Svizzera, la paura dei frontalieri

La vittoria della Lega ticinese mette a rischio gli italiani che lavorano nel Canton Ticino. E anche i Comuni del nostro Paese che per i bilanci contano sulle rimesse inviate da Roma.

Il presidente dei frontalieri: «Gli italiani molto apprezzati in Svizzera»

15/04/2011

Anche nel Canton Ticino aumenta la percentuale di disoccupazione, che dal 3% è salita intorno al 5-6%. E quindi cresce la preoccupazione che gli italiani possano stabilmente portare via posti di lavoro agli svizzeri. Da un riscontro fatto sul campo a cura dell'Associazione frontalieri del Verbano-Cusio-Ossola, tuttavia, si registra che la disoccupazione nel Ticino è causata in gran parte da situazioni personali croniche, oppure da persone che non possono in alcun modo essere in competizione diretta con la professionalità di molti stranieri. «Se io datore di lavoro svizzero ho bisogno di una figura specializzata e la trovo in un lavoratore italiano», spiega Antonio Locatelli, presidente del Coordinamento frontalieri del Verbano-Cusio-Ossola, «non ho dubbi a puntare sull'immigrazione qualificata, nonostante io possa ricorrere ai disoccupati svizzeri, soprattutto se non trovo nel tessuto economico, industriale e culturale locale le persone adatte a ricoprire le posizioni che servono alla mia azienda».

Presidente Locatelli, ma gli svizzeri teme davvero che gli italiani finiscano per sottrarre posti di lavoro?
«Non direi che è un sentimento radicato nella popolazione. È soprattutto uno spettro che hanno agitato, e cavalcano tuttora, la Lega del Ticino e l'Udc, un partito di centro che però non ha nulla a che fare con l'Udc italiana».

I nostri giovani e i nostri lavoratori nel Ticino o nel Vallese guadagnano meno rispetto ai colleghi svizzeri?
«Dipende dai settori. In alcuni casi è stato registrato che hanno retribuzioni leggermente inferiori: alcune industrie approfittano degli italiani per erogare salari più bassi, ma è molto limitato il numero di imprenditori che agiscono così sul costo del lavoro frontaliero. In generale non c'è quel dumping salariale che alcuni hanno interesse a far credere, come appunto la Lega, per far passare l'idea che gli italiani alla lunga abbassano i guadagni anche degli svizzeri».

Perché il lavoro dei nostri frontalieri è al centro di una disputa politica nel Canton Ticino? Qual è esattamente la posta in gioco?
«Il frontaliere paga un'imposta alla fonte, che è la tassazione fissa per tutti i lavoratori all'estero, e di questa imposta di ogni singolo italiano viene restituito al Tesoro centrale di Roma esattamente il 38,8 per cento. In seguito, il nostro Governo redistribuisce questi fondi alle Comunità montane e ai Comuni dove risiedono i frontalieri».

Com'è redistribuito questo denaro?

«In base al numero dei frontalieri residenti in ogni Comune. In pratica la Lega dei Ticinesi di Bignasca intende ridurre questo 38,8 per cento di imposte che vanno all'Italia».

E di quanto lo vuole ridurre?
«Lo vuole portare al 30 per cento. E questo vorrebbe dire penalizzare duramente i nostri Comuni di frontiera e le province a pochi chilometri dalla Svizzera».

Perché, penalizzati in che modo?
«Perché questi Comuni, da sempre, preparano i loro budget considerando anche queste entrate provenienti da Roma, che corrispondono alle imposte pagate dai frontalieri in Svizzera. Quello che stupisce, sinora, è la latitanza delle istituzioni italiane: sembrano non preoccuparsi affatto di un'eventuale diminuzione del gettito a favore dei nostri Enti locali, come conseguenza di una diversa politica fiscale del Canton Ticino verso l'Italia».

Quanto valgono per lo Stato italiano, e quindi per i Comuni di frontiera, le rimesse garantite dai frontalieri?
«Diciamo che il totale dei frontalieri italiani che lavorano in Svizzera genera circa 40 milioni di franchi svizzeri. Occorre precisare, tuttavia, che lo Stato restituisce ai Comuni di frontiera soltanto il 40 per cento di queste imposte».

Perché la percentuale di imposte pagata dalla Svizzera verso la Francia o la Germania è molto più bassa, e cioè il 12,5 per cento?
«Dipende da accordi bilaterali stipulati dalla Svizzera con i singoli Paesi. Nel caso dell'Italia, erano stati previsti trattamenti di favore, in quanto i frontalieri francesi e tedeschi avevano già altre agevolazioni fiscali che noi non abbiamo mai avuto, e quindi l'Italia ha preteso di avere almeno i soldi delle tasse che i frontalieri pagano in Ticino».

Il meccanismo della restituzione delle imposte dalle casse di Roma ai Comuni dove risiedono i frontalieri funziona?
Sinora ha sempre funzionato molto bene, perché gli svizzeri sono puntualissimi nel pagare. Un sistema che va avanti da quando esiste il fenomeno del frontalierato, il cui boom è iniziato a partire dagli anni Ottanta».

I sindaci dei Comuni italiani nei quali vivono i frontalieri ovviamente sono i più interessati al mantenimento dell'attuale percentuale di imposte restituite da Roma...
«Certo, tutti basano i propri bilanci sull'incasso di questi fondi. Tanto è vero che di recente ci sono stati numerosi dibattiti a livello di comunità e di zone del "frontalierato", perché tutte le amministrazioni locali hanno ribadito l'assoluta necessità di questi fondi per i loro budget. Anche se a volte la gestione di alcuni sindaci è discutibile».

In che senso?
«Perché ultimamente utilizzano i fondi che arrivano da Roma soltanto per pareggiare i bilanci. E questo non è del tutto corretto: la legge prevede che i soldi dei frontalieri vengano utilizzati per opere edili e sociali a favore dei frontalieri stessi e delle loro famiglie. Diciamo che molti sindaci sopravvivono con la restituzione di queste imposte, tappano i buchi di gestione, o li impiegano per mantenere funivie e seggiovie, come accade in Val Vigezzo, e non li utilizzano invece per le finalità previste dalla normativa contenuta negli accordi bilaterali tra Svizzera e Italia, cioè a favore di quegli italiani che lavorano in Svizzera e temono ora "rappresaglie" dalla Lega del Ticino, che nelle ultime elezioni cantonali ha praticamente raddoppiato i voti facendo leva sulla disoccupazione locale».

Chi è Giuliano Bignasca, l'uomo che minaccia i frontalieri italiani e punta a condizionare le scelte del Governo federale di Berna?
«Una specie di Bossi locale, un "Senatur" prima maniera, che cavalca la protesta, tipo Lega lombarda dei primi anni. Una persona che a volte ha anche visioni lungimiranti per quanto riguarda la politica cantonale svizzera. Impresario di professione, anche se ormai si è dedicato quasi integralmente alla politica, visto che è anche consigliere cantonale, con l'orgoglio di avere guadagnato un consigliere a Lugano, per cui oggi si sente molto più forte. Ma fondamentalmente Bignasca è un provocatore, abituato a lanciare le sue campagne su fenomeni come il "frontalierato", per toccare le corde del sentimento popolare. Per fortuna, è uno che spesso deve anche ravvedersi».

Che cosa intende?
«Intendo dire che all'interno della stessa Lega dei Ticinesi ci sono persone che politicamente sono molto più ragionevoli e "raffinate" di lui, che sanno mordergli il freno».

Bignasca minaccia di lasciare a casa 13.000 frontalieri. Li attacca direttamente, anche con azioni politiche appoggiate dall'Udc ticinese...
«Sì, li attacca sistematicamente ogni volta che si parla di disoccupazione e salari. Per lui gli italiani sono i "topi" che vengono a rosicchiare il formaggio svizzero».

Che cosa potrebbe accadere ora, dopo il suo successo elettorale, se Bignasca riuscisse a portare al Consiglio Federale di Berna il discorso del contingentamento delle imposte e la riduzione dei frontalieri?
«Cè paura per questo tra i frontalieri, anche perché andrebbe a creare un danno enorme all'economia dei Comuni italiani che gravitano intorno al confine con la Svizzera, proprio perché sia il Verbano-Cusio-Ossola sia le province di Como e Varese hanno difficoltà finanziarie. Sarebbero guai, con ricadute serie sull'occupazione italiana in Svizzera e nel Canton Ticino. Ma credo che Giuliano Bignasca non arriverà mai a Berna. Non lo vedremo mai consigliere federale».

Pino Pignatta
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