18/01/2012
Mitt Romney (foto Reuters).
Un mese fa, il Time magazine paragonava Mitt Romney a uno di quegli idranti automatici da giardino che girando in cerchio automaticamente, a scatti, innaffiano in maniera uniforme tutta la superficie erbosa. L’analogia del settimanale piu’ letto d’America prende le mosse dal modo in cui il candidato Repubblicano (oggi grande favorito) si muove nei comizi, in cerchio, in modo un po’ robotico, e a piccoli passi cosi’ da trovarsi prima o poi faccia a faccia con tutte le zone della platea.
In realta’ la metafora di Joe Klein - firma di punta del ‘Time’ e autore della storia di copertina dal titolo “Perche’ non piaccio” – riguarda il modo in cui Romney si muove politicamente, cambiando posizione, a seconda del momento, sui temi cari all’elettorato repubblicano, gradualmente per non spaventare nessuno e in modo da “innaffiare” un po’ tutti, compresi quegli elettori di centro, i famosi ‘indecisi’ che una volta superato lo scoglio delle primarie gli saranno indispensabili per fronteggiare Barack Obama.
La metafora funzionava un mese fa – quando ancora gli sfidanti repubblicani erano sette e a turno, nei sondaggi, l’avevano superato un po’ tutti - e funziona oggi con la nomination che dopo la vittoria in Iowa sul filo di lana e il trionfo del New Hampshire, comincia gia’ a tingersi di una certa inevitabilita’. Nessun repubblicano infatti (che non fosse gia’ presidente) aveva mai vinto entrambi gli Stati (Iowa e New Hampshire) che tradizionalmente votano per primi.
In effetti, quelle stesse caratteristiche che lo danneggiavano, quando i numeri riguardavano solo preferenze teoriche, lo stanno premiando, ora che i numeri contano davvero. In parte - occorre aggiungere - anche a causa degli avversari che ha.
Tanto per cominciare durante il numero record di dibattiti televisivi autunnali, Romney (Rudyard Kipling mi passi la parafrasi) ha tenuto salda la testa mentre, a turno, gli altri perdevano la loro. Rick Perry che dimentica in diretta i ministeri che propone di tagliare, Herman Cain (ritiratosi dopo l’emergere di un passato costellato di molestie sessuali) che confonde la Libia con l’Egitto. Altri, come Ron Paul, che propongono di eliminare completamente la presenza americana nel mondo o, come Michelle Bachmann (ritiratasi anche lei all’indomani della figuraccia in Iowa), le tasse. Romney al contrario si e’ dimostrato stabile, costante, affidabile.
A cominciare dal suo curriculum, sia pubblico che privato. Negli anni ‘50 e ’60 il padre, George Romney, fu un protagonista a Detroit del boom dell’automobile made in USA, come amministratore delegato di un colosso dell’auto prima e da governatore del Michigan, poi. Lui , Mitt non gli e’ stato da meno: nei primi anni 70’ prende contemporaneamente due master - in legge ed economia – ad Harvard. Rimane a Boston, a lavorare con la finanziaria Bain Capital: nel 1984 ne diventa amministratore delegato e la guida fino al 1999 fino a trasformarla in una delle maggiori compagnie di investimento d’America, responsabile (in senso buono) per la nascita, la cresicta e il successo di famosissime catene di vendita al dettaglio come Staples, Brookstone, Domino’s Pizza.
Romney a Palm Beach, in Florida (foto Reuters).
“Io capisco il business!” e’ uno dei suoi slogan piu’ usati. Solo che il
“business” in questione e’ quello dei grandi investimenti che se da un
lato produce posti di lavoro, dall’altro non esita, nell’acquisire
aziende in crisi per rivenderle o ristrutturarle, a mandare centinaia, a
volte migliaia, di lavoratori a casa. Su questo campo lo stanno
attaccando i suoi avversari “interni”, dipingendolo come un’esempio di
capitalismo “rapace”, gradito a Wall Street (visto che ha anche votato
il pacchetto ‘salvabanche’ di Obama) ma dannoso per l’americano medio.
Di sicuro un business che Romney capisce bene e’ il suo: a 64 anni di
eta’ il suo capitale personale sembra ammonti tra i 190 e i 250 milioni
di dollari: ricchezza che oltre a provarne le capacita’ manageriali
potrebbe tornargli utile nel Paese con le campagne elettorali piu’
costose del mondo.
Nel privato, poi, Romney e’ praticamente intoccabile: l’essere sposato da
42 anni con la stessa donna gli da un enorme vantaggio di immagine ad
esempio sul cattolico Newt Gingrich, ex presidente della Camera,
politicamente molto piu’ esperto e coerente di lui, sposatosi per ben
tre volte tradendo regolarmente la moglie attuale con quella successiva.
Ma per gli americani, si sa, le scappatelle fisiche sono piu’ gravi di
quelle politiche.
Ecco perche’, ad esempio, firmare in Massachusetts (roccaforte
democratica di cui fu governatore dal 2003- 2007) la riforma sanitaria
che costringe lo Stato a garantire l’assicurazione a chi non puo’
permettersela – riforma da cui Obama ha preso spunto per la sua a
livello federale – non sembra, almeno per ora, danneggiarlo piu’ di
tanto.
E non lo danneggia nemmeno il suo essere mormone – attivo, tra l’altro,
nella gerarchia. Dopo tutto tra gli sfidanti rimasti ce ne'e’ anche un
altro, Jon Huntsman, insieme a due cattolici, Gingrich e Santorum, e due
soli protestanti, Perry e Paul.
Evidentemente in una nazione in crisi, la chiesa frequentata dal
presidente conta fino a un certo punto - anche in casa repubblicana.
Per quanto riguarda la ‘chiesa’ politica invece l’”annaffiatoio” Romney
non sembra averne una specifica. Negli ultimi tempi ha spruzzato sempre
piu’ verso destra aggiustando il tiro su tutti i temi cari ai
repubblicani: aborto, immigrazione, controllo delle armi, politica
estera eccetera. E si e’ anche guadagnato la benedizione del senatore Mc
Cain che ricordiamo lo sconfisse alle primarie quattro anni fa. Ma c’e’
da scommettere che appena guadagnata la nomination il getto si
dirigera’ di nuovo, gradualmente, verso il centro. Anche per questo il
‘robotico’ Mitt Romney non entusiasma e non emoziona, ne i votanti ne
tantomeno i media a cui si concede poco e controvoglia.
Eppure i numeri finora parlano chiaro: in democrazia e’ meglio piacer
poco a tanta gente, piuttosto che il contrario.
Stefano Salimbeni