La vita umana è qualcosa di unitario, dall’inizio alla fine: perciò l’inviolabilità che la riguarda si estende a qualunque fase del suo snodarsi. La difesa a ogni costo di tale inviolabilità, che non è solo patrimonio della Chiesa, trova la propria giustificazione nel fatto che la vita umana non è un valore secondario, ma un vero e proprio pilastro della convivenza umana. Possiamo anzi dire che essa è il fondamento stesso di questa convivenza: diversamente qualsiasi membro della società non avrebbe un punto di riferimento sicuro e intangibile, non sarebbe posto al riparo da interventi esterni arbitrari e dispotici. Sono convinto che l’inviolabilità della vita umana è inscritta nel profondo della coscienza di ogni uomo. Di fatto, ogni riflessione sulla persona umana non è possibile in astratto, ma solo in concreto. E così il discorso sulla persona sfocia inevitabilmente nel discorso sulla vita umana, che si deve difendere e promuovere in ogni fase – dal suo inizio al suo tramonto naturale – e in tutte le condizioni, specialmente in quelle di precarietà. In tale contesto entrano i tanti problemi delle povertà vecchie e nuove, della malattia, della sofferenza e della morte: problemi di sempre, che chiedono di essere letti in profondità, con gli occhi stessi di Cristo. La sfida è dunque quella di riuscire a trasformare il «non uccidere» in «dona la vita». Il quinto comandamento non chiede semplicemente di rispettare o di venerare la vita (poiché la si intende come valore religioso) o di amarla (in quanto la si percepisce come un bene umano), bensì chiede di fare della propria vita un dono di sé agli altri, con il sacrificio del proprio tempo e delle proprie energie in una prospettiva di dedizione personale al prossimo. Ed è proprio qui che possiamo incontrare in modo suggestivo e forte la verità enunciata da Gesù nel Vangelo: «Chi perde la propria vita la troverà» (Luca 17,33). Chi la tiene solo per sé e la consuma nel proprio egoismo alla fine si ritrova con le mani vuote.
Per poter scrivere un'opinione è necessario effettuare il login
Se non sei registrato clicca qui
Ancora una volta Krzysztof Kieslowski gioca a ribaltare il fronte e a rovesciare la situazione. In Non commettere atti impuri lo fa però senza sofisticati paradossi ma sovvertendo il sesto...
Enzo Natta
Tra la formulazione dell’Antico Testamento, «Non commettere adulterio», e quella del Nuovo Testamento, «Non commettere atti impuri», c’è un evidente passaggio. Di che si tratta?
a cura di Saverio Gaeta (da "I Comandamenti", Mondadori, 2001)