Quando il cristiano rischia la vita

«Cristo è speranza e conforto per le comunità provate a causa della fede da discriminazioni e persecuzioni», ha detto il Papa a Pasqua. Dal Pakistan alla Nigeria, ecco chi e dove.

La mappa della Chiesa che soffre

11/04/2012
Foto Reuters.
Foto Reuters.

Le «campagne speciali» organizzate nello scorso anno in Terra Santa e in Pakistan dalla Fondazione vaticana Aiuto alla Chiesa che soffre sono la concreta testimonianza di due fra le più difficili situazioni che i cristiani si trovano a vivere oggi. Da un lato l’emigrazione per mancanza di lavoro, che a Nazaret e a Betlemme è divenuta drammatica, in una Cisgiordania ormai fortemente islamizzata. Dall’altro il rigore della legge anti-blasfemia che viene pretestuosamente utilizzata dagli integralisti contro i cristiani locali, come documenta il caso di Asia Bibi.

Ma anche diverse altre Chiese, in particolare del Medio e dell’Estremo Oriente, continuano ad affrontare quotidianamente persecuzioni e violenze, che hanno motivato le tristi parole di Benedetto XVI nell’Angelus dello scorso 26 dicembre: «Come nell’antichità, anche oggi la sincera adesione al Vangelo può richiedere il sacrificio della vita, e molti cristiani in varie parti del mondo sono esposti a persecuzione e talvolta al martirio». Una particolare vicinanza ribadita a Pasqua. «Cristo è speranza e conforto in modo particolare per le comunità cristiane che maggiormente sono provate a causa della fede da discriminazioni e persecuzioni», ha ricordato papa Benedetto XVI domenica 8 aprile, affermando che il Signore Risorto «è presente come forza di speranza mediante la sua Chiesa, vicino ad ogni situazione umana di sofferenza e di ingiustizia». 

Le cifre parlano chiaro. Secondo il dossier dell’Agenzia delle Pontificie opere missionarie Fides, sono stati 26 gli operatori pastorali cattolici assassinati nel corso del 2011, uno in più rispetto all’anno precedente: 18 sacerdoti, 4 religiose e altrettanti laici. Ben 15 degli uccisi erano impegnati in America Latina (7 in Colombia, 5 in Messico, 1 in Brasile, Nicaragua e Paraguay), altri 6 in Africa (2 in Burundi e 1 in Congo, Kenya, Sud Sudan e Tunisia), 4 in Asia (3 in India e 1 nelle Filippine) e 1 in Europa (in Spagna). Complessivamente, nel decennio 2001-2010, il totale degli operatori pastorali uccisi è stato di 255 persone.

Spiegano i curatori della ricerca: «Alcuni sono stati vittime di quella violenza che combattevano o della disponibilità ad aiutare gli altri mettendo in secondo piano la propria sicurezza. Anche quest’anno molti sono stati uccisi in tentativi di rapina o di sequestro finiti male, sorpresi nelle loro abitazioni da banditi o da giovani sbandati che magari avevano aiutato in precedenza, alla ricerca di facili bottini. Altri ancora sono stati eliminati perché, nel nome di Cristo opponevano l’amore all’odio, la speranza alla disperazione, il dialogo alla contrapposizione violenta, il diritto al sopruso».

E, purtroppo, aggiungono: «Agli elenchi provvisori stilati annualmente dall’Agenzia Fides, deve sempre essere aggiunta la lunga lista dei tanti di cui forse non si avrà mai notizia, o addirittura di cui non si conoscerà il nome, che in ogni angolo del pianeta soffrono e pagano con la vita la loro fede in Cristo. Si tratta di quella “nube di militi ignoti della grande causa di Dio” – secondo l’espressione di Giovanni Paolo II – che va dal ministro pakistano per le Minoranze, Shahbaz Bhatti, primo cattolico a ricoprire tale incarico, impegnato per la pacifica convivenza fra le comunità religiose del suo Paese, ucciso il 2 marzo, al giovane nigeriano che svolgeva ad Abuja, presso la chiesa di Santa Teresa, il servizio di  vigilanza per proteggere i luoghi di culto nel giorno di Natale, ucciso da un attentato insieme ad altre 35 persone».

Saverio Gaeta

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