14/05/2011
Beirut rischia di perdere la sua storia. Quella che un tempo era conosciuta nel mondo come la "Parigi del Medio Oriente" sta sacrificando le testimonianze del suo passato. L'allarme ha cominciato a girare su Facebook. Perché, come ormai spesso avviene in molti campi, tutto nasce da lì, da Facebook, da un gruppo creato quasi per caso sul social network e dal tam tam e circuito di informazioni che si produce tra i vari "amici" e "amici di amici". Così, a marzo 2010, Pascale Ingea, pittrice e insegnante di arte e disegno di Beirut - innamorata dell'Italia, dove ha studiato pittura murale, e che considera la sua seconda patria - lancia su Facebook il gruppo "Stop destroying your heritage!", per sensibilizzare amici e conoscenti sulla ormai sistematica distruzione di edifici, luoghi simbolici e case tradizionali libanesi costruite a cavallo tra il XIX e il XX secolo nei quartieri storici, da Gemmayzeh, cuore della vita notturna, fino a Mar Mikhael, oggi quartiere di design e boutique, che la speculazione edilizia non esita a calpestare per costruire nuovi "mostri" di cemento per ricchi. In poco tempo il gruppo su Facebook prende vita, riceve un gran numero di adesioni da molti Paesi, comincia a muovere scambi di opinione generando un dibattito culturale.
Nel giro di pochi mesi il gruppo passa da Facebook allo status di associazione a tutti gli effetti: a ottobre 2010, grazie all'impegno e alla passione di Pascale Ingea e di altri amici, nasce l'Associazione per la protezione del patrimonio libanese, di cui Pascale è presidente (www.protect-lebaneseheritage.com/blog): una Ong regolarmente riconosciuta che riunisce un gruppo di artisti volontari e si propone di creare un Libano più pacifico attraverso la cultura e l'arte, difendendo il patrimonio culturale libanese. Come spiega Pascale, che si dedica anima e corpo a questa "avventura", la Ong ha cominciato a collaborare con il ministero della Cultura libanese per monitorare e informare su qualunque tentativo di deturpare o abbattere edifici e case tradizionali; ha organizzato, insieme ad altre associazioni simili, incontri e marce simboliche attraverso i quartieri della città "in via di estinzione" - dove stanno scomparendo - chiedendo al Parlamento, di votare una legge apposita per la protezione del patrimonio libanese. «In Libano esiste una legge che protegge soltanto le antichità», spiega Pascale Ingea, «noi vogliamo una legge che difenda tutto il nostro patrimonio». Su Facebook continua regolarmente a pubblicare le foto che testimoniano lo scempio degli edifici storici abbattuti, per dare spazio a nuove costruzioni moderne progettate spesso senza rispetto e attenzione per il paesaggio urbano.
L'associazione fondata da Pascale Ingea non è la sola a lottare contro la distruzione della storia libanese. Altre organizzazioni sono nate nel corso degli ultimi anni e si sono attivate su Facebook. Una, ad esempio, è Save Beirut heritage: negli anni '90, esistevano circa 1.200 case ed edifici tradizionali in tutta la zona di Beirut e dintorni (le tipiche case con le finestre a tre archi e i tetti rossi, gli edifici
in stile rococò, quelli di epoca ottomana e coloniale). Oggi ne sono rimaste circa 400. Con il ministero della Cultura l'associazione ha rivisto numerosi permessi di demolizione e bloccato l'abbattimento di molti edifici. Per salvare l'eredità culturale del Paese, spiegano i responsabili del gruppo, serve "un genuino risveglio popolare, qualcosa che non c'è stato negli anni '90".
Un grande cantiere a cielo aperto
A fine settembre del 2010, in occasione di una grande marcia con le
candele
accese nei quartieri storici, gli attivisti hanno denunciato un vero e
proprio "stato di emergenza", affermando che intere zone
di Mar Mikhael e rue Gouraud, strada ricca di locali e di vita notturna nel cuore di
Gemmayzeh, sono minacciate dalle
mire degli investitori. Alcuni giorni fa la campagna di protesta degli
attivisti si è focalizzata intorno al sito dove sorgeva lo storico - e demolito - Cinema Vendome, a Mar Mikhael, destinato a diventare un complesso di
appartamenti di 19 piani. L'impresa che porta avanti il
progetto immobiliare è la Har properties: membro fondatore è Fahed Rafik
Hariri, fratello maggiore dell'ex primo ministro libanese Saad Hariri (il padre, l'ex premier Rafiq
Hariri, è stato assassinato a Beirut nel 2005). Intanto, le iniziative delle organizzazioni vanno avanti. Con la sua Associazione per la protezione del patrimonio
libanese, Pascale Ingea sta organizzando un grande evento di
sensibilizzazione per il
prossimo autunno: una mostra di fotografie con la proiezione di un film a
Beirut, in un giardino pubblico nel quartiere di
Achrafieh, per mostrare la storia dell'architettura libanese e le varie
distruzioni già avvenute a Beirut. Forte dei suoi contatti con l'Italia -
e in particolare con
la città di Firenze dove ha studiato - Pascale ha chiesto il patrocinio per questa iniziativa all'Ambasciata italiana in Libano.
Le associazioni con il loro attivismo hanno fatto tanto. Ma non è
ancora abbastanza per salvare le bellezze di una delle città più aperte,
vivaci e affascinanti del Mediterraneo, e allo stesso tempo una
delle più martoriate, sfregiata da una lunga ed estenuante guerra
civile
- tra il 1975 e il 1990 - e ancora oggi alla ricerca di una pace
continuamente minacciata. La guerra e i bombardamenti, anni fa, hanno
spazzato via buona parte del patrimonio architettonico urbano. Già alla
fine della guerra, in tutto il Libano si è attivata una grande corsa
alla ricostruzione, determinando il boom del settore immobiliare. Oggi,
al posto delle bombe, sono gli affaristi e gli speculatori edilizi che,
grazie al sostegno delle banche, nonostante la crisi economica
mondiale investono grandi somme nella costruzione di grattacieli e
imponenti complessi residenziali con abitazioni da 1.500 metri quadrati
destinati ai miliardari libanesi e agli acquirenti del Paesi del
Golfo. In giro per Beirut è difficile non imbattersi in grandi lavori
edilizi; vaste zone del tessuto urbano si sono trasformate da qualche
anno in un enorme cantiere a cielo aperto. Per non parlare della costa,
sia urbana che al di fuori di Beirut, deturpata da nuove imponenti
costruzioni che hanno stravolto il paesaggio.
L'ex Parigi mediorientale, insomma, rischia di diventare una
nuova Dubai: modellata sulle esigenze
dei ricchi affaristi, esattamente come la "cattedrale del deserto", sacrificando la sua storia secolare
e la sua identità nazionale. "Beirut non è in vendita", "Beirut non è il deserto", ripetono gli slogan lanciati dalle organizzazioni per la difesa del patrimonio. Gli attivisti assicurano che "ognuna di quelle case storiche ha qualcosa da
raccontare. Spesso si tratta di storie di sofferenza e di nostalgia.
Beirut le ha ferite con le sue guerre e la sua instabilità, ma ciò che
oggi le sta realmente distruggendo è il fatto che il denaro si sta
dimostrando più forte della loro lunga lotta per difendere la propria
dignità".
Giulia Cerqueti