15/01/2012
L'alba nel Parco nazionale Yasunì, in Ecuador. Foto: Corbis Images.
Yasunì. Da anni questo nome evoca nel mondo ambientalista e scientifico un luogo di grande fascino e di inestimabile valore. Oggi è storia di oro verde e oro nero. Yasunì è infatti il nome di un vastissimo parco naturale in Amazzonia, in quella parte del bacino del Rio Napoche si trova in territorio ecuadoriano, caratterizzato da uno dei più alti gradi di biodiversità del pianeta. Nel territorio del parco, da anni oggetto di rigorosa ricerca scientifica, sono state censite 2.274 specie di piante, più di 550 specie di uccelli, 80 specie diverse solo di pipistrelli, 150 specie di anfibi e 121 rettili. L’elenco potrebbe continuare con la notevolissima intensità di individui per specie che vivono nel Parco.
Ma nell’area dello Yasuni non vivono solo animali e vegetali. Diverse popolazioni indigene abitano il parco da millenni: gli Huaorani e i Kichwa in particolare. Fra loro anche due popolazioni cosiddette autoisolate, i Tagaeri e i Taromenane, che hanno in qualche modo rifiutato il contatto con il resto del mondo e sono tutelate nel loro isolamento dalla Costituzione ecuadoregna che ha recentemente sancito l’intangibilità del loro territorio. Yasunì da cinque anni, però, è anche il nome di una idea innovativa che, come il Parco, potrebbe diventare particolarmente preziosa per tutto il pianeta. Si tratta della Iniziativa Yasuni-ITT, una ‘provocazione’ del Governo dell’Ecuador per evitare l’estrazione di petrolio dal sottosuolo del Parco.
L’Amazzonia è ricca di petrolio e nelle zone Ishpingo, Tambococha e Tiputini all’interno del Parco (per questo la sigla ITT) sono stati rilevati giacimenti per 846 milioni di barili. Il Governo potrebbe estrarre il petrolio per finanziarsi, come fanno tutti. In questo modo peròla biodiversità sarebbe minacciata, le popolazioni indigene costrette a migrare con un impatto pessimo sulla loro vita, il contributo del polmone amazzonico all’effetto serra compromesso e la combustione del petrolio estratto produrrebbe emissioni di CO2 con conseguente doppio impatto negativo sull’ambiente e sul cambio climatico, quello della foresta distrutta e quello delle emissioni della combustione. Il Governo dell’Ecuador è disposto a rinunciare all’estrazione, ma fa appello alla corresponsabilità internazionale. La biodiversità del parco, la cultura millenaria delle popolazioni indigene e l’ambiente sono patrimoni comuni che non appartengono solo all’Ecuador.
Una donna Quechua con il figlio, nel Parco nazionale Yasunì, in Ecuador. Foto: Reuters.
Le ricadute negative dell’estrazione ricadrebbero su tutti, a cominciare
da una più elevata spesa per contenere l’impatto delle emissioni
prodotte. Salvare il Parco significa renderci tutti più ricchi. È
sensato che tutti contribuiamo a mantenere il petrolio nel sottosuolo e
sostituire i proventi del petrolio con risorse alternative, che
compensano ciò che si guadagna dalla non estrazione.
Le Nazioni Unite
hanno sposato la proposta e da un anno è stato costituito presso il
Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo (Undp) lo Yasuni Trust
Fund, un fondo che riceve contributi da stati, autorità locali e
privati, per costituire un flusso di risorse alternativo a quello del
petrolio. L’idea è di versare denaro sul fondo in cambio della non
estrazione. Il denaro verrà usato per finanziare progetti in campo
energetico che utilizzino risorse rinnovabili (solare, geotermica,
eolica etc) i cui proventi finanzieranno un secondo fondo destinato a
progetti di sviluppo sociale.
Undp garantisce il servizio di tesoreria e
la legalità delle procedure. Un comitato di gestione amministra il
denaro destinandolo ai progetti. Di esso fanno parte tre membri nominati
dal Governo dell'Ecuador, due sono riservati a Governi stranieri (in
ragione della partecipazione finanziaria) e uno è riservato alla società
civile dell'Ecuador, più precisamente ad un rappresentante delle
organizzazioni indigene. Tutti possono finanziare il Trust Fund: il
governo dell'Ecuador, igoverni stranieri e i privati. Ogni contributo
superiore a 50.000 dollari riceve un 'certificato Yasuni'. Se in futuro
si avviasse l'estrazione del petrolio, da parte di questo o di un futuro
governo, i certificati diverrebbero immediatamenteesigibili e il denaro
del Fondo dovrebbe dunque essere restituito. La proposta è notevole e
incontra immediati consensi.
Le difficoltà però arrivano dalle
effettive contribuzioni. Complice anche la crisi, i Governi non hanno
risposto come ci si aspettava. Quello tedesco ha addirittura smentito
una delibera unanime del Parlamento in favore dell’iniziativa, rinviando
al futuro una generica contribuzione all’Ecuador senza attribuirla al
Fondo. L’Italia, pur avendo di fatto azzerato negli ultimi anni i fondi
per la cooperazione allo sviluppo, sta partecipando alla iniziativa in
modo rilevante. È alla firma un accordo di conversione del debito per
cui 35 milioni di Euro che l’Ecuador avrebbe dovuto restituire
all’Italia verranno versati sul Fondo Yasuni. Questo fadel nostro paese
il maggiore finanziatore dell'iniziativa a oggi.
Il Governo
dell’Ecuador si era dato l’obiettivo di raccogliere 100 milioni di
dollari sul Fondo entro la fine del 2011. In caso contrario avrebbe
preso in considerazione l’idea di avviare l’estrazione. Il fabbisogno
del governo in questi anni è aumentato per finanziare la spesa sociale e
gli investimenti promossiin favore delle fasce più deboli della
popolazione, segnando un cambiamento positivo (per quanto non privo di
contestazioni) notevole rispetto al passato. Dunque la tentazione di
utilizzare il petrolio è forte.
Qualora i 100 milioni non fossero raggiunti il Governo potrebbe decidere di continuare lo stesso o
potrebbe abbandonare la sfida, come premono le lobby petrolifere e chi
ritiene l’iniziativa troppo idealista e irrealizzabile. Proprio per
evitarlo molte organizzazioni della società civile hanno fatto sentire
la loro voce anche fuori dal paese. Molto forte quella delle reti
tedesche, che hanno animato una raccolta di oltre 200.000 firme per
chiedere al governo di contribuire al Fondo Yasuni.
Un appello inviato
al presidente ecuadoriano Correa perché non abbandoni l’iniziativa è
stato firmato da praticamente tutte le organizzazioni ambientaliste e di
sviluppo tedesche, nonché dalle grandi associazioni. Anche le
municipalità, con la Alleanza europea delle Città per il Clima ha
chiesto che l’iniziativa continui. E negli ultimi giorni organizzazioni
italiane e francesi hanno sottoscritto un appello in favore
dell’iniziativa che sta girando anche negli altri paesi europei e al
quale tutti possono aderire. www.yasuni-itt.eu Anche in Ecuador
l’aspettativa è alta.
Alcuni bambini giocano e nuotano vicino a condotte petrolifere che attraversano la provincia di Orellana, nei pressi del Parco nazionale Yasunì, in Ecuador. Foto: Corbis Images.
A fine novembre la manifestazione Yasunizate ha raccolto 2 milioni e ottocentomila dollari, una cifra notevole considerando che i 14 milioni di cittadini ecuadoregni dispongono di un reddito medio inferiore agli 8.000 dollari, a fronte degli oltre 30 mila degli italiani. Se l’anno si `chiuso con la preoccupazione per il futuro, la responsabile ecuadoriana dell’iniziativa, Yvonne Baki, lo ha aperto a Quito annunciando a nome del Presidente Correa che l’ iniziativa Yasuni continua.
Chi chiede di lasciare il petrolio in terra ha tirato un sospiro di sollievo, ma la Baki ha anche indicato i nuovi obiettivi finanziari per i 2012 e il 2013: dovranno cioè essere raccolti quasi 300 milioni di dollari l’anno per garantire il flusso atteso dal governo in sostituzione dei proventi del petrolio. La necessità di promuovere l’iniziativa dunque rimane e ci si attende che le organizzazioni della società civile facciano di nuovo sentire la loro voce. Da molte parti infatti si spera che il governo non si tiri indietro neanche in futuro di fronte ad una raccolta finanziaria non sufficiente.
È vero che la riserva Yasuni rappresenta una possibilità concreta di finanziare politiche per la popolazione, ma è ancora più vero che far diventare realtà la ‘provocazione’ può avere riflessi ancora più importanti sull’intero pianeta. Dimostrare che è possibile rinunciare al petrolio attraverso un percorso virtuoso che coinvolge tutti può essere preziosissimo. Creare un adeguato consenso permette di trovare anche le risorse finanziarie. Con le risorse diventa possibile attivare la produzione di energie che usano tecnologie sostenibili e offrono un contributo positivo al cambio climatico.
E’ un percorso che potrebbe essere replicato in altri bacini petroliferi che sono ostaggio di iniziative industriali spregiudicate, a cominciare dal quello del Congo. Nella prospettiva della Conferenza delle Nazioni Unite sullo sviluppo sostenibile che si terrà a giugno 2012 a Rio de Janeiro, a venti anni dalla prima Conferenza che coniò il concetto di sostenibilità, l’iniziativa Yasuni può essere una dellebest practice, le pratiche migliori da portare ad esempio. Speriamo non rimanga una opportunità mancata.
Marco Corordi