28/04/2010
Un bambino in incubatrice (Foto THINKSTOCK)
Non è la prima volta che succede in Italia, ma il caso ha comunque dell'incredibile. Nell'ospedale di Rossano (Cosenza) sabato 24 aprile un feto di 22 settimane viene abortito in sala operatoria ed eliminato con il normale materiale biologico. Il cappellano della struttura sanitaria, don Antonio Martello, l'indomani mattina si reca come di consueto nel reparto di maternità per pregare sui feti abortiti e si rende conto che uno di questi, di proporzioni più grandi, si muove. Avverte prontamente i sanitari, che tentano una disperata rianimazione per trasportarlo subito dopo nel reparto di neonatologia dell'ospedale dell'Annunziata di Cosenza, dove vengono tentate cure estreme ma senza successo: il bimbo muore infatti lunedì mattina.
L'articolo 6 della Legge 194/78 sull'interruzione di gravidanza consente l'aborto terapeutico anche oltre i 90 giorni dal concepimento in caso di "rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro, che determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna". Ma è altrettanto vero che, come previsto dalla stessa legge 194, qualora in caso di aborto il feto nasca vivo, esso deve essere soccorso. Egli è infatti a tutti gli effetti dotato di personalità giuridica e quindi destinatario dei diritti fondamentali della persona, in questo caso quello di essere soccorso.
Come mai i sanitari del nosocomio calabrese non si siano attivati per salvare la vita al bambino resta al momento sconosciuto. Il Sottosegretario al Ministero della Salute Eugenia Roccella ha prontamente ordinato una visita degli ispettori ministeriali per accertare se vi siano state inadempienze da parte dei sanitari.
Monsignor Santo Marcianò, arcivescovo della diocesi di Rossano-Cariati, dal canto suo ha emesso un comunicato molto duro dove, oltre a denunciare la "arbitraria superficialità dei sanitari nell’omettere qualsiasi tipo di cura e rianimazione del bambino", richiama anche alla gravità del "diffondersi di una cultura della morte totalmente non rispettosa dell’essere umano tradotta in una prassi che, come in questo caso, assume connotazioni barbariche, sovvertendo i fondamentali principi di cura e soccorso della vita umana, naturalmente presenti nell’uomo e, in misura maggiore, proprie della professione medica". In allegato il comunicato stampa.
Stefano Stimamiglio