28/05/2012
Papa Benedetto XVI (foto Ansa).
Che ci sia, come diceva il Bardo, “del marcio
in Danimarca”, ovvero dei problemi in Vaticano, è un po’ difficile da negare.
Ma l’articolo di Eugenio Scalfari, oggi su
Repubblica, è così supponente e mediocre da risultare di indiretta (seppur
magra) consolazione. Un secolo di vita della Chiesa e del papato ripercorsa in
quattro battute sprezzanti, un quadro in cui grandi personaggi che hanno
segnato la storia (da papa Pacelli, passando per Giovanni XXIII e Paolo VI, a
Giovanni Paolo II) sono liquidati in toni riduttivi o caricaturali.
Papa
Ratzinger, al quale l’avventuroso Scalfari non risparmia qualche lezione di
Teologia, in particolare è definito “lezioso”. Certo,
tanto sprezzo sta tutto nella linea del giornale che, dalle fandonie sull’Ici a
quelle sui preti pedofili, continua a dipingere la Chiesa cattolica come
un’organizzazione quasi demoniaca. E magari è vero che Benedetto XVI, con la
sua vasta cultura e la finezza del tratto, non dà a prima vista l’impressione
del vigoroso uomo di governo.
Ma se
lasciamo da parte le parole e andiamo a controllare i fatti, troviamo una
realtà ben diversa. Eccone qualche esempio.
- Joseph
Ratzinger è diventato Papa facendo, per usare una terminologia laica, una
“campagna elettorale” al contrario: cioè standosene appartato, non
curandosi della fama di severo custode dei dogmi a torto o a ragione accumulata
negli anni di lavoro alla Congregazione per la dottrina della Fede (ex
Sant’Uffizio), facendo giusto prima del conclave un durissimo discorso sulla
necessità di estirpare il marcio dalla Chiesa.
- A
differenza di quanto fanno i politici, Ratzinger ha largamente mantenuto quanto
promesso prima di ascendere al pontificato. L’esempio più chiaro
è proprio nella campagna per l’eliminazione dei preti pedofili dalla Chiesa.
Benedetto XVI non ha coperto nulla e nessuno e tutti i documenti elaborati da
lui direttamente (primo fra tutti, la famosa Lettera pastorale alla Chiesa
d’Irlanda) o durante il suo papato (le recentissime Linee guida della Cei) impongono alle autorità ecclesiali di collaborare con le
autorità civili per stroncare il fenomeno.
Repubblica, che su
questi temi segue alla cieca la propaganda dei Radicali, ha cercato un’inutile
polemica sulla questione dei vescovi obbligati o non obbligati a denunciare.
Una scempiaggine vera: pensate un
vescovo con obbligo di denuncia, cioè con gli obblighi che in Italia toccano
solo a magistrati e pubblici ufficiali; pensate a un vescovo che può sbagliarsi
come tutti e denunciare un innocente; pensate se a direttori di giornali, capi
del personale, generali toccasse l’obbligo di denunciare dipendenti e
sottoposti sospetti di pedofilia. Non è difficile capire quale non senso stesse agitando Repubblica.
- Della
stessa caratura sono le insinuazioni sul siluramento di Gotti Tedeschi, lo Ior
e la famosa White List dei Paesi extracomunitari che
osservano le norme di trasparenza finanziaria Ue, in cui il Vaticano dovrebbe essere
inserito a giugno dal Consiglio d’Europa. Anche qui, i laicisti nostrani la
mettono come se il Vaticano fosse inseguito dagli emissari del club degli
onesti. E’ quasi esattamente il contrario e ancora una volta il merito è di
papa Ratzinger. E’ stato lui, infatti, a emettere il Motu
Proprio del 30 dicembre 2010 che estende alla Santa Sede la
Legge vaticana n.127 (prevenzione e attività contro il riciclaggio di denaro),
provvedimento che porta con sè l’istituzione dell’Autorità di informazione
finanziaria.
Il Motu Proprio, a sua
volta, è conseguente a una precedente e fondamentale decisione: rimanere
all’interno dell’euro e dei regolamenti Ue nonostante le restrizioni che nel 2009 l’Unione Europea decise di imporre, sempre per
garantire la trasparenza finanziaria, a Vaticano, San Marino e Principato di
Monaco. In quel momento in Vaticano non erano pochi quelli che avrebbero voluto tirarsi indietro, alcuni fino al punto di uscire dall’euro. Non c’è già la Gran
Bretagna, per citare solo il caso più illustre, a tirare avanti con la propria
moneta?
In nome
della massima trasparenza fu presa la decisione opposta. Anche al prezzo di
avere a che fare con Joaquin Almunia, commissario europeo agli
Affari Economici e Monetari, spagnolo e socialista. Un laico di così aperte
vedute che rifiutò di firmare l’accordo tra Ue e Vaticano nella stessa stanza con il
rappresentante pontificio, monsignor André Dupuy, nunzio apostolico presso la
Ue. Quello stesso Almunia che, come primo atto della sua successiva (2010) nomina a
commissario alla Concorrenza, avvia la procedura contro lo Stato italiano per i
“favoritismi” fiscali verso la Chiesa cattolica.
E poi
Scalfari chiama questo Papa “lezioso”. Come direbbe Totò: ma mi faccia il
piacere!
Fulvio Scaglione