Guerra e fame, il Congo è stremato

Il nuovo conflitto provocato dai ribelli dell'M23 ha fatto scoppiare una nuova crisi umanitaria nella regione: 100 mila profughi sono allo sbando. Intanto i ribelli avanzano.

La mobilitazione di Caritas e delle Ong per soccorrere la popolazione

25/11/2012
Tutte le fotografie di questo dossier, copertina inclusa, sono dell'agenzia Reuters.
Tutte le fotografie di questo dossier, copertina inclusa, sono dell'agenzia Reuters.

«Lancio un grido d’allarme per tutte quelle donne, quei bambini e anziani che vagano per le strade, sotto la pioggia, senza un riparo e senza cibo. Quei deboli, che hanno già sofferto troppo, necessitano di un’assistenza umanitaria urgente».

     A parlare è il vescovo di Goma, monsignor Theophile Kaboy Ruboneka. I combattimenti di questi giorni fra i ribelli dell’M23 e l’esercito regolare – che hanno portato alla rapida conquista da parte dei guerriglieri della stessa Goma e di Sake (lungo il lago Kivu) – hanno provocato l’ennesima, drammatica emergenza umanitaria nell’Est della Repubblica Democratica del Congo (RDC). 

     Le agenzie umanitarie e le Ong si stanno mobilitando per far fronte all’enorme massa di sfollati in fuga dalle zone di conflitto. Si tratta di almeno 100 mila persone allo sbando. In un suo comunicato, Caritas Italiana dichiara di unirsi «all’appello di indignazione e denuncia per la guerra in corso nel Nord Kivu (la regione di cui fa parte la città di Goma, ndr) lanciato dai vescovi africani – presidenti delle Conferenze episcopali e delle Caritas di 34 paesi del continente – riuniti a Kinshasa in questi giorni».

     I vescovi denunciano all’opinione pubblica che «Migliaia di uomini, donne e bambini, sono vittime di questa guerra che è a loro imposta provocando sofferenze di ogni genere che offendono la loro dignità come esseri umani e come figli di Dio».

     «Siamo consapevoli», prosegue la nota, «del peso che hanno su questa situazione lo sfruttamento delle risorse naturali ed è urgente che si trovino i modi per un loro uso che sia equo, giusto e trasparente».

     I vescovi congolesi chiedono con forza «a tutte le parti coinvolte, agli organismi internazionali (Unione Africana, Nazioni Unite, Unione Europea), alle multinazionali del settore minerario, di «risolvere una volta per tutte il problema alla radice, con un dialogo trasparente nella verità per trovare una soluzione che faccia cessare le sofferenze dei civili».

     Secondo l’Alto Commissariato per i rifugiati (Unhcr) sono 650 mila le persone in fuga dall’inizio dell’anno a causa del conflitto, di queste 250 mila sono rimaste nella regione, il resto è fuggito verso Sud e vero i Paesi limitrofi. I nuovi sfollati a causa di questi nuovi scontri sono oltre 100 mila, e la situazione umanitaria, aggiunge Caritas, «è resa ancor più drammatica dall’allontanamento per motivi di sicurezza delle organizzazioni umanitarie internazionali».

     La Caritas del Congo da mesi si prende cura degli sfollati provocati dal conflitto con distribuzione di viveri e medicinali. Attualmente è attiva nell’assistenza degli oltre 5 mila sfollati accolti nelle strutture ecclesiali e sta predisponendo un piano di risposta più ampio anche nella aree di Bukavu e di Butembo-Beni (nel Nord-est del Paese).

     «Siamo tutti al lavoro e stiamo moltiplicando gli sforzi», dice padre Oswald Musoni, direttore di Caritas Goma, «ma la situazione resta molto difficile». La Caritas congolese fa sapere che il più grosso campo sfollati, quello di Mugunga, a Nord di Goma, che ospita circa 50 mila persone, è rimasto privo di assistenza perché sono stati allontanati gli operatori umanitari, e si trova tra due fuochi, preso in mezzo tra diversi focolai di scontri.

     Caritas Italiana ha messo a disposizione un primo contributo ed è in costante contatto con la Caritas del Congo per monitorare la situazione e appoggiare le azioni di aiuto che prontamente sono state avviate in favore delle famiglie profughe e sfollate.

     Un altro appello alla solidarietà viene dal Vis-Volontariato Internazionale per lo Sviluppo (l’Ong legata ai salesiani) che operano a Goma a supporto della grande missione di Ngangi dei religiosi di don Bosco, guidata da padre Pietro Gavioli. Il centro salesiano in questi giorni ha aperto le porte agli sfollati, accogliendo oltre 10 mila persone.

     «Quelli che “non contano”, nel Kivu, stanno pagando un tributo pesante alla lotta dei grandi», dice padre Pietro. «Nel nostro piccolo mondo di Ngangi, due persone sono state uccise da pallotole vaganti: il segretario della comunità cristiana del quartiere e il figlio maggiore di una educatrice del Centro Don Bosco. Non abbiamo ancora le cifre ufficiali dei morti, sappiamo che sono molti. Un medico ci ha detto che nei tre ospedali del nostro settore ci sono un centinaio di feriti gravi, tra cui molti bambini, colpiti da pallottole o da schegge durante la battaglia per la conquista della città dal parte dei ribelli dell’M23, il 19 novembre scorso».

     «A Ngangi», prosegue il missionario salesiano, «ci siamo organizzati per far fronte all’urgenza. Dividiamo i collaboratori in tre gruppi: il primo deve contare quante persone ci sono ancora nel Centro Don Bosco; il secondo deve ascoltare i rifugiati per capire i loro bisogni; il terzo deve reperire i bambini malnutriti che hanno bisogno urgente di cibo».

     La situazione più grave è, ancora una volta, quella dei bambini: la missione sta assistendo 316 piccoli malnutriti.

     Va segnalato anche un terzo appello, da parte della Ong Mlfm (Movimento per la Lotta contro la Fame nel Mondo). L’organismo umanitario di Lodi opera da molti anni in Ruanda, dove migliaia di congolesi cercano di espatriare per mettersi in salvo.

     «Il territorio ruandese», scrive in un comunicato l’Ong italiana, «è ormai pienamente coinvolto negli scontri. Chiediamo che la comunità internazionale si adoperi affinché venga posto fine a questo eterno conflitto, così come è indispensabile che le autorità di Kinshasa si assumano le proprie responsabilità per adempiere al proprio compito di proteggere i civili e le popolazioni costrette a scappare, potenziando la presenza di truppe regolari, mentre Paul Kagame (il presidente ruandese, ndr), deve fare un passo indietro nella  sua logica egemonica su un lembo di terra (il Kivu) certamente ricco e strategico per il Ruanda, ma che può portare il conflitto ad avere risvolti tragici che vanno bel al di là dei confini congo/ruandesi».

     «Mlfm», conclude il comunicato della Ong, «fa appello e chiede aiuto a tutte le persone di buona volontà perché si informino, seguano la vicenda, non chiudano gli occhi e siano portavoce nel loro piccolo di quanto sta accadendo. La crisi fra Congo e Ruanda non è meno devastante di quella israelo-palestinese. È solo geograficamente più distante».

Luciano Scalettari
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