21/03/2013
La fotografia di copertina di questo servizio è di Parth Sanyal, dell'agenzia Reuters.
Contadini senza terra costretti a indebitarsi per sfamare la propria famiglia, bambini senza futuro che si aggirano per strade polverose come fantasmi, donne senza possibilità di scegliere. In India, e non solo, accade con una certa regolarità, a maggior ragione nelle aree rurali dove le occasioni di costruire un orizzonte diverso sono notevolmente ridotte. È in questi contesti che opera dal 1969 Assefa Italia, ong che promuove progetti di sviluppo integrato a beneficio della gente del posto che includono aspetti economici, sociali ed educativi. Non è con l'aiuto al singolo che si cambia il destino di una comunità: per questo servono interventi mirati che coinvolgano in prima persona i diretti interessati, facendoli tornare a essere protagonisti delle loro vite. Attraverso il lavoro, l'istruzione e la conquista dell'indipendenza.
Spazio, dunque, a iniziative di bonifica e messa a coltura dei terreni, a piccole attività imprenditoriali, a programmi di igiene e medicina preventiva, a scuole che aiutino concretamente i bambini e i ragazzi che le frequentano a sviluppare le loro abilità. Il tutto in una cornice che non può non tenere conto della radicata e fortissima cultura della non violenza.
Dopo più di 40 anni, Assefa viene annoverata
tra le più importanti organizzazioni non governative dell’India con il coinvolgimento di oltre 10mila villaggi, per un totale di quasi 5 milioni di persone. Il successo ottenuto dai progetti avviati in questi anni dimostra che la strada intrapresa è quella giusta: il microcredito può e deve diventare la risposta là dove non c'è altra soluzione per sopravvivere. Piccoli prestiti che si trasformano in attività imprenditoriali autonome, capaci di camminare sulle loro gambe e a loro volta volàno non solo economico per il resto della comunità. Il tutto inquadrato in una cornice che non può non tenere conto della radicata cultura locale e nello stesso tempo delle problematiche che un'economia in forte espansione come quella indiana portano inevitabilmente con sé.
«Visitare i progetti Assefa - racconta Marina, segretaria dell'associazione - è sempre un'esperienza profondamente coinvolgente. Da lontano si ha
certamente un’idea delle validità degli interventi, di come possono migliorare
la situazione di contadini senza terra, spesso costretti a indebitarsi per
nutrire la famiglia e affrontare le vicende della vita (ad esempio per sposare
le figlie), di come il microcredito cambia la vita delle donne, dando loro un
minimo di autonomia e una grande dignità. Ma quando si vedono i volti delle
persone, i loro occhi, quando si dà loro la mano e si vede l’ambiente in cui
vivono e lavorano, allora si capisce tutto e si provano tanti sentimenti
confusi e contraddittori. Di fronte all’assoluta evidenza dell’ingiustizia
esistente nel mondo la vergogna, il senso di ribellione e il desiderio di fare
qualcosa per cambiare si mescolano al riconoscimento dell’unità e
interdipendenza di tutto ciò che esiste, e dunque dell’assurdità degli egoismi,
che fanno male anzitutto a chi crede di difendere le cose sue».
E ancora: «Ma è quando si visitano le
scuole Assefa (ora sono 157) che si ha davvero la percezione di cosa significhi
lavorare per il futuro. Non si tratta solo dei 17mila bambini e ragazzi che le
frequentano; attraverso loro si tratta del futuro dell’intera umanità, che potrà
contare su una gioventù istruita e preparata, in grado di affrontare le
difficili sfide dei prossimi anni. Dare con il sostegno a distanza la
possibilità di studiare a questi bambini così consapevoli del valore della scuola
e così desiderosi di imparare significa davvero costruire un mondo migliore,
uscendo dai propri ristretti confini per vedere in grande, in termini di spazio
e di tempo.
La gioia che si prova quando ci si accorge di stare
contribuendo a un processo così importante è qualcosa di mai provato prima, dà
un senso di pienezza e di giustizia. E si ha voglia di ringraziare tutti gli
esseri umani che sono capaci di pensare e realizzare imprese come queste».
Alberto Picci