12/05/2011
Nanni Moretti durante le riprese di "Habemus Papam".
Un testacoda dell’anima. È il segnale di un disagio forte che il cinema italiano porta al Festival di Cannes. Da una parte Nanni Moretti con il suo Habemus Papam, che tante polemiche ha suscitato in Italia e che non mancherà di catalizzare l’interesse dei critici di tutto il mondo sulla Croisette. Già vincitore della Palmad’oro con La stanza del figlio, giusto dieci anni fa, difficilmente Moretti riuscirà a bissarel’impresa, visto che in gara si scontreràcon pezzi da novanta come Woody Allen (Midnight in Paris), Pedro Almodóvar (La pielque habito), Terrence Malick (Tree of life), i fratelli Dardenne (Il ragazzo con la bicicletta), Lars von Trier (Melancholia), Aki Kaurismaki (Le Havre) e l’altro italiano Paolo Sorrentino (This must be the place).
Anche se il nostro personale pronostico va a Pater di Alain Cavalier, vero poeta della cinepresa. Rischia però seriamente di vincere il premiocome miglior attore Michel Piccoli che, a85 anni, nel film di Nanni dà la sua umanissima versione di un Pontefice mancato. Non per ignavia o per codardia, ma perché non all’altezza del compito di guidare la Chiesa verso i grandi mutamenti secondo lui necessari per vincere le ardue sfide della modernità. Una critica dall’alto all’impasse che inqualche modo sta attraversando la religione cattolica a cui fa da contraltare, con un fil rouge che attraverserà la Croisette spostandol’attenzione dal Palais alla sezione parallela della Quinzaine des réalisateurs, il film della esordiente Alice Rohrwacher: Corpo celeste racconta infatti un analogo disagio partendo dal basso, dalla quotidianità plastificata di una parrocchia di periferia del Sud Italia.
Alice Rohrwacher, regista di "Corpo celeste".
«A dire il vero, mentre giravo non mi sono neppure resa conto di
quanto profonde fossero le implicazioni di questa storia», confessa
Alice, 29 anni, sorella dell’attrice in ascesa Alba Rohrwacher e già
mamma di una bimba di 4 anni, Anita. «Dopo la laurea in Lettere a Torino
mi sono specializzata nel documentario a Lisbona. Ed è questo sguardo
realisticoche porto dietro la cinepresa. Quando il produttore Carlo
Cresto-Dina mi ha chiesto di fare un film indagando su un tema, ho
pensato alla Chiesa: il mondo che forse meno mi riguardava, ma più
attirava la mia attenzione».
– Nessun timore di critiche e polemiche?
«Non ci ho mai pensato. In quel periodo vivevo con mia figlia a
Reggio Calabria. Più che la vicenda m’interessava analizzare l’epoca in
cui viviamo. Che cosa voglia dire abitare questo tempo. Così spalancai
gli occhi, comeavrei fatto per un documentario, entrando dalla finestra
più piccola e vicina alla vita di tutti i giorni: le attività di una
moderna parrocchia di periferia, il catechismo, la preparazione alla
Cresima. Uno sguardo sull’Italia più vera, quella della provincia
profonda con la sua rassegnazione ai mali, a un degrado morale
quotidiano ma inconsapevole».
– Sguardo probabilmente prevenuto...
«Assolutamente no. Mi sono ritrovata a frequentare lezioni,
riunioni, corsi scanditi da quiz e giochi televisivi tipo “Saranno
testimoni”o “Chi vuol essere cresimato?”... Ho scoperto un mondo più
triste di quel che immaginassi. Nessuno che legge e spiega più il
Vangelo. Piuttosto, si scimmiottano le mode televisive. Mi sono sentita
un po’ un’aliena».
– Da qui l’idea del titolo, Corpo celeste?
«A colpirmi è stata la lettura delle prime pagine dell’omonimo
libro di Anna Maria Ortese:il meraviglioso senso di spaesamento nello
scoprirsi abitanti d’un corpo sospeso nello spazio. È così che mi è
comparsa davanti Marta, la protagonista della mia storia: un’adolescente
che cammina attraverso una città sconosciuta, alla ricerca della sua
via attraverso il mondo, più che al di là del mondo».
A 13 anni la bionda Marta, esile e forte come un giunco
(l’esordiente Yle Vianello), torna a vivere a Reggio Calabria con madre e
sorella dopo essere cresciuta in Svizzera. Emigrante al contrario per
colpa dello scarso lavoro e di non si sa quale crisi familiare. Il
rapporto con mamma Rita (la brava Anita Caprioli) è complice al punto
che lei, vedendo la figlia isolata, la iscrive al corso per la Cresima
sperando che faccia nuove amicizie. Marta però è più sensibile e matura
degli altri ragazzi. Vive come un’aliena la quotidianità della
parrocchia guidata da don Mario (Salvatore Cantalupo, già sarto in Gomorra)
con un crocifisso al neon e una catechista (la non professionista
Pasqualina Scuncia) che, pur di ottenere l’attenzione dei cresimandi,
insegna la dottrina col karaoke.
Yle Vianello in "Corpo celeste".
A Marta tutto questo non basta. È nel momento del passaggio
all’adolescenza, ma oltre che donna sembra voler diventare persona. Alla
ragazzina appare chiaro il disagio di don Mario, che agogna un posto
migliore e cerca d’ingraziarsi il vescovo procacciando voti per il
candidato della curia. In mezzo a tanto squallore, uno squarcio di luce:
Marta incrocia don Lorenzo (superbo Renato Carpentieri), vecchio prete
relegato in un paesino diroccato e spopolato dell’entroterra calabrese.
Lui sì che le racconta un Gesù che le piace! Ed è lì che don Mario va a
recuperare il grandecrocifisso ligneo della chiesa sconsacrata. Il segno
di una fede ritrovata?
Purtroppo, un testacoda dell’auto guidata dal religioso lungo
l’impervia strada costiera fa precipitare il crocifisso in mare dove,
ripulito dalle incrostazioni, Gesù galleggia tra gli scogli e le onde...
Un’immagine suggestiva che prelude alla chiusura, rivolta alla
speranza, del film.
– Alice, lei si definirebbe credente?
«Come Marta, sono affascinata da una certa visione del Cristo. Non
posso dire però di credere in Dio, perché questa parola così sublime
oggi è troppo legata alle chiese e agli uomini che le abitano. Ho una
visione religiosa dell’esistenza. Credo in una dimensione superiore
dell’essere».
Maurizio Turrioni