24/05/2013
Giovanni Maria Flick, presidente della Corte Costituzionale (foto Ansa)
L’ultima condanna all’Italia della corte europea dei diritti dell’uomo è dello scorso dicembre. Il nostro Paese è stato condannato per il trattamento inumano e degradante derivante dal sovraffollamento. Lo ricorda Carlo Maria Flick, già ministro della Giustizia e ora presidente della Corte Costituzionale, intervenendo alla cerimonia di consegna della laurea a don Melesi. “Le denunce di don Luigi sullo stato delle carceri sono in buona compagnia, dice il giurista, “perché sono assieme a quelle del Papa, del presidente della Repubblica, della commissione senatoriale sullo stato delle carceri e sul rispetto dei diritti umani, oltre che assieme alle condanne della Corte europea. Siamo arrivati al paradosso che alcuni giudici si sono rivolti alla Corte costituzionale per chiedere di ampliare le norme che consentono il rinvio della pena. In pratica resterebbe la condanna, ma non la possibilità di andare in carcere perché lo Stato non riesce ad assicurare il minimo di dignità nell’esecuzione della pena”. Flick invita a rileggere e ad applicare la Costituzione, in particolare “quell’art 27 che regola il rapporto tra Stato e uomo nel momento dell’esecuzione della pena e che è una delle norme meno attuate della nostra Costituzione”. La norma, ricorda Flick, stabilisce che “le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato. Due affermazioni tanto belle quanto retoriche. Dobbiamo collegarci a un’altra norma della Costituzione, quella della pari dignità sociale, a cui hanno diritto tutti: i più deboli, le donne, i bambini, i migranti clandestini, i malati, i detenuti…”.
Il presidente della Corte sottolinea che la dignità e il rispetto “vanno garantiti anche durante la pena detentiva”. Ma non solo, Flick insiste sul fatto che “la società è convinta che la pena detentiva o il toccare la persona nel portafoglio siano la sola cosa immaginabile. Senza renderci conto che in realtà il carcere è diventato una discarica sociale per soggetti 'diversi': 30 per cento di tossicodipendenti, 30 per cento di immigrati clandestini. Eppure continuiamo a penalizzare, a invocare la pena detentiva come unica soluzione. Non è possibile garantire quei diritti che tutti devono vedere rispettati”.
Anche sul fronte della rieducazione Giovanni Maria Flick snocciola i dati facendo presente che ”le misure alternative al carcere, il rapporto con la società, il volontariato come ponte tra il carcere e il territorio danno dei risultati. In chi sconta interamente la pena detentiva c’è un tasso di recidiva del 90 per cento, in chi dal carcere passa alle pene alternative il tasso di recidiva, cioè di ripetizione del rato, cala al 20 per cento”. Per questo, conclude, "il carcere va aperto alle misure alternative e alla responsabilità di chi sta scontando la pena”.
Annachiara Valle