03/03/2011
Fabio Trabocchi all'ingresso della mostra "Venezia: Canaletto e i suoi rivali" alla National Gallery of art di Washington.
All'età di 14 anni Fabio Trabocchi aveva già le idee chiare: da grande lui sarebbe diventato un famoso chef. Detto fatto. Già a 15 anni Fabio, originario di Osimo (in provincia di Ancona), fa pratica tra i fornelli. Poi arriva il lavoro con Gualtieri Marchesi; in seguito il salto verso Londra; infine il volo verso l'America. Destinazione: la periferia di Washington, come chef del ristorante italiano Maestro per sette anni; in seguito New York, nel ristorante Fiamma. «Quando a New York si è fatta sentire la crisi economica, io e mia moglie, che è spagnola, abbiamo considerato la possibilità di tornare a Washington, la città dove lei ed io ci siamo conosciuti». Nella capitale Trabocchi oggi ha l'incarico di preparare il menù italiano del Garden Cafè Italia, il ristorante all'interno della National Gallery of art che propone questa iniziativa gastronomica in coincidenza con la mostra "Venezia: Canaletto e i suoi rivali" - presente fino al 30 maggio - e con il programma di eventi culturali "La Dolce DC", promosso dall'Ambasciata d'Italia per celebrare a Washington i 150 anni dell'Unità d'Italia.
La cucina italiana va forte a Washington come nel resto d'America?
«Assolutamente sì. Washington è una città in pieno sviluppo nel campo
della ristorazione, la gastronomia qui vive un ottimo momento, negli
ultimi dieci anni ha conosciuto una grande espansione e
diversificazione, ora vediamo una grande affluenza di ristoratori e chef
da altre città come New York, ma anche da altri Paesi; questo genera un
sano spirito di concorrenza e competizione che è positivo perché sprona
a migliorare e diversificare sempre di più la qualità dell'offerta
gastronomica. La cucina italiana, in particolare, è sempre molto
apprezzata e riconosciuta. Senza nulla togliere a a quella francese o
spagnola, la nostra cucina rimane protagonista in America».
Rispetto ad altre città americane come New York e Boston, a Washington non c'è una Little Italy... Qui si avverte di meno lo spirito italiano?
«A Washington la presenza italiana è tangibile nell'architettura, basti pensare al complesso residenziale Watergate, progettato da un architetto italiano. Inoltre, la comunità italiana qui è sempre più forte, unificata e in continuo aumento. Certo è una presenza diversa da quella a New York».
Lei ha scritto un libro, La cucina delle Marche, per il pubblico statunitense. Da alcuni anni questa regione è stata scoperta dagli americani che l'hanno definita "la nuova Toscana".
«Sì, in particolare grazie a un articolo del New York Times uscito alcuni fa. Spesso è difficile definire chiaramente la cucina regionale marchigiana perché magari viene confusa con quella umbra. Con questo libro il mio intento è quello di spiegare agli stranieri la cultura e la gastronomia della mia regione di origine, fare una sorta di autobiografia culinaria. Ho raccolto una serie di ricette tradizionali, rivisitandole in chiave moderna».
E ad aprile aprirà un nuovo ristorante italiano vicino alla National Gallery of art...
«Sì, sarà in Pennsyilvania avenue e si chiamerà Fiola, una parola del dialetto marchigiano che significa "figliola", "ragazza", "bambina". E' difficile trovare un nome italiano originale, nuovo per un ristorante in America. "Fiola" è un termine regionale e poi suona bene anche in inglese. Sarà un ristorante di livello medio-alto dove proporremo i piatti della cucina marchigiana prima di tutto, ma anche ricette di altre regioni d'Italia. Avremo un menù di alta qualità, basato su prodotti organici, non manipolati, che prenderemo direttamente da una rete di coltivatori e allevatori della zona ai quali ci affideremo».
Un piatto marchigiano del menù?
«Sicuramente i vincisgrassi, una variante regionale delle lasagne al forno».
Giulia Cerqueti