12/05/2013
La legge Bossi-Fini? Da bocciare senza riserve. Il Rapporto Ruperto del ministero dell’Interno? Niente a che vedere con la realtà. I Centri d’identificazione ed espulsione, altrimenti detti Cie? Non compatibili con un Paese civile. Questo è quanto emerge da Arcipelago Cie, l’indagine di Medici per i diritti umani che viene presentata il 13 maggio a Roma, nella Sala stampa estera di via dell’Umiltà.
Il coordinatore generale di Medici per i diritti umani, Alberto Barbieri, ne anticipa i contenuti: «In un anno, tra il febbraio 2012 e il febbraio di quest’anno, abbiamo visitato gli 11 centri operativi in Italia. In alcuni casi ci siamo andati due volte, come a Ponte Galeria, vicino a Roma, a Bologna e a Milano».
E il risultato qual è?
«Sicuramente quasi opposto a quello del rapporto presentato dal ministero dell’Interno. Le nostre osservazioni sui Cie sono ben diverse da quelle del sottosegretario Saverio Ruperto».
Come avete proceduto nella vostra indagine?
«Con tre quesiti. Il primo voleva verificare, a distanza di 15 anni dalla loro istituzione, se i Cie garantiscono i diritti di chi è lì dentro. Il secondo riguardava l’efficacia effettiva dei Cie, mentre il terzo è la nostra parte propositiva, che deve rispondere a questa domanda: ci sono altri strumenti meno afflittivi per le persone? Abbiamo parlato con gli enti gestori dei Cie, con le prefetture, le questure e con gli immigrati reclusi. Devo anche sottolineare che questo è il primo studio sistematico da quando la legge prevede che le persone recluse nei Cie possono restare lì fino a 18 mesi».
Cosa avete rilevato?
«In sostanza, la palese inadeguatezza dei Cie a garantire e tutelare la dignità di quelli che possiamo chiamare detenuti».
In effetti, l’indagine parla letteralmente di “strutture congenitamente incapaci per come sono strutturate a gestire la dignità delle persone”...
«Non solo», prosegue Barbieri. «Il sistema dei Cie è fallimentare e poco efficace nell’identificazione degli immigrati. Solo uno su due viene rimpatriato, su circa 8.000 trattenuti nei Centri. E se questa media del 50 per cento dovesse sembrare insufficiente, diventa catastrofica quando prendiamo in considerazione non solo chi è nei Cie, ma la totalità degli immigrati irregolari. Su circa 326.000 irregolari, solo l’1,2 per cento viene rimpatriato».
E i costi?
«I costi, ovviamente, sono importanti. Ma c’è anche scarsa trasparenza da parte del sistema. Perché è vero che ogni ente gestore ha un suo budget, che ci è stato mostrato. Ma non basta a stabilire la spesa totale. Non sappiamo quanto costi il mantenimento delle strutture, così come le varie riparazioni necessarie, soprattutto nei casi di incidenti, come è già capitato più volte. E le forze di sicurezza? Quanto costano? Nessuno lo sa».
Voi cosa proponete?
«Innanzitutto bisogna partire dal presupposto che il sistema dei Cie, così concepito, non è rifondabile, ma va radicalmente cambiato l’approccio che lo Stato ha nei riguardi degli immigrati irregolari. E la colpa non è certo degli enti gestori dei Cie che, anzi, sono una ruota efficiente dell’ingranaggio. Ma è proprio l ’ingranaggio a essere deficitario. Ci vorrebbe una riforma globale della Legge Bossi-Fini, che ha dimostrato di favorire la clandestinità. Inoltre, per i Cie bisognerebbe almeno diversificare le categorie di persone. Ora l’eterogeneità è totale: ex detenuti, in percentuale notevole, vivono a contatto di persone con grandi vulnerabilità, sia fisiche sia psicologiche. Il paragone che mi viene da fare, come medico, è che i Cie ricordano da vicino i manicomi. Bisogna, invece, incentivare la collaborazione tra immigrati e autorità».
E l’Unione europea cosa dice?
«Va anche detto, a questo proposito, che la situazione dei Cie di altri Paesi europei è simile alla nostra. Bisogna spingere affinché le proposte alle forze politiche in ambito europeo abbiano un seguito, dunque, perché la detenzione amministrativa è diventata un caso europeo».
I nostri politici cosa faranno, secondo lei?
«Abbiamo invitato la presidente della Camera, Laura Boldrini, e il ministro dell’integrazione, Cécile Kyenge, alla presentazione della nostra indagine. Che, in ogni caso, verrà mandata a tutti i politici, perché la situazione dei nostri Cie non è compatibile con un Paese civile».
Manuel Gandin