Non ci resta che Giorgio per salvare l'Italia

20/04/2013
Giorgio Napolitano è stato rieletto presidente della Repubblica italiana.
Giorgio Napolitano è stato rieletto presidente della Repubblica italiana.

Come quei bambini che se la danno a gambe levate dopo aver sconsideratamente distrutto a pallonate i vetri delle finestre, così i partiti principali sono saliti a testa china al Quirinale. Sono tornati mogi mogi a casa e, dopo le rampogne, hanno chiesto al papà saggio di pagare i loro danni.

Lui, il papà, Giorgio Napolitano, a quasi 88 anni, avrebbe diritto a un sano riposo ma siccome ha ancora, nonostante tutto, il senso dello Stato, ha allargato le braccia sconsolato per l’inetta progenie e non ha potuto far altro che riconsegnarsi al suo destino da presidente. Ora, si tratta di sottoscrivere la conferma nel luogo deputato, Montecitorio. Che, per la prima volta nella storia del Paese, confermerà al Colle l’uomo che stava già preparando i bagagli. Non sappiamo come la pensi la signora Clio ma la lezione è chiara e multiforme.

Punto primo: i partiti italiani, per lo meno quelli ritenuti principali (Pd, Pdl, Monti) hanno dimostrato di non essere in grado di guardare oltre i loro inequivocabili limiti. Uno, in particolare, il Pd (che è anche il partito di Napolitano), è riuscito nel breve volgere di soli due mesi circa a distruggere se stesso in modo totale, far risorgere il suo principale avversario, scambiare l’aula di Montecitorio per il congresso del partito, umiliare due persone senza colpe come Marini e Prodi e, soprattutto, perdere ogni credibilità nei riguardi del suo elettorato. Viene voglia di mutuare il celebre bollettino di guerra 1914-18: “I resti di quello che fu uno dei più potenti…” eccetera eccetera.

Punto secondo: il Pdl, l’acerrimo rivale del Pd, che tanto se la gode in questi tristi momenti, dovrebbe, al contrario, porsi delle domande: se solo stando fermi riesce a salvare la pelle, il giorno in cui sarà chiamato a esporsi, che succederà? Ipotesi sgradevole ma che solo se affrontata subito porterà a risposte positive. Altrimenti, ciao ciao mascherina, come avrebbe voluto poter dire Bersani.

Punto terzo: nell’inefficienza partitica, Monti, la sua lista, i suoi uomini e le sue donne, prima fra tutte Anna Maria Cancellieri, che per qualche scampolo di tempo hanno assaggiato la possibilità di essere indispensabili, ritornano al loro ruolo di debolissima forza “retroattiva”. Nel senso che solo facendo passi indietro, in un balletto sterile per il Paese, la lista civica di Monti assolve al meglio il suo compito. Pochino, davvero, per un leader che aveva deciso di darsi alla politica con la sicumera di essere il migliore.

Punto quarto: saranno pure populisti ingenui, “nuovi barbari”, sfascisti del sistema, ma i grillini, al primo vero confronto diretto con i partiti tradizionali, escono come vincitori pur senza aver ottenuto il loro presidente. Figuriamoci cosa potranno fare dopo, quando fatto un governo, potranno dare il meglio controllando, contestando, censurando, denunciando pubblicamente tutte le cose che non vanno loro a genio. Vengono i brividi a pensarci, ma il prossimo futuro va proprio in questa direzione.

Ultima considerazione, forse troppo maliziosa ma altrettanto naturale: in un primo momento, il presidente Napolitano aveva annunciato per le ore 15 la conferenza stampa in cui avrebbe annunciato il suo “sì” o il suo “no”. Tutti pensavano che in questo modo Napolitano non volesse condizionare il sesto scrutinio, che sarebbe iniziato proprio a quell’ora, rimandando correttamente tutte le scelte dei partiti a domani. Invece, il suo “sì” è arrivato con grande urgenza alle 14,20, minuto più, minuto meno. E alle 15, quei partiti che fino a stamattina non riuscivano a mettere insieme neanche uno straccio d’idea, si sono miracolosamente ricompattati, pronti a votare Napolitano. Stranezze del mondo politico? E se, invece, fosse stato tutto deciso prima delle 14,20? Molto prima, magari ieri sera? Il solito inciucio mascherato? Chissà…

Manuel Gandin



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a cura di Francesco Anfossi e Fulvio Scaglione
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