15/04/2010
Riccardo, 40 anni, non ha mai avuto
una ricetta precisa. Anzi, sin
dai primi mesi di vita dei suoi
due figli maschi, che oggi hanno 14 e
15 anni, ha sempre pensato che, per
non farsi travolgere dalla responsabilità
di padre, la cosa migliore fosse vivere
ciascuna giornata affrontandone di volta
in volta gioie e problemi.
«Di una cosa, però, sono sempre stato
sicuro», dice. «Mai come mio padre.
L’ho deciso sin da piccolo, quando la
mammami diceva di mettermi tranquillo
e stare zitto perché stava arrivando
papà dal lavoro o quando, la domenica,
speravo che ci fosse un po’ di tempo per
me e invece dopo la Messa e il pranzo
con i nonni, le ore passavano e lui dormiva
“perché era stanco morto per il lavoro”.
Alla fine la mamma mi portava ai
giardini e mi comperava il gelato oppure
mi dava i soldi per il cinema dell’oratorio...
Tutto bello, ma mi sarebbe piaciuto
fare qualcosa con lui, invece di
avere solo ricordi di una sgridata o una
faccia scura. In fondo, però, gli devo dire
grazie: anche un esempio negativo
può diventare positivo, se ti spinge a fare
qualcosa di buono».
Continua Riccardo: «Non so che bilancio
faranno un giorno i miei bambini
su di me, ma per ora mi basta sapere
che mi sono posto queste domande: come
devo fare il padre? Quali errori devo
stare attento a evitare? Come arrivano
a loro le mie parole e i miei gesti? E, soprattutto,
conosco il mio rischio educativo?
Certamente non sarò mai troppo
distante e severo, ma forse potrebbe accadere
il contrario...».
Riccardo, e molti altri papà tentati di
limitarsi a un ruolo da rassicuranti
“mammi”, non mancheranno di essere
provocati dal libro di Cladio Risé, Il padre,
della serie “L’arte di educare”, acquistabile
questa settimana con Famiglia
Cristiana. Non si può dire che il noto
psicoterapeuta abbia usato toni morbidi per mettere in guardia da una “società
senza padri” e per sottolineare l’estrema
urgenza che i papà riprendano un
ruolo differenziato da quello delle madri,
e quindi divengano capaci di accettare,
cercando di dargli un senso, anche
le prove, le perdite, le difficoltà della vita
dei propri figli.
Preoccupazioni, domande, dubbi
che, da parte degli uomini (e non solamente
delle più ansiose mamme), del resto,
sono resi ancora più evidenti dal fiorire
di scuole, corsi sul fare i genitori e
anche dalla molta manualistica sul tema.
Un bisogno di consigli che è ben
presente ad Alberto Pellai, medico, psicoterapeuta
ed esperto di prevenzione
in età evolutiva, che ogni sabato mattina,
dal 2006, conduce con Nicoletta
Carbone, sulle frequenze di Radio24,
Questa casa non è un albergo!, l’unico
programma radiofonico dedicato alla
relazione tra genitori e figli.
Il libro che porta il medesimo titolo
(uscito in questi giorni per Kowalski), è
definito nell’introduzione «una guida
per genitori sull’orlo di una crisi di nervi
alle prese con il peggiore degli incubi:
l’adolescenza dei propri figli» ma, nonostante
la premessa, è attraversato da
quel ritmo positivo, curioso e allegro,
che caratterizza la trasmissione.
«Nessuno di noi ha la presunzione di
avere la ricetta magica per fare il padre.
Non c’è manuale, né corso che tenga.
Non c’è un bric-a-brac del genitore moderno,
un banale “fai così o cosà”, ma
che ci sia in giro una nuova generazione
di papà, desiderosi di capire, di essere
diversi dai propri padri, è sotto gli occhi
di tutti. Le migliaia di telefonate,
contatti, e-mail, messaggini che abbiamo
ricevuto alla radio e che hanno dato
vita a una grande comunità virtuale,
ma anche tutti gli incontri che ho grazie
alla mia professione e all’essere padre
di quattro figli di nove, sei, tre e un
anno, mi ha portato a comprendere
sempre più quanto sia importante pensare
all’essere genitori come a un capitale
sociale e quindi alla necessità di fare
molto di più per aiutare padri e madri, a
cominciare dall’imparare a parlare tra
di noi per non sentirsi spiazzati e disorientati
di fronte alla crescita dei figli.
L’auto-aiuto tra genitori è il primo passo,
insieme con la confidenza nella coppia,
il primo luogo in cui occorre parlare
dell’educazione dei figli».
Condividere tra genitori dubbi e problemi è certamente un fatto più semplice
che parlare con i figli, soprattutto
quando da profumati e affettuosi bambini
si trasformano in trascurati e malmostosi
adolescenti.
Ma Alberto Pellai, che tra i diversi
“esperti di educazione” noti al pubblico
si distingue per la concretezza delle osservazioni
e la ricchezza degli esempi
di vita vissuta, sa dare suggerimenti pratici,
come la “movieterapia”: «Si vede un
film insieme e poi, senza fretta – senza
bisogno di dar vita a un cineforum familiare
– se ne parla, se ne commentano la
storia e i diversi protagonisti... È più facile
che si riesca a fare un discorso così
che in altro modo. Oppure, ci si può divertire
a commentare “le cose da fare” e
quelle “da non fare” per vedere se tra
adulti e ragazzi si hanno opinioni simili
o meno. Ma per intavolare questo rapporto
non ci si può certamente svegliare
quando il figlio ha i primi brufoli. Occorre
mettersi in moto quando ancora
si spinge la carrozzina».
Convinto che a fare i papà si impari
sin dai mesi della gravidanza, Pellai ha
ideato per le edizioni San Paolo una collana
che accompagna gli uomini sin dalla
notizia che è in arrivo un bambino:
«Fino a poco tempo fa, tutta l’attenzione
era incentrata sulle madri, mentre bisognerebbe
riflettere sul fatto che oggi
c’è ancora più bisogno di papà, perché
le mamme lavorano fuori casa e quindi
hanno meno tempo rispetto alle casalinghe,
ma anche perché i rischi che i ragazzi
corrono in questa società sono di
gran lunga superiori al passato, in quanto
si sono abbassate le soglie della trasgressione».
Inutile dire che
anche Alberto Pellai
è un sostenitore della
necessità di imparare
a “dire no”:
«Molti padri ammettono
che non ne sono
capaci perché
non sopportano il
dolore o la rabbia
che un loro divieto
può produrre. Ma, andando più a fondo
nella questione, è chiaro che non sanno
tollerare la frustrazione di sembrare un
padre cattivo agli occhi dei figli, pensando
che dando tutto saranno amati sempre
e incondizionatamente. Sono alcuni
di questi papà che, se vedono un problema,
preferiscono affidarsi a uno specialista,
a tirarsi fuori dal gioco, cosa
che è un atteggiamento opposto a quello
delle mamme, che prima di tutto
“sentono” con la pancia».
Luciano Scalettari