Svizzera, la paura dei frontalieri

La vittoria della Lega ticinese mette a rischio gli italiani che lavorano nel Canton Ticino. E anche i Comuni del nostro Paese che per i bilanci contano sulle rimesse inviate da Roma.

Disoccupazione e frontalierato

15/04/2011

Analizzando il Rapporto commissionato dalla Commissione Tripartita Cantonale in materia di libera circolazione delle persone Cantone Ticino, redatto dall'IRE (Istituto di Ricerche Economiche), emerge che la fase di acuta disoccupazione che aveva colpito il Ticino dalla metà degli anni ’90 è stata riassorbita negli anni 2000-01, poi, in concomitanza con un leggero rallentamento dell’economia, la disoccupazione è tornata progressivamente a crescere. L’andamento è stato però abbastanza omogeneo, senza improvvisi picchi e con un ovvio andamento stagionale, del quale ovviamente non tiene conto la Lega di Giuliano Bignasca nel suo "attacco" ai frontalieri.

Osservando il tasso di disoccupazione si può notare come questo, dopo aver toccato un massimo e un minimo a ridosso dell’anno 2000, si sia assestato nell’ultimo decennio su un valore attorno al 4,5%. Il numero dei disoccupati ticinesi negli ultimi due anni non ha raggiunto i preoccupanti valori degli anni ‘90, quando la situazione del mercato del lavoro ticinese era differente sia per settori (il secondario rivestiva un’importanza maggiore) sia per numero totale di persone attive (il numero era più basso).

Il tasso di disoccupazione è conseguentemente rimasto minore rispetto al precedente periodo di crisi. A differenza degli anni ‘90, dove si registrava una forte disoccupazione giovanile, il recente periodo di crisi vede un aumento dei disoccupati nella fascia di età 40- 50 anni; il fenomeno ha poi riguardato in maniera strutturale un po’ tutti i settori economici tradizionali, con un leggero aumento dei disoccupati provenienti dal secondario.

Il numero dei frontalieri è aumentato, a partire dagli anni 2002-2003, in maniera consistente. La presenza di lavoratori frontalieri è cresciuta i tutti i settori, soprattutto nel settore terziario; a questo proposito le agenzie di collocamento rivestono un importante (ma ancora non decisivo) ruolo nel numero di frontalieri. Un importante fenomeno riguarda anche i lavoratori provenienti dalle ex-Zone di frontiera, con una formazione più elevata rispetto alla media dei lavoratori frontalieri e con un salario medio più alto. I salari vedono un progressivo allineamento su livelli medio-alti e una progressiva omogeneizzazione tra svizzeri, stranieri residenti e frontalieri, anche se ovviamente i salari dei lavoratori svizzeri restano più elevati data la maggioranza di lavoratori svizzeri in settori più remunerativi.

Analizzando la crescita del settore terziario, una chiave di lettura è l’analisi del tipo di formazione dei lavoratori: il mercato richiede sempre più alti livelli di istruzione e persone capaci di assumere mansioni di responsabilità; dall’analisi dei dati emerge che il mercato, presumibilmente non trovando appieno tali figure all’interno del Ticino, si è rivolto e continua a rivolgersi all’esterno (anche al di là delle ex-zone di frontiera).

Sotto questo punto di vista l’aumento di disoccupati di media età, con una formazione non elevata, e spesso di lunga durata, costituisce senz’altro un problema aperto su cui intervenire, al di là del fenomeno del frontalierato. Considerando poi i trend europei in atto, l’aumento di lavoratori frontalieri appare un fenomeno in pieno sviluppo; se da un lato permette efficienze legate ad un miglior accoppiamento tra necessità del mondo del lavoro e competenze dei lavoratori, l’elevato numero di frontalieri (seppur come visto mitigato dalla incidenza del lavoro a tempo parziale) raggiunto dal mercato del lavoro ticinese pone degli interrogativi sulla sostenibilità a lungo termine del fenomeno.

Pino Pignatta
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