19/04/2014
(Conclusioni: il valore aggiunto della famiglia per costruire la nuova società del pluralismo relazionale – Francesco Belletti, pp. 249-251)
1) L’orizzonte europeo dell’accoglienza e della governance
Serve una rinnovata e consapevole politica europea, entro cui inserire le strategie nazionali (italiane, ma anche greche, maltesi, spagnole, tedesche, olandesi…). Questa è l’Europa di cui abbiamo bisogno:
un soggetto collettivo che costruisce insieme scelte strategiche transnazionali di fronte alle grandi sfide epocali, condividendone anche rischi, costi, impegni e opportunità.
Peraltro la stessa Unione Europea, se anche riuscisse a costituirsi come “fortezza Europa”, con porte e finestre ben chiuse, già oggi deve affrontare la complessa gestione di imponenti movimenti migratori interni tra Paese e Paese, che generano impatti sociali ed economici particolarmente rilevanti, e che vengono
contenuti solo marginalmente dalla distinzione giuridica tra cittadini comunitari ed extracomunitari (ad esempio le difficoltà collegate alla presenza di un’ampia offerta di lavoro a basso costo, o la difficoltà di governare/programmare l’offerta di servizi socio-sanitari e previdenziali a fronte di forti movimenti di popolazione provenienti da altre nazioni).
2) Nuove politiche inclusive: lavoro, ma non solo
Il tema della libertà di accesso, delle dimensioni dei flussi e della condivisione di “progetti di ingresso” va ripensato sia a livello nazionale che europeo (ovviamente con le già ricordate differenze radicali tra la tutela dei rifugiati e la governance dei movimenti migratori caratterizzati da altri tipi di scelte). Servono processi virtuosi e progressivi di integrazione, strettamente collegati alle traiettorie lavorative delle persone, capaci di immaginare tempi congrui di stabilizzazione delle persone, per non condannare le persone a lunghi periodi di latenza, irregolarità o precarietà[1]. La crescente flessibilità del mercato del lavoro a livello nazionale ed europeo (che in molte circostanze diventa incertezza e precarietà) per le persone immigrate troppo spesso diventa anche perdita di cittadinanza, esponendo le persone ad una doppia vulnerabilità, sia lavorativo-reddituale che di accesso ai diritti di cittadinanza. Occorrono in questo ambito politiche più inclusive e più innovative. È interesse di tutti rendere queste scelte consapevoli, esplicite e progettate con tempi congrui, anziché essere costantemente discusse e realizzate nella fretta delle varie urgenze ed emergenze umanitarie.
[1] Basto pensare all’appassionata discussione sull’abolizione del reato di clandestinità, nel nostro Paese, o alla perdurante attenzione ad un appropriato uso del linguaggio sui media, di fronte all’utilizzo di parole spesso usurate e stereotipate nel pregiudizio (illegale, irregolare, straniero, marocchino, straniero, extra-comunitario, ecc.).
Promuovere l’immigrazione al familiare: il ruolo della scuola
Queste grandi scelte “strutturali” devono sapersi dettagliare attorno al filtro e al “criterio famiglia”, promuovendo e valorizzando cioè la capacità della dimensione familiare di generare relazioni virtuose di integrazione. In questo senso la presenza dei bambini figli di immigrati nel sistema scolastico è una grande opportunità di integrazione per i minori e per le loro famiglie, pur nelle oggettive difficoltà che la scuola sperimenta. Proprio attraverso la scuola, con una oculata ed esplicita gestione delle sue potenzialità di facilitatore di integrazione per alunni e genitori, si potrebbero contenere i rischi di una possibile chiusura delle famiglie immigrate […]
4) Cittadinanza per i nati in Italia: una scelta non più rinviabile
È urgente costruire
una cittadinanza
nuova per chi nasce e cresce sul suolo italiano, e diventa così “italiano” a tutti gli effetti, qualunque sia la nazionalità dei suoi genitori.
In questo ambito il dibattito è stato molto ricco e articolato, ma troppo spesso fortemente ideologico, soprattutto in ambito parlamentare.
Senza entrare nel merito, ci interessa sottolineare in questa sede che oggi occorre
sicuramente superare il solo ius sanguinis, senza però
contrapporlo in modo radicale al puro riconoscimento dello
ius soli.
L’evocativa ipotesi di uno ius culturae, capace di tenere insieme in modo equilibrato questi modelli ideali, ci pare una giusta prospettiva da perseguire, anche se va naturalmente riempita di precisi ed affidabili percorsi (ad esempio valorizzando la scuola come tempo e veicolo di integrazione attorno a cui costruire i percorsi di attribuzione della piena cittadinanza alle nuove generazioni, nate e vissute in Italia e per questo a pieno titolo cittadini del nostro Paese, anche se nati da genitori stranieri).