Don Giussani, un carisma irriducibile

Dall'ingresso in seminario a 11 anni al riconoscimento di Comunione e Liberazione nel 1982. Nella sua lezione più celebre, lo scandalo del cristianesimo: «Dio si è fatto uomo».

Il percorso del suo pensiero: Dio, Cristo, la Chiesa

27/02/2012
Don Giussani nel 1962 con il vescovo di Milano, Giovanni Colombo, al recital di Adriana Mascagni (archivio CL).
Don Giussani nel 1962 con il vescovo di Milano, Giovanni Colombo, al recital di Adriana Mascagni (archivio CL).

“Ingenua baldanza”. Se c’è un’espressione che definisce la personalità di un uomo come Luigi Giussani in tutta la sua carica umana è proprio questa espressione che egli ripeteva ai suoi amici e a chiunque lo ascoltava: un invito a buttare, come si dice, il cuore al di là dell’ostacolo. Don Giussani ha scritto molto ma di lui ricordo soprattutto la voce. I suoi scritti sono spesso la trascrizione del suo “parlato”, gli esercizi spirituali tenuti ai giovani piuttosto che i testi delle sue lezioni al liceo classico Berchet e all’Università Cattolica, dove aveva la cattedra di Introduzione alla teologia. Giussani era e rimane nel ricordo quella voce che sfidava la vita e le cose, provocando al cambiamento con il suo carisma dirompente che si trasmetteva come un’onda d’urto, uno tsunami si direbbe oggi. E l’onda d’urto era determinata proprio da quella sua voce roca e inconfondibile che d’improvviso, dai toni bassi, s’impennava in una nota acuta che penetrava le menti e i cuori.

La celebre lezione di don Giussani all'Università Cattolica (archivio CL).
La celebre lezione di don Giussani all'Università Cattolica (archivio CL).

Lo seguivo nelle sue lezioni di teologia in Università Cattolica negli anni Settanta e mi colpiva sempre quel suo rovesciare gli schemi. La sua lezione più famosa, visualizzata poi in un diagramma disegnato col gesso sulla lavagna, spiegava la differenza tra il cristianesimo e le altre religioni. Tutte le religioni erano come tante frecce tese verso l’ipotesi-Dio, la “X”; e Gesù era quell’unica freccia che scendeva dal cielo rovesciando la prospettiva. Questo lo scandalo del cristianesimo: Dio si è fatto uomo. Don Giussani accompagnava lo schema raccontando una storia affascinante: in una grande pianura tanti uomini costruivano edifici sempre più alti per tentare di raggiungere il cielo; a un certo punto tra di loro si presenta un uomo a lodare la dignità del loro sforzo; poi, con grande sorpresa di tutti, quest’uomo rivelava che Lui stesso è la “X”, la risposta alla loro ricerca.

Nasce da qui il testo Il senso religioso. E nasce un altro testo, All’origine della pretesa cristiana in cui Giussani scrive: “Se c’è un delitto che una religione può compiere è quello di dire “io sono l’unica strada”. E’ esattamente ciò che pretende il cristianesimo”. Nasce qui l’accento e l’attenzione che don Giussani pone sul valore dell’Incarnazione, cuore e centro del mistero cristiano. E nasce qui la sua passione per la figura di Maria: nel grembo di quella ragazza di 16-17 anni inizia l’avvenimento centrale della storia umana! Così Giussani invitava a recitare ogni giorno la preghiera dell’Angelus, per “fare memoria” di quanto accaduto quel giorno a Nazareth.

Con l'allora cardinale Montini, nel 1963, in visita alla mostra fotografica  di Elio Ciol sulla Bassa (archivio CL).
Con l'allora cardinale Montini, nel 1963, in visita alla mostra fotografica di Elio Ciol sulla Bassa (archivio CL).

Un altro aspetto che mi colpiva della personalità di don Giussani era l’attenzione posta al tema dell’affettività. Negli anni Sessanta fu tra i primi a portare in vacanza insieme maschi e femmine quando negli oratori la divisone era ancora netta. Affrontava il tema dei rapporti tra ragazzi e ragazze da educatore, come penso avrebbe fatto don Bosco cent’anni prima. Anche qui era la sua voce a dare sicurezza ai giovani che come me lo ascoltavano negli anni belli ma pieni di dubbi della giovinezza. Lo ricordo agli esercizi spirituali degli universitari a Riva del Garda richiamare noi giovani a non essere, nei rapporti affettivi, come chi inizia a costruire una casa sulla collina e poi l’abbandona e ricomincia poi su un’altra collina e così via, seminando dietro di sé una fila di rapporti lasciati lì come ruderi. Nel clima culturale di quegli anni Settanta in cui si preparavano i dibatti su divorzio e aborto (e Giussani diceva che poi sarebbe arrivata l’eutanasia) quelle parole dette con l’affetto e l’autorevolezza di un padre davano sicurezza. Si sentiva nel tono della voce che di uno così ti potevi fidare. Di chi altrimenti?

Giussani parlava dei rapporti affettivi come di un seme, una chiamata, una vocazione. Quei rapporti non potevano essere lasciati in balia del sentimento. Nei suoi interventi cercava ed esigeva da noi le ragioni su tutto. E il significato di ogni parola. La parola sentimento, per esempio, diventava oggetto delle sue lezioni universitarie: ne esaminava il significato all’interno del processo umano della conoscenza e paragonava il sentimento a una lente preziosa che aiuta a vedere la realtà ma nello stesso tempo la ingrandisce e deforma.

Giussani vedeva nel rapporto tra uomo e donna l’apertura verso l’infinito. Così una sera ci raccontava dal palco del cinema Gonzaga a Milano del suo incontro con una coppia di innamorati che si baciavano dietro l’angolo. Invece di scansarli il prete brianzolo rivolge loro la domanda: «Cosa c’entra ciò che state facendo con le stelle?» Don Giussani era così, “a tempo e fuori tempo” direbbe san Paolo, insisteva, non si lasciava sfuggire occasione per educare, cioè “tirare fuori” il meglio dai giovani che invitava a un rapporto critico ma costruttivo con il passato e la tradizione. Non bisognava buttare via la tradizione ma vagliarla, passarla al crivello, al setaccio della critica. Paragonava la tradizione a un sacco pieno che i giovani si trovano sulle spalle senza conoscerlo; per diventare uomini quel sacco va portato davanti agli occhi, il contenuto va rovesciato, esaminato vagliato. Esaminare ogni cosa e trattenere quanto c’è di buono. A un amico convinto marxista Giussani regalò l’intera opera Il capitale di Carl Marx come invito sincero ad approfondire e andare a fondo delle ragioni di una tradizione, di un pensiero, di un’ipotesi sulla realtà. Tutto il suo sforzo educativo era insegnare un metodo per liberare l’uomo dal potere incombente del mondo e della mentalità comune.

Il percorso che nasceva della sue lezioni si poteva sintetizzare in tre parole: Dio, Cristo, la Chiesa. Ovvero: il senso religioso come ricerca; la scoperta di Cristo come risposta al bisogno di senso dell’uomo; la Chiesa come luogo in cui Cristo diventa compagnia concreta, incontrabile per tutti. Per don Giussani l’uomo protagonista della storia è il mendicante: «Cristo mendicante del cuore dell’uomo e il cuore dell’uomo mendicante di Cristo». Pronunciò queste parole con la sua voce roca nel maggio del 1998 quando si presentò già anziano e malato in ginocchio in piazza san Pietro davanti a Giovanni Paolo II e alla folla radunata per l’incontro con i Movimenti. Fu un’immagine indimenticabile leggere nei suoi occhi, in quel momento, tutto l’affetto e la devozione per il Santo Padre e quell’ingenua baldanza che lo avevano condotto fin lì a presentare il frutto di una vita intera spesa al servizio della Chiesa.

Giubileo del 1975: la domenica delle palme, pellegrinaggio dei giovani di CL a Roma, per l'incontro con Paolo VI. Don Giussani è sul palco dell'aula Nervi durante i canti (archivio CL).
Giubileo del 1975: la domenica delle palme, pellegrinaggio dei giovani di CL a Roma, per l'incontro con Paolo VI. Don Giussani è sul palco dell'aula Nervi durante i canti (archivio CL).

Se nei primi anni di seminario Giussani faceva il suo ringraziamento alla comunione recitando i versi di Giacomo Leopardi (Alla mia donna, Canto di un pastore errante dell’Asia) negli ultimi anni della sua vita amava ripetere l’Inno alla Vergine di Dante come preghiera. Quei testi suscitavano in Giussani, sensibile all’arte, alla poesia, alla letteratura, quel desiderio di bellezza di cui parlò il cardinal Ratzinger durante l’omelia funebre nel Duomo di Milano: «Don Giussani sin dall’inizio era toccato, anzi ferito, dal desiderio della bellezza, non si accontentava di una bellezza qualunque, di una bellezza banale: cercava la Bellezza stessa, la Bellezza infinita; così ha trovato Cristo, in Cristo la vera bellezza, la strada della vita, la vera gioia». Oggi che a sette anni dalla sua morte, sotto le stesse volte del Duomo don Juilan Carron suo successore chiede all’arcivescovo Angelo Scola di aprire la causa di beatificazione possiamo immaginare il suo volto baldanzoso sorridere con umiltà schietta e sincera

Alfredo Tradigo
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Postato da paolofm il 28/02/2012 18:16

Don Giussani è stato un grandissimo educatore. Un padre, capace di trasmettere il fascino del cristianesimo in un'epoca di scristianizzazione e secolarizzazione, nei travagli ideologici del '68. Sempre dedito all'educazione delle persone, non ha mai voluto costruire nessuna struttura fine a se stessa, ma sempre con la finalità di testimoniare il fascino dell'esperienza cristiana. Inizia a rievangelizzare la società italiana all'interno dell'Azione Cattolica, fonda CL perchè non riesce ad avere spazio nell'AC. Recupera una dimensione integrale del cristianesimo, secondo la quale Cristo c'entra con tutto ciò che si fà, compreso la politica. Ritengo che chi non è favorevole alla beatificazione di don Giussani lo sia per ignoranza (non conoscenza) o per malafede (creare confusione tra la gente) . D'altro canto anche 2.000 anni fa i farisei accusavano Gesù e gli apostoli: forse perchè, come accade anche oggi, si giudica sulla base di pregiudizi ideologici......se invece si guardasse alle opere nate da CL in questi anni; se si cercasse di capire cosa è veramente CL.... allora si capirebbe chi era ed è veramente don Giussani, davvero un grande uomo, si diciamolo: davvero un santo, un grande santo. Ciao a tutti Paolo

Postato da giogo il 28/02/2012 16:05

Concordo perfettamente con luciocroce, vorrei aggiungere che di....pessimi esempi CL ne ha dati parecchi, troppe e discusse attività "commerciali" discutibili politici incollati alla carega (così per caso... Folmigoni-Lupi) ovviamente non imputabili direttamente a don Giussani..però sono ombre che non aiutano a mettere in luce la figura da beatificare. Saluti

Postato da spark il 28/02/2012 16:04

Concordo con Luciocroce, le sue perplessita' sono le mie, e da "cristiano qualunque" (per essere piu' chiaro, uno di quelli le cui opinioni contano come il due di briscola), aggiungo che , continuo (ingenuamente da "credente adulto") a lambiccarmi il cervello sul chi arrivera' per primo al traguardo di Beato: Don Giussani o Mons. Romero ( causa aperta nel 1997, 17 anni dopo il suo martirio)? A proposito di Beati, sbaglio o di mons. Helder Camara non ne parla piu' nessuno? Forse sara' per quella frase che amava ripetere :" Quando io do da mangiare a un povero, tutti mi chiamano santo. Ma quando chiedo perché i poveri non hanno cibo, allora tutti mi chiamano comunista!". Osvaldo Bardelli

Postato da DOR1955 il 28/02/2012 15:07

Personalmente non ho mai approfondito la “figura” di Don Giussani, per cui non voglio esprimere nessun tipo di opinione al riguardo. In prima persona ho vissuto una esperienza diretta per circa venti anni con un frate francescano (OFM) salito al Cielo nel 2009 (link funerale : http://www.youtube.com/watch?v=ycVT33Yny9w), di cui gli ultimi sette (fino alla tarda serata della sua morte dove ero presente insieme a una Dottoressa amica del Padre e mia, per cui abbiamo potuto constatare cosa avvenuto e redatta testimonianza scritta che è stata secretata) a contatto diretto quasi tutti i giorni (causa la sua invalidità – Sclerosi multipla offerta per 57 anni, - arrivata a colpire anche la mancanza della parola avvenuta circa nell’anno 2000) e ho “conosciuto”, in quanto “accompagnatore”, quanto venivano a chiedere migliaia di persone per sua intercessione. Ho potuto vedere e constatare direttamente cosa significa avere carismi particolari e di questo non sono io che ne voglio parlare (ne lo posso fare, in quanto in quei frangenti ero tenuto al segreto confessionale) ma le tante testimonianze di chi ha avuto la “fortuna” di incontrarlo e avere benefici di ogni genere, che stanno arrivando al Vice-Postulatore incaricato dal Vescovo di raccogliere tali testimonianze. Basandomi su questa esperienza penso di avere un po’ di “cognizione di causa” quando si parla di aprire una causa di Beatificazione per cui mi interessa sempre capire in che “contesto” ciò avviene. E, nel caso di Don Giussani, prima di farmi una opinione, cercherò di capire come ha vissuto “eroicamente” il suo magistero nel nome di Dio. Il tutto è premessa a quanto, il 9 gennaio 2008, l’Osservatore Romano, pubblicava relativamente a una intervista del cardinale prefetto Josè Saravia Martins, in cui, fra le varie cose riguardanti i processi di beatificazione, tale cardinale ha dichiarato: “ …. Senza fama di santità non si muove nulla. E questa è la garanzia vera, quella che dovrebbe mettere a tacere ogni scetticismo: è la gente che addita alla Chiesa l’esemplarità di una figura. Sono i fedeli stessi che mostrano quanto questa figura sia stata capace di influire sulle loro vite, di alimentare la loro fede, di accendere in loro la fiamma della speranza, di proporsi come ancora di salvezza nelle loro personali vicende al punto di rivolgersi a loro in accorata preghiera. NON NEGO che ci possano essere anche altri auspici, come magari il giusto orgoglio di una famiglia religiosa nei confronti di un fondatore o di un confratello. Ma le assicuro che senza l’impulso che viene dalla fama di santità è difficile avviare un processo……”. Penso questo basti a far capire, alle persone che hanno il dono della ragione e conosciuto Don Giussani, se la causa di Beatificatine abbia o meno fondamento. Doriano

Postato da luciocroce il 28/02/2012 11:11

Vorrei esprimere alcune mie opinabili considerazioni sull'apertura della causa di beatificazione di Don Giussani, pur rendendomi conto di inoltrarmi su di un terreno minato nel quale, tra l'altro, è facile esporsi all'accusa di voler insegnare alla Chiesa a fare il Suo "mestiere". Sottolineo, quindi, che la mia è la classica opinione del "cristiano qualunque", che normalmente accetta le decisioni della Chiesa in materia "a prescindere". E' un dato di fatto che Don Giussani è stato un ottimo sacerdote, come pure è un dato di fatto che è stato l'anima di CL, un movimento che, con il passar degli anni, è stata sempre più un'associazione molto discussa - così come la connessa Compagnia delle Opere - tanto all'interno quanto all'esterno del mondo cattolico, non tanto dal punto di vista ecclesiale - che comunque ha contribuito a dividere -, quanto da quello socio/politico/economico/finanziario, perchè di CL tutto si potrà dire fuorchè sia stata solo un movimento ecclesiale (tipo, ad esempio, i Focolarini, tanto per spiegarsi). Questo, di per sè, non è un fattore nè positivo nè negativo, però sicuramente contribuisce a rendere più articolato e complesso il giudizio sull'associazione e, inevitabilmente, sul suo fondatore. Ciò posto, non potrebbe essere opportuna una maggiore prudenza, tenuto anche conto che i sette anni trascorsi dalla sua morte sono - per gli usuali tempi della Chiesa - un periodo davvero breve? Lasciar scorrere un più congruo lasso temporale potrebbe far maturare un giudizio più meditato e maggiormente condiviso: la condivisione, in casi del genere, non è forse da ricercare? Non sarebbe cosa buona evitare che possa sorgere il dubbio, anche se fosse infondato, che in una materia così delicata vengano utilizzati criteri diversi a seconda delle persone esaminate? Cordiali saluti

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