilizzo, ovvero coloro che recuperano gli oggetti buttati igienizzandoli e rivendendoli o direttamente nei mercatini oppure alle botteghe di rigatteria. Negli ultimi anni si sono affermati soprattutto nel Nord Italia i mercatini degli hobbisti, cioè coloro che rivendono oggetti delle proprie case. In realtà, chi è rivenditore a livello professionale spesso si camuffa da hobbista per poter partecipare ai mercati degli hobbisti. Se la gestione dei mercatini non è regolamentata, dunque, gli operatori non possono avere una continuità operativa, non hanno alcuna certezza di poter portare avanti la loro attività, sono più deboli e quindi più ricattabili. Questo penalizza tutte le persone che vorrebbero fare dell’usato la loro professione, vivere di quella attività e progettare così il loro futuro». Come sottolinea Alessandro Stillo dell'Associazione Vivibalon di Torino, l'assenza di politiche chiare rischia di spegnere o snaturare i mercati popolari storici che sono una parte vitale dell'identità delle città italiane.
Il Centro di ricerca Occhio del Riciclone ha effettuato una serie di indagini in particolare a Roma e Udine. «A Roma abbiamo stimato un giro d’affari informale intorno ai 50 milioni di euro l’anno», osserva Bongiovanni. «Di questi, il primo anello di riutilizzo, cioè la comunità rom, riesce a recuperare 10 milioni di euro attraverso il riciclo di oggetti dai cassonetti e la loro rivendita. A Roma ci sono 45mila cassonetti dell’indifferenziato che vengono rovistati ogni giorno da oltre 2.200 persone. All’interno di ogni cassonetto si stima che non ci siano mai meno di due oggetti riciclabili. Quindi, parliamo di almeno 90mila oggetti sottratti alla discarica ogni giorno, che moltiplicati per 365 giorni sono quasi 33 milioni di oggetti recuperati in un anno, con un vantaggio sia ambientale che economico per la comunità, perché i costi dell’amministrazione comunale vengono limitati». E conclude: «Se si stima che ognuno di questi oggetti venga rivenduto anche solo a un euro, si calcolano almeno 33 milioni di euro potenzialmente guadagnati: un giro d’affari notevole per gli operatori del riutilizzo». E un bel sostegno all'occupazione e all'economia in crisi.
Giulia Cerqueti