26/05/2013
Il Papa a Prima Porta.
E alla fine il Papa si fa benedire dai bambini. China il capo davanti
a loro, vestiti di bianco, perché hanno appena ricevuto la Prima
comunione, china il capo come fece il 13 marzo davanti alla folla in
piazza san Pietro. E’ la prima visita di Francesco in una parrocchia
di Roma, santi Elisabetta e Zaccaria, la chiesa costruita da
pochissimi anni. La visita era già prevista. Doveva andarci Benedetto
XVI. Invece le cose sono state disposte diversamente dalla rinuncia di
Joseph Ratzinger. Bergoglio arriva presto in elicottero, perché la
parrocchia è lontana dal centro della capitale, oltre il raccordo
anulare a nord della citta, periferia che più di così non si può, case
nuove in mezzo ai campi, insediamenti dove la chiesa è il vero centro
della comunità.
Arriva presto per poter stare più tempo con la gente.
Francesco in questi mesi ha insistito più volte sulle periferie, come
luogo geografico, ma anche come luogo dove l’anima soffre e la Chiesa
deve essere presente. Ripartire dalla periferie, insomma e così la
visita ha assunto un ruolo particolare nella predicazione del
pontificato del nuovo Pontefice. Il parroco don Ben, perché così lo
chiamano, si è presentato in questo modo: “Sono romano e rumeno e noi
siamo una periferia in pole position”. Poi ha aggiunto: “Siamo la
prima e l’ultima parrocchia di Roma, dipende dai punti di vista. Ma in
realtà siamo sentinelle”. Papa Francesco guarda e sorride questa
piazza tra prati e case, il sole che va a viene, la pioggia che
minaccia, ma per fortuna non cade, il vento che scompiglia bandiere e
abiti bianchi. E’ appena uscito dalla chiesa dove ha salutato uno per
uno malati e handicappati. Guarda la gente, ha il volto disteso.
Il Papa a Prima Porta.
Ci sono pochi orpelli liturgici, nemmeno un leggio per lui. Il messale glielo sorreggono a mano. Dice: “Carissime sentinelle….” E l’applauso è fragoroso. Poi spiega: “Il Papa è in Vaticano. Oggi è venuto qui il vescovo”. E’ quanto aveva detto il giorno dell’elezione dalla loggia della basilica vaticana, sottolineando la sua funzione di vescovo di Roma. Ha accanto il cardinale Vicario Agostino Vallini, esattamente come allora. Ricorda il suo segretario maltese padre Alfred, lì accanto, che oggi festeggia 29 anni dalla sua ordinazione sacerdotale. E’ tutto molto semplice. Inizia la celebrazione, canti con la chitarra, voci di bambini, di gente normale. Bergoglio lo aveva scritto una volta: “La parrocchia è la porta della Chiesa”. Sventolano bandiere del Vaticano, bandiere italiane e c’è anche una bandiera argentina. L’omelia è un dialogo con i bambini, nessun testo scritto. Lui domanda: “Sapete chi è Dio?” Loro rispondono, poi si passa alla Trinità. Il Papa chiede e commenta: “Questo è difficile, chi la sa vince il derby”. L’omelia dura pochi minuti. Il Papa dà la comunione personalmente, sotto le due specie, a tutti i bambini e poi il gesto delle benedizione, inaspettato, straordinario. I bambini salgono sull’altare e cantano in latino: “Benedica tibi dominus”.
Il Papa prima li osserva poi china il capo davanti a loro per tutto il tempo del canto. Alla fine ci va in mezzo. Si sente l’audio della telecamera: “Ogni cristiano può benedire, deve dire bene. Il cristiano deve sempre benedire”. I bambini parlano con il Papa, gli danno del tu, lui s’attarda, saluta tutti, poi sale sulla papamobile e percorre piano piane le strade attorno alla chiesa, ricolme di folla, che lo stringe dappresso, quasi impedendo di proseguire, fino all’elicottero bianco che lo riporta in Vaticano per l’Angelus.
Alberto Bobbio