22/09/2012
Una bambina siriana, scappata con la sua famiglia in Libano a causa della guerra civile. Tutte le foto di questo servizio, copertina inclusa, sono dell'agenzia Reuters.
Sull'emergenza umanitaria in Siria finora sono state spese molte parole, ma di concreto - pur a fronte della mobilitazione di molti - si è fatto ancora troppo poco rispetto a quanto occorre. E' l'allarme lanciato da Agire (Agenzia italiana per la risposta alle emergenze), preziosa rete umanitaria costituita da 11 Organizzazioni non governative, alcune delle quali di ispirazione cristiana. Nel Paese mediorientale è in corso una crisi dalle dimensioni impressionanti: 2 milioni e mezzo di siriani hanno bisogno di aiuti umanitari, il flusso di profughi aumenta di settimana in settimana, con ripercussioni a catena sugli Stati confinanti, dal Libano alla Giordania, dalla Turchia all'Irak.
A questa situazione esplosiva la comunità internazionale non riesce a dare risposta, né a livello politico, né tanto meno sul fronte degli aiuti. I fondi messi a disposizione dalle agenzie umanitarie sono appena il 40% della somma richiesta dalle Nazioni Unite ai donatori. «Alla radice di questa disattenzione – spiega Marco Bertotto, direttore di Agire – c'è un errore di prospettiva. A livello internazionale il dibattito politico ha finito per soffocare le valutazioni umanitarie. E' prevalsa la logica delle ideologie, a discapito di un piano comune di aiuti. Così si è perso di vista l'essenziale, cioè che i milioni di Siriani coinvolti, prima che essere appartenenti a questa o a quella fazione, sono delle vittime. Semplici vittime del conflitto, private di tutto e spesso costrette a lasciare la propria terra. Siamo preoccupati – prosegue Bertotto – perché in questo modo la comunità internazionale sta andando incontro a un duplice fallimento: un fallimento politico-diplomatico, visto che finora nessuno ha trovato la chiave per sbloccare la situazione, cui si aggiunge un fallimento umanitario».
Negli ultimi 3 mesi il numero dei rifugiati è triplicato. In Siria ci sono circa un milione e mezzo di sfollati, mentre 260.000 sono i rifugiati registrati negli Stati confinanti (Turchia, Irak, Libano, Giordania). Ma il numero reale è molto più elevato (il governo giordano, ad esempio, parla di 200.000 persone solo in quel Paese). E come dimenticare i rifugiati (500.000 palestinesi e un milione di iracheni) che finora vivevano in Siria e che la guerra potrebbe costringere a una nuova fuga? Ecco perché l'allarme si sta espandendo su scala regionale. In Turchia e Giordania i campi profughi sono sempre più affollati e in Libano, terra di tensioni mai del tutto sopite, la situazione è ancora più delicata, tanto da far parlare di pre-emergenza.
Uno dei tanti campi profughi che accolgono siriani in fuga dalla guerra.
Mentre la comunità internazionale si dibatte tra dubbi e ritardi, c'è chi, al contrario, non si tira indietro. Tanti e diversi sono gli ambiti di intervento della rete Agire. «In questo momento – spiega Bertotto – la priorità è aiutare le popolazioni in fuga a organizzarsi per l'inverno, visto che purtroppo non si intravedono a breve spiragli di risoluzione del conflitto». Per le Ong operanti in Siria, come Terre des Hommes o come le comunità salesiane del Vis, il futuro stesso si gioca sulla possibilità di continuare a intervenire e sulla speranza di non interrompere i contatti con quella terra martoriata. Ma naturalmente gli interventi coinvolgono anche i Paesi vicini, come Giordania e Libano: Gcv, ad esempio, sta sostenendo l’accoglienza di decine di famiglie siriane, Cesvi sta sviluppando piani di intervento nelle aree non ancora raggiunte dalle organizzazioni umanitarie, Cisp si occupa del miglioramento delle condizioni igienico-sanitarie di 600 famiglie, Intersos ha attivato, tra l'altro, percorsi di ricongiungimento familiare per i minori, Oxfam sta distribuendo kit alimentari e beni di prima necessità.
C'è poi un tema che sta particolarmente a cuore agli operatori della rete Agire: l'educazione scolastica, divenuta praticamente impossibile sia per i bambini rimasti in Siria, dove molte delle scuole sono state trasformate in centri d'accoglienza oppure sono impraticabili a causa degli scontri, sia per i rifugiati. «Mohamed ed i suoi fratelli hanno lasciato la Siria da poco meno di un mese – racconta Mauro Clerici, responsabile di Terre des Hommes in Libano - ma l’assenza dai banchi di scuola risale a due interi anni scolastici, sin dai primi segni di protesta nel loro paese. La situazione della famiglia di Mohamed è catastrofica. Possiedono solo i vestiti che avevano addosso quando hanno attraversato la frontiera cercando salvezza in Libano. Ad Arsaal lavoriamo con circa 3000 rifugiati siriani, di cui più di mille in età scolare. Quello che facciamo – continua Clerici - è offrire lezioni di supporto scolastico alternative alla scuola con programmi di lezione regolari di 4 ore per 4 giorni a settimana».
Qualcosa di simile accade anche in Giordania, come spiega Davide Berruti di Intersos: «Un accordo tra governo giordano, Unhcr e Unicef ha fatto si che i ragazzi e bambini siriani in età scolare possano essere integrati nelle scuole giordane. La disponibilità del governo c’è: adesso è urgente lavorare per far sì che la volontà politica si traduca presto in decisioni concrete che inciderebbero positivamente su un numero molto alto di persone». Interventi così coraggiosi hanno bisogno dell'aiuto di tutti.
Per questo Agire lancia un appello: fino al 25 settembre è possibile sostenere le attività a favore dei profughi siriani donando 2 euro tramite il numero di telefono 45500: si può chiamare da rete fissa o inviare un sms. Ma ci sono anche tante altre possibilità (donazione on-line compresa). Per informazioni consultare il sito
www.agire.it
Lorenzo Montanaro