02/07/2012
Sui diritti umani l'Italia rischia di rimanere al palo. A due anni dalle 92 raccomandazioni Onu che chiedevano al nostro Paese un decisivo salto in avanti, qualcosa è cambiato, ma molto resta da fare. L'Italia, unica tra gli Stati Ue, non ha ancora un'autorità indipendente garante dei diritti umani. Il nostro ordinamento giuridico non prevede il reato di tortura. E la delicatissima questione dei diritti di migranti e rifugiati politici resta un nodo per molti versi irrisolto.
Il Comitato per la promozione e la protezione dei diritti umani, una rete di 86 Organizzazioni non governative che svolge un insostituibile lavoro di ricerca e sensibilizzazione, ha appena pubblicato il Secondo Rapporto di monitoraggio sull'attuazione da parte dell'Italia delle 92 raccomandazioni formulate dal Consiglio Diritti Umani delle Nazioni Unite. Tantissimi gli aspetti presi in esame: dai diritti dei bambini a quelli delle donne, dalle discriminazioni razziali alle condizioni dei lavoratori, dalla libertà di stampa all'educazione. Sono passati due anni da quando il nostro Paese, in qualità di "State under review" (Stato sotto revisione), è stato chiamato a render conto pubblicamente del proprio operato a Ginevra, davanti al Consiglio dei Diritti Umani.
Carola Carazzone.
Questo organismo non ha nulla a che vedere con un tribunale internazionale: nato
nel 2006, per rimpiazzare la vecchia Commissione Diritti Umani, è
costituito da 47 Paesi membri eletti per tre anni. Il confronto, dunque,
avviene tra pari, attraverso un meccanismo chiamato Revisione Periodica
Universale. In sostanza lo Stato "sotto esame" presenta una serie
di documenti sintetici sull’attuazione degli obblighi internazionali che
vengono scrutinati in una seduta pubblica. Successivamente il Consiglio
formula una serie di raccomandazioni, che, pur non avendo valore
vincolante, servono a richiamare l'attenzione su aspetti specifici e a
sollecitare gli interventi necessari. Questo sistema garantisce un alto
livello di trasparenza: le sedute sono trasmesse via web, quindi
accessibili a tutti. La revisione si ripete ogni quattro anni.
Nel 2010 l'Italia ha ricevuto 92 raccomandazioni (ne ha accolte 80 e
rigettate 12): il 60% di esse riguardano migranti, rifugiati e
richiedenti asilo politico. «Il nostro Paese non ha ratificato la
Convenzione Onu sui diritti dei lavoratori migranti. Quindi, al momento,
la revisione periodica universale è una delle rare occasioni di
confronto internazionale su questi argomenti - spiega Carola
Carazzone, portavoce del Comitato per la Promozione e la Protezione dei
diritti umani e presidente del Vis (Volontariato internazionale per lo
sviluppo) – Attualmente le persone che si trovano in territorio
italiano in condizione di clandestinità, vengono ancora definite
"irregolari". Ma c'è un dato che dovrebbe farci riflettere: solo un
terzo dei migranti rinchiusi nei Cie (Centri di Identificazione e di
Espulsione) vengono poi espulsi, gli altri rimangono sul nostro
territorio. Ci sembra inaccettabile che reati amministrativi, a volte
dovuti anche a lungaggini burocratiche, vengano di fatto puniti con una
detenzione di questo tipo».
Non si può dire che tutto sia fermo a due anni fa: «Va segnalata una
nota positiva: tra i primi atti dell'attuale ministro dell'Interno
Annamaria Cancellieri c'è l'abolizione delle circolari Maroni che
impedivano ai giornalisti l'ingresso nei Cie». Certo, però,
l'integrazione è un traguardo ancora molto lontano. Anche su molti
altri punti l'Italia non può permettersi di restare indietro: «Dal
2002, anno della costituzione del Comitato, ci battiamo per la nascita
di un'istituzione indipendente, trasparente e competente che faccia
da garante per i diritti umani nel nostro Paese - prosegue Carazzone -
Molti si oppongono, obiettando che sarebbe una "macchina" non
necessaria. Noi invece la riteniamo uno strumento indispensabile, in uno
Stato che voglia davvero definirsi democratico».
Non solo. Pochi giorni fa si è celebrata la Giornata mondiale contro la
tortura: «è impensabile che il nostro ordinamento continui a non
prevedere il reato di tortura. Porre rimedio a questa lacuna è
un'assoluta priorità». Come possiamo poi dimenticare la tragedia delle
violenze sulle donne, che secondo dati Istat ha colpito solo l'anno
scorso oltre 6 milioni di persone? «Il Comitato – si legge nel Rapporto
2012 – sollecita lo Stato parte a mettere enfasi su misure globali per
affrontare la violenza contro le donne, in famiglia e nella società e
assicurare che le vittime femminili abbiano immediata protezione». Una
richiesta che vale in modo particolare per le fasce più a rischio «come
le donne Rom e Sinti, migranti, più anziane, diversamente abili». In
questioni così delicate e urgenti il ruolo della società civile sarebbe
decisivo, ma sicuramente manca un'informazione adeguata: «A distanza
di due anni, non esiste ancora una traduzione ufficiale italiana del
testo delle 92 raccomandazioni Onu, cosa che certo non contribuisce a
renderlo accessibile. Inoltre chiediamo al Governo di preparare, così
come raccomandato dal Consiglio Diritti Umani, un Rapporto di Medio
Termine, cioè un documento che descriva la situazione italiana attuale,
in attesa della prossima revisione del 2014. Ci sembra una questione di
serietà e credibilità internazionale, tanto più che l'Italia è stata da
poco riconfermata membro del Consiglio dei 47. Come possiamo "far le
pulci" agli altri Stati se noi per primi non osserviamo le richieste del
Consiglio?».
Anche per sopperire a queste carenze il Comitato sta facendo un
imponente lavoro di follow up, ovvero di monitoraggio periodico con
rapporti annuali, traduzioni e utili contributi. Molto di questo
materiale è liberamente consultabile sui siti
www.comitatodirittiumani.net e www.volint.it «Per cambiare davvero la situazione - conclude Carazzone - non basta un lavoro politico, ma ci vuole uno scarto culturale. Troppo
spesso continuiamo a pensare che la riflessione sui diritti umani non
ci riguardi. Magari ci impegniamo come paladini a difesa di terre e
popoli lontani (cosa giusta, ovviamente) ma finiamo per dimenticare le
emergenze che abbiamo dentro casa. In realtà, in materia di diritti
umani, nessun Paese può dirsi davvero immune e tutti devono sentirsi
chiamati a render conto del proprio operato».
Lorenzo Montanaro