25/05/2013
Il parroco don Benoni Ambarus. Il servizio fotografico è di Gerald Bruneau.
Per la sua prima visita da “vescovo” di Roma ha scelto una parrocchia di confine,quella dei santi Elisabetta e Zaccaria. Il Papa comincia a incontrare la sua Chiesa dalla periferia nord, quartiere Prima Porta, a due passi dal Comune e dalla diocesi di Sacrofano, 12 mila fedeli, campagna e villette. Comincia in una domenica “ordinaria” di maggio, con i bambini già pronti per la loro Prima Comunione. Comincia senza cambiare il programma, riannodando il dialogo lasciato in sospeso da Benedetto XVI che avrebbe dovuto visitare la parrocchia lo scorso 3 marzo. La gente lo attende con semplicità e concretezza, addobbando la chiesa, predisponendogli spazi, ripassando canti e allestendo doni. Ciascuno dà del suo, dal pastore che mette a disposizione i suoi dieci ettari di terreno per il parcheggio alle mamme che prepara noi bambini, ai giovani che allestiscono il palco, ai tanti fedeli che passano a vedere «se serve una mano».
Parroco e viceparroco hanno avvisato il quartiere con un comunicato recapitato nelle caselle postali. Poche notizie essenziali perché tutto si svolga in serenità. Quando Giovanni Paolo II, il 26 ottobre1997, arrivò qui in visita pastorale, la parrocchia era in un garage. Ma poi la gente si è data da fare e oggi la struttura è ampia e attrezzata e la chiesa è un punto di riferimento. «Uno dei pochi», dice Alessia, 26 anni, laureata in Economia. «Per i giovani non c’è molto. Nel quartiere non c’è un cinema, un teatro. Le occasioni di incontro sono scarse. E poi molti di noi cercano lavoro in città, perché qui non ci sono grandi possibilità. E dunque diventa anche più complicato continuare a mantenere un impegno in parrocchia». Eppure i giovani non mancano. Qualcuno che faceva parte del nucleo originario, nato sulla spiritualità di san Francesco, non ha mai smesso di impegnarsi, qualcun altro si era allontanato, ma sta tornando, nuovi giovani e fedeli si avvicinano. Grazie anche agli sforzi della stessa Alessia, di Stefania, 28 anni, medico, di Piero, 30 anni, studente in Scienze religiose, e di tante persone di buona volontà, la parrocchia sta diventando sempre più animata.
Da poco si è avviata anche l’esperienza della Caritas ed è partita la
formazione degli animatori per l’oratorio che sta aprendo i battenti. «Quest’anno per la prima volta faremo il Grest, il gruppo estivo», dice Stefania. Con
Piero e Alessia ci mostrano i giochi già sistemati, il campo di
calcetto pronto per l’inaugurazione, parlano delle attività che
dovrebbero permettere una sempre maggiore integrazione tra territorio e
parrocchia.«Al Papa mostreremo tutto questo con grande gioia»,
interviene il parroco, don Benoni Ambarus, 39 anni, romeno. Don
Ben,come tutti lo chiamano, è allergico ai mass media e ai riflettori. È
abituato a lavorare sul concreto, a dare risposte ai bisogni della
gente,a parlare poco e a fare molto. Quando il cardinale Agostino
Vallini, vicario di Roma,gli aveva telefonato per sottoporgli due date
possibili per la visita del Papa, la sua risposta era arrivata semplice e
immediata: «Ci sono le Prime Comunioni, non possiamo spostarle». Il
cardinale ne aveva parlato con papa Francesco e nella seconda
telefonata, chiarito che le Comunioni non sarebbero state spostate, era
stata fissata la data.
«Siamo stati molto contenti della semplicità con la quale il Papa ha
deciso di venire lo stesso, inserendosi nel cammino della nostra
parrocchia. C’è una gioia diffusa e molto interesse attorno a questa
visita». Domenica 26 maggio sono 16 i bambini che si accosteranno per
la prima volta al Sacramento, ma tutti e 44 quelli che si sono
preparati per la Prima Comunione nelle domeniche di maggio saranno
vestiti di bianco attorno al Papa. E poi tutti parteciperanno finché
gli spazi dentro e fuori la chiesa lo consentiranno. Anche qui si
respira “l’effetto Bergoglio”. «Stiamo notando un certo aumento delle
presenze domenicali», aggiunge il vice parroco, don Giovanni Franco, «e
certamente la visita del Papa susciterà nuovi entusiasmi».
«Riapre la fiducia delle persone», insiste Stefania, «ed è un dono per
noi poterlo accogliere qui». Nata su iniziativa francescana, la
parrocchia si sente anche per questo idealmente vicina al nuovo Papa.
Con uno stile di fraternità prezioso soprattutto in questi momenti di
crisi. «Qui regge ancora il sistema familiare», spiega don Ben, «con i
genitori che hanno, in passato, costruito le case in previsione dei
figli, con un piccolo giardinetto, con gli spazi a misura di famiglia.
La crisi ci sta riportando a un modello più sobrio di vita e anche di
rapporti tra di noi. E qui siamo aiutati dal fatto che, proprio per come
è nato il quartiere, sono pochi i casi di vera povertà. Si tratta per
lo più di immigrati o di giovani coppie che sono venuti a vivere qui da
poco,senza la famiglia che possa aiutarli». E proprio verso i giovani e
verso le giovani coppie che sentono meno l’appartenenza ecclesiale si
dirigono gli sforzi di parroco, viceparroco e animatori della parrocchia
per ritessere legami e risvegliare la fede.
Un cammino partito da lontano, che ha avuto una tappa fondamentale
con la consacrazione della chiesa nel febbraio 2010 e che adesso, dopo i
riflettori di questa domenica continuerà,con più forza, nella vita
ordinaria. Lo stile è quello della foto che campeggia nello studio
di don Ben: un uomo anziano, un bambino, il deserto del Marocco, la mano
sul capo. «Mi sembra che esprima bene la paternità di Dio e anche il
ruolo della guida spirituale: il bambino dovrà camminare da solo per
quel deserto, prendere in prima personale decisioni, ma la mano di Dio
lo accompagnerà sempre», spiega il parroco. Un messaggio di
responsabilità che sta già portando i primi frutti.
Annachiara Valle