29/12/2011
Una scena dello spettacolo "Non più – Frammenti di libertà all’improvviso", allestito dalla compagnia di teatro In-Stabile, nata dall’attività della cooperativa sociale "E.s.t.i.a", nel carcere di Milano Bollate.
Capita che Estia, la dea greca del fuoco, entri in carcere, anzi vi prenda dimora, ma non a seguito di una condanna né tantomeno per bruciare alcunché, quanto per portare quella scintilla, il fuoco della speranza, a chi, per giusti motivi, la libertà non ha. E la speranza in questo caso sono le attività di formazione e lavoro e gli strumenti della cultura, con il Teatro. Utili per il dopo, ma anche per il durante, della pena. Capita così che Non più – Frammenti di libertà all’improvviso, ultimo spettacolo allestito dalla compagnia di teatro In-Stabile, nata dall’attività della cooperativa sociale Estia all’interno della II Casa di Reclusione di Milano Bollate, finisca le date in programma a novembre con il tutto esaurito e faccia il pieno anche per le due date straordinarie programmate a dicembre.
Uno dei momenti iniziali dello spettacolo, con le ombre degli attori proiettate sulla parete.
‘Non più’ è una riflessione sulla libertà che tutti abbiamo ma non sappiamo di avere, fatta da chi della libertà è stato privato, a ragione e secondo diritto, ma che comunque privo ne è. Così loro, che per il momento sono senza, ci indicano i mille modi in cui noi, che siamo fuori, accettiamo la maschera che il nostro ruolo e la società ci impongono, nelle piccole cose, nella vita quotidiana, nei desideri, nelle speranze, nei ‘piccoli’ sogni. La libertà arriva dal non aver troppa paura di dire, di essere sé stessi, viceversa ci si ingabbia tentando di essere adeguati.
«Se noi che siamo dentro riusciamo a dire ciò che ci rende liberi, o
meglio cos’è che ci fa prigionieri davvero, al di là dello spazio
fisico del carcere, allora fatelo anche voi che siete fuori, a maggior
ragione», osserva Michelina Capato, presidente di Estia, nonché regista
della compagnia. E così in quei "Frammenti di libertà all’improvviso"
c’è una riflessione a volte tesa, altre ironica, mai amara però. Neppure
se tocca da vicino le "occasioni" che alla perdita della libertà,
quella concreta e non metaforica, hanno portato. I testi sono per la
quasi totalità dei membri della compagnia, fa eccezione "Per quanto sta
in te" di Costantino Cavafis. «Abbiamo stimolato il gruppo a scrivere», dice sempre la Capato, «e ne sono nati alcuni temi e una scrittura
ricca, sui testi autoprodotti c’è anche un progetto di pubblicazione».
Il teatro vuoto dentro al carcere di Bollate, con le gradinate dove si siede il pubblico.
E.s.t.i.a, acronimo di evocazioni simboli tracce invisibili all’occhio, è una cooperativa sociale onlus che nasce nel 2003, prima era un’associazione culturale attiva nelle carceri milanesi e al centro della sua attività c’era sempre il teatro. Dal 1993 a San Vittore con un laboratorio teatrale in collaborazione con l’Unità Operava Carcere della Asl e il progetto per le tossicodipendenze. Oggi la onlus, affianco al teatro, conta altre attività formative e di avviamento al lavoro, come una falegnameria all’interno dello stesso carcere e attività tecniche come un service audio e luci e uno di realizzazioni video. Nel dicembre 2000 l’associazione culturale si sposta nella struttura di Via Belgioioso, lì il teatro, a San Vittore il reparto video. Ora tutte le attività sono solo a Bollate, dove c’è anche un piccolo ufficio. «A San Vittore era difficile mantenere le attività da quando è diventato un carcere giudiziario, e il turn over è veloce, non consentendo di iniziare un lavoro con i detenuti e di finirlo», dice la regista.
Una fase delle prove dello spettacolo "Non più – Frammenti di libertà all’improvviso", Al centro: Michelina Capato, la regista.
Lo spettacolo ha un ritmo vivace, al parlato alterna coreografie musicali e scene corali dalle quali emergono singole voci, in una giostra, in un giro dove dal coro si stacca l’eroe e poi vi rientra. Un debito che il ritmo deve all’improvvisazione, vera base del lavoro: «Siamo partiti per lavorare sull’improvvisazione e siamo arrivati a elementi più strutturati, punti drammaturgici fissi, in un’alternanza di improvvisazione e strutturazione», continua la Capato, che spiega da dove viene quel senso di coinvolgimento per il pubblico. «Alcune coreografie sono fisse, ormai codificate dalle tante prove fatte. Non c’è un copione ma alcuni punti funzionano da perni, mentre rimane molto spazio per creare, pur sapendo sempre dove bisogna arrivare, per poi ripartire. In un certo senso lo spettacolo è vivo».
Del carcere lo scopo non è certo solo quello di punire e la Casa di Bollate offre diversi percorsi educativi. «Per l’elaborazione personale, per recuperare il senso di responsabilità, per costruire relazioni», si legge sul sito di E.s.t.i.a. Così il Teatro diventa una sorta di pietra filosofale utile a "far di veleno medicina".
Alessandro Micci