01/12/2012
Mauro Platè (a sinistra) con Agim Dini, un albanese tornato in patria, dove ora coltiva prodotti bio. (foto Leto)
Un edificio bizzarro, con uno spigolo acuto, che sporge dalla linea delle altre case e che richiama subito la chiglia di una nave. L’ha voluta costruire così la sua pizzeria, Arben Toma, migrante rientrato due anni fa con la moglie Alketa dall’Italia, dov’era sbarcato clandestinamente con uno scafo di contrabbandieri nel lontano 1993. Proprio così: come una nave che torna in porto. “Che è un po’ il riassunto della mia vita”, dice. Ma anche la metafora dell’Albania di oggi, Paese di migranti che fanno ritorno.
Dopo quasi 17 anni vissuti nel Chianti, al servizio della comunità francescana di San Lucchese di Poggibonsi, che lo ha accolto in convento come un figlio, Arben, a 41 anni se ne tornato qui nella sua Lezha, cittadina a cinquanta chilometri a nord di Tirana, e s’è aperto con Alketa la pizzeria al trancio “Pizzaitalia”. Il locale rende, così ha assunto anche un paio di persone. “Ma senza l’aiuto di Mauro e della sua giovane equipe tutto ciò sarebbe rimasto un sogno”, confessa in un italiano dal forte accento toscano. Mauro Platè lo guarda, sorride e ringrazia. Il “Paese delle Aquile” gli è entrato nel cuore fin da quando v’è arrivato, nel 2010 come cooperante, pochi mesi dopo il suo matrimonio, proprio per occuparsi del reinserimento dei migranti di ritorno e di chi continua a partire per l’Italia. “Venire a vivere in Albania con mia moglie Cristiana e farci crescere nostra figlia Sofia Liria, che ora ha due anni, è stata la nostra prima grande scelta familiare, non facile, ma condivisa fino in fondo”, afferma.
Mauro Platè, 34 anni, con la moglie Cristiana e la figlia Sofia. Tutte le foto di questo servizio sono di Nino Leto.
Mauro, 34 anni, cremonese, ha sempre coltivato due passioni: quella per la ricerca scientifica, da cui è scaturita una laurea in fisica, e quella per il volontariato internazionale, e la cooperazione. Poi, al giovane ricercatore, è iniziato a star stretto il mondo delle formule e dei numeri. E ha scelto d’occuparsi delle persone e dei loro bisogni. E, dopo aver fatto esperienze di cooperazione in Argentina e in Africa, è sbarcato in terra albanese con l’Ipsia, la ong delle Acli per la quale coordina l’innovativo progetto “Risorse Migranti”. Oggi vive a Scutari, ma gira il Paese in lungo e in largo. “Mi divido tra l’ufficio-sportello in città, una riunione al bar, come vuole la buona tradizione balcanica, un gruppo di volontari, un sopralluogo in Zadrima (la campagna di Scutari, ndr) e una serata alle prese con un programma di contabilità”. E per questo suo impegno la Focsiv, la federazione italiana che riunisce gli enti cristiani di servizio internazionale, ha deciso di assegnargli il “Premio del Volontario internazionale 2012”.
Il fenomeno del ritorno dei migranti è in forte aumento specie in questi ultimi due anni in cui la crisi economica ha spezzato le speranze di un futuro migliore in Paesi come l’Italia e la Grecia, dove s’erano riversati in vent’anni oltre un milione e duecentomila albanesi, su una popolazione di nemmeno tre milioni d’abitanti. La memoria corre subito a quell’8 agosto del 1991, all’indomani della caduta del cupo regime comunista di Enver Hoxha, quando ventimila disperati sbarcarono a Bari dal bastimento ‘Vlora’. L’Italia s’accorse così che di là dell’Adriatico, a meno di 80 chilometri, c’era una nazione che si chiamava Albania. Si calcola che del mezzo milione d’albanesi giunti in Italia da allora, il dieci per cento, oggi, sia rientrato, dopo 10-15 anni d’esperienza oltremare. Con i problemi che ciò comporta per il Paese balcanico, ad iniziare dalla drastica diminuzione delle rimesse economiche, “una delle principali fonti di reddito per l’Albania”, ricorda Platè. “Mio padre che lavora alla Western Union afferma che le rimesse sono diminuite del 70 per cento rispetto a pochi anni fa, e invece sono cresciute le uscite”, ci dice Xhon Nika, trentenne informatico, uno dei fondatori di “Radio Pulla” di Scutari, un’emittente online, nata per dar voce alla società civile, alle associazioni e alle ong, supportata dall’Ipsia.
“Ma siamo convinti che tanti emigranti di ritorno, se accompagnati nel rientro, possano trasformarsi in occasione d’impulso economico per questo Paese, e creare una nuova imprenditoria che vuole investire in casa propria il bagaglio d’esperienze fatte all’estero”, osserva Platè. Così, piccole storie come quella di Toma si vanno moltiplicando. Zef Brungaj ha 26 anni, di cui cinque trascorsi da emigrante tra Roma, Modena e il lago di Garda, cambiando lavoro più che d’abito: dal restauratore di mobili all’imbianchino, dall’autista al lavapiatti. “Ho racimolato qualcosa di più prezioso degli euro in busta paga: la vostra cultura del lavoro. Una ricchezza che ho importato nel mio Paese”, afferma con orgoglio. Ora vende i prodotti dei suo 50 ettari di terra in uno spaccio lungo la statale che porta a Scutari. Il negozio si chiama “Biozadrima”, ed è, probabilmente, il primo punto vendita “bio” in Albania.
Mauro Platè (a destra) con Zef Brungaj e la moglie, emigranti di ritorno. (foto Leto)
Poco distante da lì sorgono le serre per ortaggi, acquistate con il
finanziamento del progetto “Risorse Migranti”, di Agim Dini, 42 anni,
coltivatore tornato da Reggio Emilia dopo 12 anni e tre espulsioni. “Se
i miei figli espatrieranno in Italia, o altrove, lo faranno per scelta,
non per disperazione, come fece papà”. Il concetto lo ribadisce Bledi
Bukaquea, laureatosi a Milano in fisica, e ora titolare di una società
che sviluppa siti web: “Agli inizi degli anni ’90 si scappava, oggi si
emigra per cercare una buona opportunità, o per studiare (in Italia la
prima comunità straniera di studenti è proprio quella albanese con 56
mila giovani, di cui 12 mila universitari, ndr). E ora in Albania,
finalmente, si può lavorare”. Bledi da’ una mano al fratello Dritan, che
è tornato dalla Grecia, e ha aperto un’azienda di installazione di
pannelli solari a Scutari.
Che l’Albania vada di fretta per azzerare il gap di mezzo secolo
d’isolamento lo si vede subito. Basta passeggiare per le piazze e le
vie del centro di Tirana: l’unica capitale europea senza biblioteche,
cinema e teatri, grigia di smog e polvere, si è trasformata in pochi
anni in una city-art, coloratissima, grazie all’intervento cromatico
voluto dall’ex-sindaco Edi Rama. E poi cantieri aperti ovunque e
grattacieli di vetro e cemento. Il Paese che rinasce si potrebbe
misurare nelle trecentomila nuove abitazioni erette in una manciata
d’anni: un decimo di tutte quelle esistenti nel Paese. Ma la nuova
Albania non sta solo nella ‘furia’ edilizia, nel cemento che sale al
cielo; e neanche nel Pil che fino all’anno scorso cresceva a colpi di
più sei per cento. “La vera novità”, secondo Platè, sta nella “voglia
di mettersi insieme dei giovani, per fare cultura, lavorare, produrre”.
Alberto Laggia