06/04/2012
Don Bruno Tarantino, parroco di Grignano, frazione dell'Aquila (Foto e copertina Giuliani/Cpp).
«Qui la gente non morde più la
vita». In otto parole don Bruno
Tarantino riassume lo stato
d’animo degli aquilani tre
anni dopo il terremoto. Nel 2009, nella notte
in cui arrivò la tremenda frustata dalle viscere
della Terra, don Bruno si salvò per miracolo.
Era il parroco della Casa dello studente,
che crollò come un castello di carte uccidendo
otto ragazzi. Oggi don Bruno è parroco a
Gignano, una frazione dell’Aquila, e la sua
chiesa è sotto un tendone. La parrocchia del
quartiere fu demolita, la chiesa nuova ancora
non c’è. Dalle macerie furono salvate le
campane, che ora stanno appoggiate sull’erba
fuori dal tendone.
La chiesa sotto la tenda a Gignano (Foto Giuliani/Cpp).
«Agli abitanti del quartiere», spiega don
Bruno, «si sono aggiunti quelli arrivati dalle
case lesionate del centro storico, ma le due comunità non si sono molto integrate. Ora la sfida
è saldarle insieme e responsabilizzare le persone. La gente deve capire che la domanda
da porre non è “quando ci sarà la ricostruzione?”, ma “quando ricostruiamo?”. I giovani
fanno fatica, sono demotivati. Le sere del giovedì, giorno tradizionale di uscita nel centro
per gli studenti universitari, non sono più un momento di socializzazione. Spesso si concludono solo con grandi bevute e risse all’ombra delle case puntellate».
Un murale sulle case di paglia di Pescomaggiore con le date dei maggiori terremoti in Abruzzo (Foto Giuliani/Cpp)..
Il centro storico della città offre qua e là
sprazzi di vita. Qualche bar ha riaperto, qualcuno
passeggia al sole, ma dall’interno delle
case abbandonate e puntellate dai pompieri
arriva un odore di muffa e desolazione. Sotto
i portici, non lontano da piazza Palazzo, il
salotto della città, le vetrine di un cinema
hanno ancora le locandine di tre anni fa.
«La città non ha più un centro, non ha un
punto di riferimento. I luoghi di aggregazione
sono diventati i centri commerciali», fa
notare Paolo Montesanti, il direttore della
Caritas aquilana. «Nei volti della gente», aggiunge,
«soprattutto dei giovani, vedi una velatura
di tristezza. Tra quanti si rivolgono ai
nostri centri di ascolto prevalgono la sfiducia
e l’ansia per la mancanza di lavoro, qui il livello
di disoccupazione è di gran lunga superiore
a quello nazionale».
le macerie a Onna, dove il terremoto causò la morte di 40 persone (Foto Giuliani/Cpp).
Nella zona del cosiddetto “cratere”, la più
danneggiata dal sisma, la Caritas italiana ha
speso 22 milioni di euro.
«In questi tre anni non siamo rimasti a
guardare», dice Montesanti. Insieme a lui raggiungiamo
San Giacomo, dove la Caritas ha
ricostruito un centro di aggregazione. Il parroco
si chiama Jesus Antonio Santamaria e
arriva dalla Colombia. «Qui la gente si è chiusa
», racconta, «e sente fortissimo il peso della
crisi economica. Inoltre, le persone hanno
ancora tanta paura. Appena sentono una
scossa, corrono fuori, specialmente i bambini.
Quasi ogni casa tiene all’esterno un camper,
una roulotte o una tenda».
Padre Santamaria indica le case. Quelle colorate
di giallo o arancione sono ristrutturate
e il tocco di colore acceso le distingue dalle
altre. Molte famiglie vivono nei Map, i Moduli
abitativi provvisori. «Secondo me», aggiunge
il parroco, «il terremoto ha fatto più
morti nei mesi successivi alle scosse. Dopo
quella notte ho celebrato molti più funerali
rispetto al passato».
A Bazzano ci sono le case che inaugurò Silvio
Berlusconi. Sono quelle antisismiche
“chiavi in mano”, arredate modernamente,
dove non manca nulla. Ma, in realtà, manca
la vita vera attorno a questi caseggiati da cui
si guarda la catena montuosa del Sirente. I
campi gioco e i piccoli spazi verdi non bastano
a fare una comunità.
Giuseppe Pilolli (Foto Giuliani/Cpp).
Giuseppe Pilolli, 64 anni, rigattiere, vive
qui da 6 mesi. «Si sta bene», dice, «ma attorno
non c’è nulla». La sua vicina di casa, Emilia
Romano, 85 anni, aggiunge: «Qui è tranquillo,
la casa è bella, ma era meglio la mia. Per
fortuna i miei tre figli vengono a trovarmi, se
no dove andavo?».
Qualcuno è andato a vivere nelle case di
paglia. A quasi mille metri di altezza, a poca
distanza dal centro storico lesionato di Pescomaggiore,
nove persone vivono in cinque
case ecologiche e antisismiche. «Continua la
nostra traversata nel deserto, ma credo in questo
progetto», dice Filippo Tronca, che fa il
giornalista in una televisione locale. Lui ed
Emanuela Cossetti stanno curando un progetto
per il recupero della memoria di una comunità
ormai dispersa. Questo recupero parte
anche dalla poesia. Franca Mucciante, poetessa
autodidatta, dopo il sisma ha riscoperto la
sua vena poetica e anche la fede.
I fratelli Davide e Daniele Stratta non si
sono lasciati vincere dallo sconforto. Avevano
un’enoteca in corso Garibaldi, nel centro storico
del capoluogo. Abitavano a cento metri
di distanza. In una notte sono rimasti senza
casa e senza locale. «Siamo rimasti senza punti
di riferimento come cittadini e come operatori
economici». Superato lo shock, Davide e
Daniele si sono rimboccati le maniche, i genitori
hanno dato una mano, hanno chiesto mutui
alle banche. Ora gestiscono un bed & breakfast e il ristorante Garibaldi a Coppito,
con vista sulla piana dell’Aquila. Qui creano
eventi conviviali accompagnati da buon cibo
e ottimi vini. «Cerchiamo di coinvolgere le
persone e distrarle, altrimenti in una tavolata
di aquilani si finisce inevitabilmente per parlare
solo del terremoto».
Non hanno perso la speranza di tornare
nel centro storico. «Lì il tessuto urbano ti abbracciava
come una madre, ora invece è come
avvolto da un sudario, con gli arti spezzati.
Ma deve rinascere».
A Paganica, cinque morti sotto le macerie,
torniamo a trovare Mauro De Paulis, artigiano
del gusto, produttore di salumi prelibati
apprezzati dai gourmet. Tre anni fa ci mostrò
il negozio che il nonno aveva aperto nel
1924 nella piazza del paese. Allora era inagibile
e resta chiuso anche oggi nei vicoli abbandonati
e silenziosi. Mauro ha aperto un
nuovo negozio sulla strada principale, che gestisce
con i familiari. «Ma a Paganica non c’è
più la vita che c’era prima», dice guardandosi
attorno. «Tre anni fa ero più fiducioso, ora
forse è diverso, anche a causa della situazione
economica generale. Vorremmo andare
avanti, ma non sappiamo se abbiamo abbastanza
fiato per farlo».
Ricordi delle vittime su un cancello all’Aquila (Foto Giuliani /Cpp).
A una manciata di chilometri da Paganica
ecco Onna, che il terremoto ridusse a un cimitero.
I morti furono 40. Dove c’era il paese ci
sono ancora macerie e case puntellate. I sopravvissuti
abitano nelle basse casette colorate
donate dai trentini. Giustino Parisse, giornalista
del quotidiano Il Centro, quella notte
maledetta perse il padre Domenico e i figli
Domenico e Maria Paola. Ci accoglie nella casa
nuova che si è costruito a poca distanza
dal cuore della vecchia Onna, dove verrà ad
abitare in questi giorni con la moglie. Ci mostra
la grande stanza nella quale ha raccolto i
seimila libri della sua biblioteca. «L’avevo intitolata
ai miei figli quando erano ancora vivi.
Averla salvata è la sola cosa che mi consola
un po’ nella tragedia che mi ha colpito. Se
avessi perso anche i miei libri non avrei ricominciato
da zero, ma da sottozero».
Ora Giustino è caporedattore. «Quando ho
avuto la nomina sono scoppiato a piangere a
dirotto. Non per la notizia, ma per l’impossibilità
di condividerla con i miei figli e mio padre
». Attorno alla casa Giustino vuole creare
un piccolo giardino. «Pianterò 40 alberi, tanti
quanti i morti che abbiamo pianto». E così
Giustino prova a mordere la vita.
Roberto Zichittella