12/05/2011
Woody Allen sul "red carpet" di Cannes.
Con la serata di gala dedicata al nuovo film di Woody Allen Midnight in Paris, si è aperto mercoledì il 64° Festival di Cannes. Un’edizione che si annuncia a tutta “grandeur”, dopo qualche anno un po’ sotto tono. Merito in partenza del cast rutilante del regista newyorkese: Adrien Brody, Rachel McAdams, Owen Wilson (assente solo la “prémière dame” Carla Bruni). Così come della sfilata di nomi famosi che fanno parte della giuria: dal presidente Robert De Niro agli attori Jude Law e Uma Thurman (presentati dalla madrina della serata Mélanie Laurent, la deliziosa biondina di Bastardi senza gloria). E soprattutto per gli acclamati omaggi a due grandi della settima arte. Al regista Bernardo Bertolucci, festeggiato con la Palma d’oro alla carriera che, malgrado la sedia a rotelle per i postumi del malanno alla schiena, ha annunciato il suo ritorno presto sul set (per poi dedicare il premio "a tutti gli italiani che hanno ancora voglia d’indignarsi e le cui coscienze non sono appiattite da certa televisione"). E all’attrice Faye Dunaway, una cui bella foto anni Settanta campeggia quest’anno sulla locandina ufficiale del festival.
Ma a far venire l’acquolina in bocca a critici e cinefili è soprattutto il ricchissimo cartellone del concorso: venti pellicole, la maggior parte delle quali firmate da mostri sacri della cinepresa. Dopo averne vinte già due (nel 1999 con Rosetta e nel 2005 con L’enfant) si aggiudicheranno l’ennesima Palma d’oro i fratelli Dardenne per Il ragazzo con la bicicletta? Oppure sarà il danese Lars von Trier a fare il bis con Melancholia? O magari toccherà al nostro Nanni Moretti, attesissimo sulla Croisette per il suo Habemus Papam e assai amato dalla critica francese prima ancora di portarsi a casa la Palma d’oro nel 2001 per La stanza del figlio?
Il lotto dei favoriti, poi, non si ferma qui perché sperano di aggiudicarsi finalmente il massimo alloro, dopo aver già vinto tutto l’assortimento dei premi di contorno, pezzi da novanta come il pirotecnico spagnolo Pedro Almodòvar (La piel que habito), il corrosivo finlandese Aki Kaurismaki (Le Havre), il misterioso americano Terrence Malick (The tree of life) e l’immaginifico Paolo Sorrentino (italiano da esportazione che ha convinto la star Sean Penn ad accettare il ruolo da protagonista del suo This must be the place).
Impossibile fare pronostici. Anche perché la lunga storia del Festival di Cannes insegna che la sorpresa è sempre dietro l’angolo. Se dobbiamo allora scommettere su un out-sider, scegliamo il francese Alain Cavalier che porta in concorso Pater: un regista arrivato alla soglia degli 80 anni con spirito ancora giovanissimo; che ama i titoli in latino ricchi di significato (Libera me, altra sua suggestiva pellicola sulla Resistenza francese); che da laico affamato di spiritualità ha firmato uno dei più bei film di sempre a sfondo religioso, Thérèse (sull’appassionante vicenda umana di Santa Teresa di Lisieux). Cavalier è uno di quei rari registi che usa lo schermo come il pittore usa la tavolozza. E in un’edizione in cui Cannes celebra i grandi vecchi (oltre a Michel Piccoli, protagonista del film di Moretti, ospite d’onore sarà Jean-Paul Belmondo), potrebbe essere per lui la volta buona.
Di significativo c’è un tema che approda con forza sulla Croisette grazie proprio al cinema italiano: un disagio spirituale ormai diffuso. La fatica di "dire Dio oggi". La capacità di sintonia con l’uomo moderno che la Chiesa sembra aver smarrito. E’ questo, in fondo, il tema sotteso dal criticato eppur interessante film di Nanni Moretti. Ed è la stessa tematica portata in scena, pur se con stile e punto di vista diametralmente opposti, dalla debuttante Alice Rohrwacher con Corpo celeste, film in gara nella sezione parallela della Quinzaine des réalisatuers. Surreale e onirico Moretti, iperrealista e poetica la Rohrwacher. Incursore negli spazi misteriosi del Vaticano il primo, esploratrice a occhi spalancati della quotidianità di una chiesa della provincia italiana più profonda la seconda. Insomma, uno sguardo critico dall’alto e uno dal basso. Ma non per schernire o distruggere. Piuttosto per cercare di dare risposta a un bisogno comunque diffuso tra praticanti, blandi credenti o laici alla ricerca di verità: il ritorno a una fede profonda che traghetti l’uomo attraverso le difficili sfide della modernità.
Maurizio Turrioni