La cecità evitabile

In Vaticano un convegno del Pontificio consiglio per gli operatori sanitari, con la collaborazione di Cbm, Christian blind mission, Missioni cristiane per i ciechi nel mondo.

05/05/2012
Un ospedale oftalmico gestito da Cbm. Le foto di questo servizio sono tutte dell'archivio di Famiglia Cristiana.
Un ospedale oftalmico gestito da Cbm. Le foto di questo servizio sono tutte dell'archivio di Famiglia Cristiana.

«Come Cbm Italia puntiamo molto sulla lotta alla cecità e, in particolare, sulla cura di quella evitabile. La cecità si può prevenire, con gli interventi giusti, nell'80 per cento dei casi. Per questo abbiamo sviluppato un rapporto con il Pontificio consiglio per gli operatori sanitari in vista di estendere le competenze delle ong ai punti salute della Chiesa cattolica. Stiamo creando una interazione tra le strutture esistenti e la specificità nostra di lotta alla cecità». Mario Angi, oftalmologo, presidente di Cbm Italia e consultore del Pontificio consiglio, spiega il lavoro congiunto con il dicastero che proprio in questi giorni ha chiamato a convegno, in Vaticano, circa 300 persone da oltre 45 Paesi sul tema La persona non vedente: “Rabbunì, che io abbia la vista”.

Oculista al lavoro in un ospedale oftalmico gestito in Nepal da Cbm. Foto di Severino Marcato/Famiglia Cristiana.
Oculista al lavoro in un ospedale oftalmico gestito in Nepal da Cbm. Foto di Severino Marcato/Famiglia Cristiana.


«Attualmente», ha spiegato aprendo il convegno monsignor Zygmunt Zimowski, presidente del Pontificio consiglio per gli operatori sanitari, «meno del 5 per cento dei bambini con deficit visivi ha accesso a occhiali correttivi, nei Paesi in via di sviluppo. In questi luoghi risiede il 90 per cento delle persone con disabilità visiva parziale o totale». «Eppure», commenta il professor Angi, «l’80 per cento dei ciechi è prevenibile o curabile. Una quantità enorme. La cecità dovrebbe essere pensata come una malattia infettiva che, se curata e presa in tempo, viene risolta». Cbm Italia fa parte di Cbm international, una rete mondiale costituita da 11 associazioni nazionali (Australia, Canada, Germania, Gran Bretagna, Irlanda, Italia, Kenya, Nuova Zelanda, Stati Uniti, Sud Africa e Svizzera). Complessivamente Cbm è riuscita a raggiungere, nel 2012, 36 milioni di persone sostenendo 600 progetti in 60 Paesi. «Operiamo soprattutto in quelli più poveri», continua il professor Angi,  «perché i ciechi sono tali perché mancano farmaci, medici, ospedali e strutture organizzative. Mi riferisco, naturalmente, alla stragrande maggioranza non alle cecità genetiche, traumatiche o comunque non risolvibili. Se riuscissimo a intervenire su tutti casi evitabili avremmo comunque una riduzione significativa del peso della cecità nel mondo. Attualmente sono cieche 38 milioni di persone nel mondo». 

Il presidente di Cbm insiste sulla «correlazione tra cecità e povertà. Le due cose sono strettamente collegate, ma non è un concetto ancora ben chiaro a tutti. E questo perché i ciechi in Italia sono il 3 per mille. Noi non abbiamo la percezione della gravità del fenomeno perché non ce l’abbiamo sotto gli occhi, non li vediamo.  In altri Paesi, invece, il fenomeno rappresenta il 3 per cento della popolazione. E questo perché non ci sono strutture di riabilitazione e di cura, non c’è il parto assistito, non ci sono antibiotici, non c’è acqua. Noi viviamo in un mondo che non è reale. Il mondo reale è fatto da un’umanità sofferente e povera che tira a campare e noi invece discutiamo su cose futili perché il necessario non ci manca».

Annachiara Valle
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