18/12/2012
«La nostra ricerca ha interessato i lavoratori migranti in agricoltura in due zone ben definite, quella di Latina e quella di Caserta. La prima perché è poco conosciuta e nessuno studio specifico l'aveva presa in considerazione in precedenza. La seconda, d'altro canto, proprio perché è tra quelle di cui si conoscono meglio le problematiche. Uno dei nostri scopi è stato infatti misurare i dati raccolti con altre ricerche fatte in precedenza: il caso di Latina, come altre realtà del sud Italia, conferma che quello dello sfruttamento dei lavoratori migranti nel settore agricolo in Italia è un problema grave e diffuso». Paghe al di sotto del minimo concordato dalle parti sociali, pagamenti in ritardo se non inadempiuti, lunghi orari di lavoro: il quadro dipinto da Francesca Pizzutelli, ricercatrice di Amnesty, è drammatico anche e soprattutto perché negli anni non ha accennato a migliorare. Anzi, se possibile, è peggiorato. «Nell'area di Latina ci siamo concentrati in particolare su lavoratori migranti di origine indiana, una comunità che conta circa 7mila persone, quasi tutte impegnate nel settore agricolo. Nell'area di Caserta l'origine della popolazione sfruttata è più "variegata": per questo studio abbiamo preso in considerazione soprattutto i migranti africani subsahariani e nordafricani»: la questione merita maggiore attenzione da parte delle istituzioni che finora sono state colpevolmente sorde ai campanelli d'allarme fatti ripetutamente suonare dalle organizzazioni che si occupano di diritti umani. «La novità di questo rapporto credo risieda soprattutto in questo aspetto: nonostante altri studi su campioni quantitativi anche più ampi del nostro, noi siamo arrivati a stabilire un legame di causa-effetto tra lo sfruttamento lavorativo e la politica migratoria del nostro Paese», una politica migratoria che si fonda sul sistema dei flussi. In altre parole, in Italia, c'è una quota annua prestabilita e rigidissima di ingressi concessi dal Governo ai migranti. Se a questo si aggiunge che i migranti che non provengono dall'Unione Europea e vogliono venire a lavorare in Italia possono ottenere un visto d'ingresso e un permesso di soggiorno solo se hanno già un contratto di lavoro che nel caso dei migranti diventa un contratto di soggiorno con un datore di lavoro in Italia, "si compie" un sistema per cui i lavoratori migranti, ovviamente a maggior ragione quelli irregolari, sono sottoposti a più rischi di sfruttamento lavorativo. «Quello che abbiamo potuto vedere è che il sistema di sfruttamento lavorativo è così diffuso che non si può più interpretare come una questione strettamente legata alla criminalità organizzata. Dalla nostra ricerca, infatti, non è stato possibile ricavare dati per cui i datori di lavoro sono certamente appartenenti alle cosche ma più facilmente sono "normali" imprenditori»: e questo aspetto, se possibile, rende i contorni del fenomeno ancora più inquietanti di quanto già non lo siano. «La situazione dei permessi di soggiorno, di fatto, impedisce di raccogliere dei numeri realmente significatici: ci sono infatti molti migranti titolari di un permesso di soggiorno che però non necessariamente è di lavoro subordinato o di lavoro stagionale. Quindi ci sono migranti presenti regolarmente in Italia il cui permesso di soggiorno non "vale" per lavorare ma, ad esempio, è rilasciato in qualità di rifugiati politici o per richiedenti asilo. Nello stesso modo i migranti che non hanno un permesso di soggiorno possono essere persone a cui è scaduto oppure persone che sono in attesa del riconoscimento: per questi motivi, per il fatto che in maniera "fluida" i lavoratori migranti in Italia entrano ed escono da situazioni di regolarità, è davvero difficile fare una "conta" precisa dei "clandestini". L'incontro sul campo con ogni migrante ha consentito a questo studio di distinguersi da altri anche nella valutazione del grado di consapevolezza che ciascuno di loro del proprio stato di sfruttamento: «Su questo punto incidono diversi fattori, molti dei quali di natura personale: ma se può servire come esempio, riporto quello di un ragazzo indiano dell'area di Latina che ci ha spiegato come secondo lui i migranti in Italia funzionano da sussidio all'agricoltura». Cioè, mantenere i migranti irregolari e sfruttabili è uno strumento del Governo per dare sussidi indirettamente a questo settore. Una posizione forzata e per certi versi opinabile ma che spiega con chiarezza quanto sia ormai sofisticata la visione dei lavoratori migranti. «Indipendentemente dalla loro volontà di opporsi alla situazione di sfruttamento, con questo rapporto vogliamo far capire che è una responsabilità dello Stato e delle autorità concedere a un migrante i cui diritti siano stati violati l'accesso a strumenti che devono essere presenti nel nostro sistema giuridico». In sostanza, per questi casi in Italia è negata la possibilità di far valere i propri diritti in sede legale a causa della criminalizzazione della migrazione irregolare che trova esplicito riferimento nel reato di ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato italiano: «Qualunque migrante irregolare che venga a contatto con una autorità pubblica deve essere denunciato con il rischio concreto di detenzione ed espulsione». Si tratta di un ostacolo insormontabile per qualsiasi migrante irregolare che si trovi in condizione di sfruttamento lavorativo. «Il fatto che la nostra ricerca confermi risultati già assodati da altri ha un significato politico non indifferente: le nostre autorità non possono più fare finta di non sapere perché i dati sono ormai sotto gli occhi di tutti. Dal momento che la situazione è davvero grave da diversi anni sarebbe stato lecito attendersi un intervento in questa direzione da parte di Governi che invece hanno fatto finta di niente. La nostra politica migratoria dal 1998 a oggi non ha fatto passi avanti di alcun genere al punto che i diritti dei migranti risultano addirittura limitati».
Alberto Picci