Droga, educare è meglio

Roberto Saviano a confronto con don Antonio Mazzi. Nel suo saggio sul traffico di cocaina, il primo suggerisce, pur fra tanti dubbi, la legalizzazione. Il sacerdote gli scrive: sbagli.

Cantone: «Lo Stato non può legalizzare ciò che fa male»

06/06/2013
Il magistrato Raffaele Cantone (Ansa).
Il magistrato Raffaele Cantone (Ansa).

Raffaele Cantone ha guardato in faccia il mondo di Gomorra per molto tempo, ha indagato a lungo sui Casalesi, portando a termine il processo Spartacus. Oggi lavora presso il massimario della Cassazione, ma il casertano resta la sua terra di persona e di magistrato. E da magistrato ha letto per noi ZeroZeroZero.

Dottor Cantone, il libro è un’indagine a suo modo. Com’è vista da chi ha indagato per professione?
«Io credo che il tema affrontato sia particolarmente importante, perché la cocaina è una droga su cui c’è stata una grande sottovalutazione sociale. Si è pensato per molto tempo erronamente che fosse una droga meno sporca, una droga che non faceva morire, che non portava dipendenza. Anche per l’operazione di "marketing" che c’è stata attorno, la cocaina si è diffusa in modo esagerato, anche perché le strategie di mercato del narcotraffico hanno fatto scendere i prezzi fino a renderla "popolare". Naturalmente Saviano racconta a modo suo, attraverso le storie, in questo senso, nella ricerca delle storie, è un libro di indagine. Il libro, senza un filo logico preciso, ha uno schema analogo a quello di Gomorra: attraverso le persone racconta fatti».

Capita che gli si rimproveri di non raccontare davvero fatti nuovi, condivide la critica? «Mi pare un problema mal posto: difficilmente parlando di certi argomenti si fanno scoop. Gomorra su cui possiamo ragionare, perché è un caso che potremmo definire posato, ha avuto il merito di rendere le vicende della camorra intelligibili a tutti. Davvero tutti sapevano? Direi proprio di no, solo quelli che leggevano ogni giorno i giornali del casertano potevano riconoscere vicende note. Un conto è dire che determinati fatti sarebbero in teoria a tutti conoscibili, altro è dire che siano effettivamente conosciuti. L’originalità è un di più che si chiede all'opera d'arte, ma il merito di un libro è anche quello di far arrivare i suoi contenuti alle persone».

Saviano è stato più volte accusato di diffamare un territorio. Anche al magistrato che indaga a volte arriva questa accusa: rivelare è considerato un peccato. Anche questo è un problema mal posto?
«Nel caso di ZeroZeroZero è un'accusa improponibile. Non può essere sospettato di diffamare un territorio, se non altro perché non è legato a un territorio, ma parla di un problema diffuso ovunque. E’ vero si fa riferimento a Milano, alla Calabria, a Scampia ma sono episodi tra tanti episodi. E comunque anche quando il luogo c’è, mi pare che sia un discorso assai ipocrita. La domanda da farsi è: “Le cose che si raccontano sono vere?” Io diffamo se racconto il falso ma se io racconto il vero il problema è che qualcuno aveva cercato di nascondere la verità»

Il libro contiene una forte provocazione: l’idea che per battere il narcotraffico in fretta si debba affamarlo, cioè legalizzare. Condivide almeno in linea teorica?
«No. La mia è una convinzione basata sulla razionalità, io credo che un legislatore non possa legiferare solo in termini utilitaristici, deve porsi il problema degli effetti delle norme sulla società. E su quello deve ragionare. Io avrei dei dubbi anche sull’utilità di un simile intervento nel contrasto al narcotraffico: si sposterebbe solo il problema degli appetiti dal mercato illegale a quello legale. Faccio un esempio a me caro: non mi pare proprio che legalizzare le scommesse abbia tagliato le gambe alle mafie sulle scommesse clandestine, semmai ha allargato i loro interessi anche a quelle legali. Con il risultato che le mafie si sono arricchite e cittadini sono diventati dipendenti. Se le droghe fanno male, e fanno male, lo Stato non può proprio porsi la domanda, perché allora per paradosso domani potremmo anche proporre di legalizzare le associazioni mafiose così utilizziamo i loro metodi e ci arricchiamo. Va bene la provocazione, ma che provocazione resti, tra l’altro nessun Paese ha mai legalizzato ogni tipo di stupefacenti. Un motivo ci sarà?».

Saviano parla anche del disagio di riflettersi dell’abisso, di guardare il male e imparare a ragionare come lui. E’ un problema che riguarda anche voi, la fatica di andare avanti anche quando l’avversario sembra più forte: la vivete lavorando, pur conservando l’ottimismo della volontà che porta a continuare?
«Devo dire che io ho interpretato questo passaggio anche in un’altra chiave. Quando Saviano dice che si specchia nell’abisso, a me dà l’idea che ammetta di subire anche un minimo il fascino di questo mondo. Del resto è un classico: nel ruolo dello scrittore in quanto artista, un po’ come posa un po’ come verità, c'è anche storicamente è contemplata una componente "maledetta". Da magistrato il mio punto di vista è completamente diverso: se tu ritenessi che la camorra è un mostro imbattibile la tua diventerebbe un’attività velleitaria. Io personalmente non ho mai pensato di aver di fronte un mondo impossibile da cambiare, per quanto sicuramente molto difficile da affrontare. Credo che il confronto tipico del magistrato debba essere necessariamente improntato all’ottimismo. Il pessimismo sarebbe il miglior aiuto alla criminalità organizzata».

Elisa Chiari

a cura di Paolo Perazzolo
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