Giro, l'entusiasmo riparte dal Basso

La vittoria dell'italiano ci restituisce un uomo, forse un campione, certo tanta passione in più per uno sport che cerca strade nuove.

Nibali, l'uomo nuovo

30/05/2010
Vincenzo Nibali, la sorpresa del Giro.
Vincenzo Nibali, la sorpresa del Giro.

Un po' di maglie rosa, una tappa, un gran buon lavoro, e in salita, a pro del capitano Basso, il terzo posto agganciato alla fine, all'Arena di Verona piena di folla che al ciclismo crede ancora, eccome, e che ha saputo aopplaudire anche lo spagnolo Arroyo, secondo e non nemico di nessuno. Vincenzo Nibali, un giovanotto siciliano di ventisei anni, dovrebbe, potrebbe essere il nostro uomo nuovo. Il problema è che non glielo urlino in troppi.

     Due Giri d'Italia stanieri (Contador spagnolo nel 2008 e Menchov russo nel 2009), più il Tour manco sognato, sembravano avere dimensionato assai il nostro ciclismo, che quest'anno non aveva ancora centrato, prima del Giro, un traguardo importante, una grande cosa.  Nibali doveva fare il Tour e basta, al Giro ha sostituito all'ultimo Pellizzotti, fermato dal passaporto biologico, il che non vuol dire che lui sia colpevole di doping o qualcosa di simile. Poteva, Nibali, correre rilassato, aveva gli alibi regolari, su tutti quello della non preparazione, o della preparazione non ad hoc. Invece ha fatto bene e benissimo, non si è mai lamentato di nulla e di nessuno. È stato onesto senza bisogno di essere anche polemico, come invece sembra che in troppe occasioni sia la regola, sia una necessità. Sembra avere le idee chiare e la testa buona per reggere persino alla grossa celebrità.

     Vero che tante, troppe volte nel ciclismo siamo stati smentiti, che il doping ha azzerato nostre previsioni, nostre constatazioni felici. Ma ci sembra che stavolta dovremmo procedere abbastanza tranquilli. E' nato un corridore vero, può nascere un campione autentico. E non solo: ci possiede la benedetta idea ottimistica che ci siano anche altri Nibali per strada, stanno pedalando onestamente, accanitamente ma non maniacalmente, verso la celebrità, fachirescamente ma non masochisticamente, verso il riconoscimento a tutto tondo del loro valore, lasciando dietro le ipotesi di chimica, peccaminosa  (e pericolosa) e facile. Cose insomma da vecchio ciclismo che però, alla faccia degli adoratori dei nuovi idoli, non vuole proprio saperne di morire. Aiutandoci e aiutandosi così, nello sport, a vivere.

Gian Paolo Ormezzano
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