11/10/2011
La foresta fossile di Dunarobba, in Umbria.
L'Italia ha il record di siti Unesco: 45, più del doppio degli Stati Uniti. E 400 musei nazionali, contro i 20 francesi. Eppure in tre decenni abbiamo perso il primato turistico internazionale, scivolando al quinto posto. In tre musei italiani su quattro le didascalie delle opere non hanno traduzione inglese.
Secondo uno studio di Merril Lynch, Pompei è sfruttata solo al 5% delle sue possibilità e non va meglio ai Bronzi di Riace dove i turisti sono appena 12 mila ogni anno.
8 mila turisti, invece, scelgono di visitare Dunarobba, in Umbria, dove si trova la foresta fossile più antica del mondo, per l'esattezza l'unica con queste caratteristiche, insieme a un'altra in Ungheria e un'altra in Canada. Unica perché gli alberi si sono conservati in posizione eretta ed è rimasto il legno ben visibile, non è stata pietrificata. Questo perché la morte è sopraggiunta improvvisa con l'arrivo di una glaciazione e il brusco calo della temperatura e questa sorta di cipressi è stata conservata per un bel po' di tempo dall'argilla che li ha ricoperti.
Turisti nel sito archeologico di Pompei.
La loro scoperta risale alla fine degli anni Settanta, durante gli scavi
per l'estrazione di materiali inerti utilizzati nella vicina fornace di
laterizi. Gli operai allertarono subito gli studiosi ed emersero dei
mostri vegetali alti anche 30 metri, perfettamente conservati. Ci ha
pensato l'uomo negli ultimi anni a deteriorarli, esponendoli alle
intemperie e non proteggendoli adeguatamente, ma solo con delle
“provvisorie” tettoie di lamiera che stanno lì da 25 anni. Risultato?
Gli alberi si stanno sbriciolando esposti al vento, al sole e alla
pioggia.
Ecco perché rischiamo di perdere un tesoro che ci arriva dritto dritto
dal Pliocene, 2,5 milioni di anni fa, quando da queste parti girava un
piccolo rinoceronte, simile a quello di Sumatra, e un cervo enorme di
cui non rimane più traccia.
La ristrettezza di fondi non permette più di climatizzare la struttura
dove sono stati rinchiusi alcuni tronchi per studiarli meglio, che sta
così accelerando il loro deterioramento. Studiosi da tutto il mondo,
dagli Stati Uniti fino all'Australia, rimangono a bocca aperta di fronte
agli alberi fossili portati alla luce, ma molti altri restano sotto
terra e forse è un bene perché così si conserveranno meglio.
Anche l'Unesco è dovuto intervenire per sollecitare un maggiore
interesse da parte delle Autorità, ma questa Pompei vegetale non
attraversa per il momento un periodo più felice di quella archeologica.
Gabriele Salari