Uccise 69 volte, don Melesi lo convertì

Consegnata la laura ad honorem al cappellano di San Vittore, sempre dalla parte dei detenuti e degli ultimi

Melesi, "dottore" dell'anima

24/05/2013
don Luigi Melesi
don Luigi Melesi

Una messa, un’omelia sull’essere uomini, un abbraccio, una confessione. Alla fine, dopo l’incontro con don Luigi Melesi, il killer professionista si autoaccusa di 69 omicidi. “Alla mia domanda su cosa lo avesse spinto a questa decisione”, racconta il sacerdote, “mi ha risposto: Voglio essere un uomo”. Ne racconta tanti di episodi, don Luigi, salesiano, 80 anni, dal 1978 cappellano a San Vittore.

Nel giorno in cui l’Università pontificia salesiana gli conferisce la laurea honoris causa in Scienze della Comunicazione sociale, Cattedra Comunicazione ed educazione, don Melesi trattiene a stento la commozione. “La prima volta che sono andato nel braccio di massima sicurezza, dove erano detenuti i brigatisti ho detto messa con tutti i blindo, cioè le porte blindate in aggiunta alle sbarre, chiusi. Nessuno di loro aveva voluto aprire neppure lo spioncino. A don Giorgio, il capo dei cappellani, che mi chiedeva come era andata ho risposto che era andata bene. E al suo stupore ho spiegato che non avevano fischiato né contestato in alcuna maniera. Le volte successive si è aperto qualche spioncino, poi il blindo lasciando le grate chiuse, alla fine volevano tutti parlare con me”.

Ne arrivano tante di testimonianze sulla capacità di don Luigi di dialogare con tutti. Ernesto Balducchi, ex di Prima linea, ricorda la mediazione del sacerdote per la consegna delle armi al cardinale Martini, il 13 giugno del 1984: “ti brillavano gli occhi quando mi hai portato la sua disponibilità a ricevere in arcivescovado, a Milano, le armi che i miei compagni ancora liberi detenevano”. Tra il pubblico c’è Agnese Moro, ci sono Giovanni Maria Flick, il vescovo Enrico Dal Covolo, tanti ex detenuti, i ragazzi dell’università salesiana, i suoceri di Giorgio Semeria, da poco scomparso, e che, come ricorda qualcuno, “uscito dal carcere è voluto andare a fare il suo viaggio di nozze nel Mato grosso, nella missione di cui don Luigi parlava e dove lavoravano i suoi fratelli”.

Franco Bonisoli, ex delle Brigate Rosse, tira fuori dalla tasca un naso rosso, come quello usato nelle recite e nelle opere teatrali con i ragazzi difficili di Arese, in una casa trasformata, da carcere minorile, in comunità educativa. “Per noi sei stato un testimone credibile”, dice Bonisoli. “Quando ci siamo conosciuti non eravamo certo persone disponibili al dialogo con chi rappresentava le istituzioni, anche quelle della Chiesa. Ma tu hai avuto fiducia e tanto coraggio, retto da una fede che non conoscevamo. Hai avuto il coraggio di scommettere su piante in cui nessuno credeva e hai visto una foresta che silenziosamente è cresciuta”.

E prima della consegna ufficiale della pergamena, alla presenza del rettore don Carlo Nanni, Bonisoli va al cuore del senso dell’onorificenza: “Sei stato, sei, per noi l’uomo della comunicazione vera, quella che va al cuore delle persone”.

Annachiara Valle
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