31/01/2013
Quanti sono i migranti clandestini effettivamente rimpatriati dall’Italia dai Cie (centri d’identificazione ed esplusione)? Secondo i dati forniti dalla Polizia di Stato, sono stati 4.015 su 7.944, cioè il 50,5%. «Solo» il 50,5%, è l’avverbio che aggiunge Medu (Medici per i diritti umani), di fronte a queste cifre. E lo fa dall’alto di un continuo monitoraggio delle condizioni di vita nei dieci centri Cie attivi del Paese, e su cui tra poche settimane elaborerà un documento che, possiamo anticiparlo, sarà fortemente negativo.
Secondo Medu, si conferma «la sostanziale inutilità dell’estensione della durata massima del trattenimento da 6 a 18 mesi ai fini di un miglioramento nell’efficacia delle espulsioni, dal momento che il rapporto tra i migranti rimpatriati rispetto al totale dei trattenuti nei Cie è incrementato di appena il 2,3% rispetto al 2010, anno in cui il limite massimo per la detenzione amministrativa era ancora di sei mesi». Spiega Alberto Barbieri, coordinatore generale di Medu: «La “direttiva rimpatri” dell’Ue parla di trattenimento massimo di sei mesi, con la possibilità di estenderlo, ma solo in casi eccezionali, fino a un massimo di 18. In realtà, i 18 mesi sono diventati la regola. D’altra parte, non è solo l’Italia in queste condizioni. Il problema riguarda anche gli altri Paesi occidentali».
I dati della Polizia, analizzati da Medu, in effetti, sono impietosi: «Il numero complessivo dei migranti rimpatriati attraverso i Cie nel 2012 risulta essere l’1,2% del totale degli immigrati in condizioni d’irregolarità presenti sul territorio italiano (326.000 secondo le stime dell’Ismu al primo gennaio 2012)». L’Ismu (Iniziative e studi sulla multietnicità) è un ente scientifico autonomo e indipendente che promuove studi, ricerche e iniziative sulla società multietnica e multiculturale, con particolare riguardo al fenomeno delle migrazioni internazionali. Dice ancora il Medu che «il prolungamento del tempo massimo di detenzione nei Cie ha drammaticamente peggiorato le condizioni di vita dei migranti all’interno di queste strutture. Tale evidenza è stata sistematicamente riscontrata dai team di Medici per i diritti umani durante le viste effettuate in tutti i Cie nel corso dell’ultimo anno e confermata dagli stessi enti gestori e, sovente, anche dai rappresentanti delle Prefetture».
Medu ha visitato dieci centri Cie su dodici in Italia. Uno di questi, quello di Lamezia Terme, è stato chiuso dopo una visita effettuata da Medu. Medu si appella ai candidati alle elezioni affinché trattino il tema dei Cie anche in campagna elettorale e affinché, dopo le elezioni, rivedano il sistema di detenzione amministrativa, soprattutto attraverso la riforma della legge Bossi-Fini.
A conferma delle ripetute violazioni dei diritti umani di questi migranti, basterebbe pensare alle tante storie che Medu cerca di documentare e portare allo scoperto. Come quella di M., giovane rinchiuso in un Cie dal 2011, arrivato per la prima volta in Italia a Lampedusa, nell’ottobre 2010. Nel dicembre 2011 viene internato nel Cie di Gradisca d’Isonzo, in Friuli-Venezia Giulia, poi a Trapani, e infine riportato a Gradisca senza che si possa procedere al suo rimpatrio. Ai primi di dicembre, dopo aver ingerito numerosi farmaci e molte monete, è trasferito d’urgenza al pronto soccorso dell’ospedale di Gorizia dove gli viene praticata la lavanda gastrica ed è ricondotto al Cie.
Il giorno dopo è sottoposto nello stesso nosocomio a visita psichiatrica con diagnosi di reazione da stress ambientale e calo ponderale importante in sindrome depressiva reattiva. Lo psichiatra ritiene “assolutamente urgente” velocizzare l’uscita dal Cie, ritenendo che la situazione ambientale possa peggiorare il quadro. Niente da fare. Alla fine di dicembre una nuova visita psichiatrica riscontra un peggioramento (“grave sindrome depressiva con importante dimagrimento”), specificando che “la situazione psico-patologica è sicuramente reattiva al trattenimento nel Cie”.
Il 1° gennaio di quest'anno M. comincia a rifiutare acqua, farmaci e cibo. In otto giorni perde sette chili. Il 3 compie un nuovo atto d’autolesionismo riportando una ferita superficiale al gomito sinistro e rifiutando il trasporto in ospedale. L’8, i sanitari del centro, certificandone lo “stato cachettico” e l’evidente condizione di disidratazione, inviano il paziente al pronto soccorso per accertamenti. Dopo nove giorni dall’inizio del digiuno, la direzione sanitaria del centro annota che “l’ospite ha ripreso ad alimentarsi e a reidratarsi per cui tenendo presente la compatibilità dei parametri vitali e soprattutto la volontà di riprendere a mangiare e bere, si ritiene attualmente compatibile dal punto di vista organico il suo trattenimento presso il Cie Gradisca salvo ulteriori ripensamenti autolesionistici”.
Ma il 12 M. è nuovamente ricondotto ai servizi psichiatrici territoriali dove un’ulteriore consulenza specialistica conferma il quadro di grave sindrome depressiva reattiva e chiede, per la terza volta, l’urgente rilascio dal Cie. Il paziente rifiuta di assumere la terapia psichiatrica prescrittagli. Il 22 rifiuta alimenti e bevande andando incontro a un nuovo calo ponderale. Chiede di poter essere visitato da un medico di Medu di sua fiducia. Il colloquio viene concesso ma, da regolamento, per soli venti minuti, attraverso una barriera di plexiglass e in presenza di due agenti di pubblica sicurezza. Il medico riscontra lo stato di notevole sofferenza del paziente e, dopo aver a lungo interloquito con gli agenti, ottiene unicamente un breve tempo supplementare per il colloquio.
A parere di Medu, «il provvedimento di detenzione amministrativa in un Cie, che secondo la normativa europea e la legge italiana dovrebbe essere finalizzato esclusivamente a effettuare il rimpatrio del cittadino straniero, appare essere stato protratto in questo caso oltre ogni ragionevolezza, ledendo gravemente valori fondamentali come la salute e la dignità umana. Come riscontrato da un suo team in una recente visita (ottobre 2012), Medici per i diritti umani ritiene le condizioni di vita all’interno del Cie di Gradisca estremamente afflittive e del tutto inadeguate a garantire i fondamentali diritti della persona e pertanto non compatibili con il trattenimento di un paziente sofferente come M. Medu richiede pertanto che M. sia urgentemente rilasciato in modo tale da evitare ulteriori e imprevedibili aggravamenti e da potergli assicurare le adeguate cure specialistiche». Dal 1° febbraio, M. è ricoverato all’ospedale di Gorizia per una crisi ipoglicemica, da dove è prevedibile che verrà ricondotto al centro d'identificazione ed espulsione non appena i suoi parametri vitali e le sue condizioni fisiche lo permetteranno.
A tutt’oggi, il caso di M. è ancora in attesa di una soluzione. Ma quello che appare sempre più evidente è che i Cie italiani, per risultati portati a termine e per inadeguatezza delle strutture, sono inefficaci e rischiano di ledere addirittura i diritti umani dei migranti.
Manuel Gandin