Medio Oriente, libertà e repressione

Il rapporto di Amnesty International sugli avvenimenti del 2011 in Medio Oriente e Africa del Nord, dalla Tunisia al Bahrein passando da Libia e Siria: 80 pagine di denunce.

14/01/2012
Un piccolo egiziano in piazza. Foto Ansa.
Un piccolo egiziano in piazza. Foto Ansa.

Le violazioni sono all'ordine del giorno. Tutti li celebrano a parole; in tanti li calpestano torturando, fucilando, impiccando, picchiando selvaggiamente. I diritti umani sono un patrimonio spesso ripudiato dall'umanità. Amnesty International ha voluto analizzare il 2011 dei Paesi che s'affacciano sul Mediterraneo e sul Golfo Persico, un anno vissuto nel nome della libertà e della democrazia, tra rivoluzioni, repressione e guerre civili. Il 9 gennaio è stato presentato un rapporto di 80 pagine dal titolo “Un anno di rivolta. La situazione dei diritti umani in Medio Oriente e Africa del Nord”.

I successi ottenuti con la caduta dei vecchi regimi di Tunisia, Egitto e Libia non sono stati seguiti  da profonde riforme istituzionali capaci di evitare il ripetersi dello stesso genere di violazioni dei diritti umani. «Con poche eccezioni, i nuovi Governi non hanno saputo riconoscere che è cambiato tutto», ha denunciato Philip Luther, direttore ad interim per il Medio Oriente e l’Africa del Nord di Amnesty International. «In tutta la regione i movimenti di protesta, guidati in molti casi dai giovani, con le donne a svolgere un ruolo centrale, hanno dimostrato di avere una forte resistenza di fronte a una repressione a volte furibonda. Vogliono cambiamenti concreti nel modo in cui sono governati ed esigono che chi in passato ha commesso violazioni dei diritti umani sia chiamato a renderne conto. I costanti tentativi di offrire dei rinnovamenti di facciata, di ricacciare indietro i progressi ottenuti dai manifestanti o semplicemente di brutalizzare e sottomettere le loro popolazioni, indicano che l’obiettivo di molti Governi è la sopravvivenza».

   

Egitto. Una manifestazione popolare svoltasi al Cairo il 23 dicembre 2011. Foto di Mohamed Omar, Epa/Ansa.
Egitto. Una manifestazione popolare svoltasi al Cairo il 23 dicembre 2011. Foto di Mohamed Omar, Epa/Ansa.

Egitto. Nel più grande Paese arabo l’organismo al potere è il Consiglio supremo delle forze armate (Scaf). I militari, che hanno destituito in febbraio 2011 il loro capo, Hoisni Mubarak, si sono resi responsabili di almeno 84 morti negli ultimi 3 mesi del 2011. Soltanto al Cairo, in piazza Tahir, negli ultimi giorni di novembre hanno perso la vita quarantun giovani manifestanti e feriti almeno un migliaio. La protesta dei ragazzi implica una profonda revisione del sistema politico sociale: l’obiettivo è quello di voler riformare la società dominata dalla classe militare, una casta formatasi nei decenni che invade tutte le attività più importanti della vita nazionale, dall’economia all’industria, alla stessa giustizia affidata in larga parte ai suoi tribunali. Nel giugno 2012 l’Egitto è chiamato alle urne per la prima volta dalla caduta del rais: sarà una maratona elettorale di sei mesi e i ragazzi della rivolta di piazza Tahir temono la truffa dei generali. La posta in gioco è alta: il futuro della democrazia.

    

Libia. Il 7 dicembre 2011, a Tripoli, diversi manifestanti sono scesi in strada per chiedere il ritiro dalla capitale di tutte le bande armate. Foto di Sabri Elmhedwi, Epa/Ansa.
Libia. Il 7 dicembre 2011, a Tripoli, diversi manifestanti sono scesi in strada per chiedere il ritiro dalla capitale di tutte le bande armate. Foto di Sabri Elmhedwi, Epa/Ansa.

Tunisia. Note come rivoluzione dei Gelsomini, le sommosse popolari del 2010-2011 contro disoccupazione, rincari alimentari, corruzione e cattive condizioni di vita hanno provocato decine di morti e feriti in numerose città. Dopo la caduta del presidente Ben Ali e successive elezioni in ottobre 2011, si è formata una coalizione di governo e Moncef Marzouki, attivista per i diritti umani ed ex prigioniero di coscienza di Amnesty International, è stato nominato presidente ad interim. Fondamentali per la stesura di una nuova Costituzione i dieci impegni contenuti nel manifesto di Amnesty: porre sotto controllo le forze di sicurezza; combattere la tortura; chiedere che le persone detenute possano avere accesso al mondo esterno; rispettare i diritti alla libertà d’espressione; riformare il sistema giudiziario; indagare sulle violazioni del passato; realizzare i diritti economici, sociali e culturali; abolire la discriminazione; porre fine alla violenza contro le donne; cancellare la pena di morte.

Libia. Dopo la morte del dittatore Muammar Gheddafi avvenuta lo scorso 20 ottobre, l’organizzazione dei diritti umani ha chiesto alle nuove autorità libiche che se il colonnello è stato deliberatamente ucciso una volta catturato si tratterebbe di un crimine di guerra, i cui responsabili dovrebbero rispondere di fronte alla giustizia. A novembre 2011 le Nazioni Unite hanno denunciato che circa 7000 persone sono detenute in centri di prigionia improvvisati controllati dalle brigate rivoluzionarie senza alcuna prospettiva di un regolare processo.

    

Damasco, 7 gennaio 2012. Il funerale delle vittime di un attacco con un'auto bomba. Foto di  Youssef Badawi, Epa/Ansa.
Damasco, 7 gennaio 2012. Il funerale delle vittime di un attacco con un'auto bomba. Foto di Youssef Badawi, Epa/Ansa.

Siria. È sempre più critica la crisi. I gruppi dell’opposizione interna accusano la dittatura di Bashar al Assad di aver intensificato la violenza repressiva sulla popolazione in rivolta a livelli gravissimi. Il Consiglio nazionale siriano, uno degli organismi più rappresentativi, dichiara che il regime avrebbe provocato la morte di 250 persone solo nel mese di dicembre 2011. Tra loro vi sarebbero numerosi disertori, ma anche donne e bambini rimasti coinvolti nei bombardamenti indiscriminati su quartieri e villaggi. Per dieci mesi si sono succeduti scontri e proteste. Secondo l’Onu i morti nella repressione sono oltre 5000. Le rare visite accordate dalle autorità siriane sono rigorosamente controllate e censurate e i visti concessi con il contagocce. A Homs l'11 gennaio 2012 un giornalista francese, Gilles Jacquier, è morto con oltre sette persone a causa di un'esplosione durante un comizio filogovernativo.

    

Egitto. Un momento degli scontri avvenuti al cairo, il 16 dicembre 2011. Foto di Khaled Elfiqi, Epa/Ansa.
Egitto. Un momento degli scontri avvenuti al cairo, il 16 dicembre 2011. Foto di Khaled Elfiqi, Epa/Ansa.

Yemen. Amnesty International ha commentato negativamente l’accordo per il trasferimento di poteri nello Yemen, siglato il 23 novembre scorso grazie alla mediazione del Consiglio di cooperazione del Golfo, che prevede la garanzia d’impunità per il presidente Ali Abdullah Saleh. Il patto che dovrebbe porre fine a 33 anni di presidenza di Saleh è stato giudicato “un affronto alle vittime delle violazioni dei diritti umani che nega loro verità e piena riparazione”. Sono state uccise oltre 200 persone durante le proteste, altre centinaia sono morte negli scontri armati.

Bahrein.  Un  rapporto della Commissione internazionale indipendente d'inchiesta, presieduta da Cherif Bassiouni,  reso pubblico il 23 novembre scorso, critica l'uso eccessivo della forza nel corso delle manifestazioni di febbraio e marzo 2011, della tortura e di ulteriori violazioni dei diritti umani commesse nei mesi successivi. Commentando le conclusioni della denuncia, Amnesty International  ha sollecitato le autorità del Bahrein ad accelerare le riforme in materia.

Arabia Saudita. Negli ultimi nove mesi le autorità dell’Arabia Saudita hanno inasprito la repressione, prendendo di mira col pretesto della sicurezza manifestanti e sostenitori delle riforme. Nonostante la stesura di una nuova legge che limita ulteriormente i diritti delle persone, le manifestazioni sono continuate fino alla fine dell’anno. «Pur se le giustificazioni per questa ampia repressione possono essere differenti da un caso all’altro, le pratiche arbitrarie portate avanti dal Governo saudita suonano sinistramente simili a quelle adottate da molto tempo nei confronti delle persone accusate di terrorismo», commenta Philip Luther.

Il sostegno dei poteri mondiali e degli organismi regionali, quali l’Unione africana, la Lega araba e l’Unione europea, alle popolazioni del Medio Oriente e dell’Africa del Nord è stato incoerente. «Con poche eccezioni», conclude Luther, «il cambiamento è stato in larga parte ottenuto grazie agli sforzi delle persone comuni scese in strada che lottano per la dignità e la giustizia. Ed è questo che ci dà speranza per il 2012».

Ginevra Petrolo
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