25/10/2012
«E’ figlio loro o l’hanno adottato?»: E’ una delle domande più frequenti con cui, nella vita quotidiana, una famiglia adottiva deve confrontarsi. L’assenza del legame biologico - e l’impatto più o meno problematico che ciò rappresenta nella vita dei figli adottivi - è il grande tema su cui ieri, a Milano, si sono confrontati studiosi ed esperti di diversi settori nell’ambito di una giornata di studi organizzata dal Centro Italiano Aiuti all’Infanzia (www.ciai.it) in collaborazione con la Provincia.
«Che peso ha il legame biologico nella vita di nostro figlio? E’ la grande domanda che ci siamo voluti fare per cercare di comprenderne le implicazioni psicologiche, sociali, culturali e giuridiche», ha spiegato Paola Crestani, presidente del Ciai e madre adottiva e affidataria.
Se è vero che l’adozione è la creazione di una famiglia che viene giuridicamente equiparata in tutto e per tutto a quella biologica, «nello stesso tempo, da un punto di vista sociale, la famiglia adottiva non è mai percepita esattamente uguale a quella naturale, ma come qualcosa di diverso», ha spiegato Marco Chistolini, psicologo e psicoterapeuta, responsabile scientifico del Ciai.
«Il clima sociale intorno all’adozione», ha proseguito l’esperto, «fa pensare che ci sia una svalutazione, magari non dichiarata, del legame adottivo rispetto a quello di sangue». Gli esempi sono tanti: si va dalle espressioni linguistiche (“il sangue non è acqua”; “chi sono i suoi veri genitori?”) fino all’atteggiamento delle istituzioni, che quando si tratta di interrompere un legame di sangue, come avviene ad esempio nelle dichiarazioni di adottabilità di un bambino, preferiscono procrastinare all’infinito, anche di fronte a situazioni di grave inadeguatezza dei genitori naturali.
Anche se non viene ammesso apertamente, ha chiarito Chistolini, la
società tiene ancora in enorme conto la portata del legame biologico e
finisce per “svalutare”, anche involontariamente, l’identità sociale
dell’adottato. Come reagire a tutto questo? «Certamente non fingendo che
sia tutto a posto», ha detto Marco Chistolini. «Ma nemmeno contrapponendo al “mito del sangue” il “mito della relazione”:
quando si nega che l’essere nati da qualcuno ha un valore, e si propone
come unica figura legittima quella di chi ci ha cresciuti, si finisce
per arrivare a uno scontro ideologico. L’assenza del legame biologico
può essere superata utilizzando il criterio dell’efficacia, ovvero
valutando se nella famiglia, pur non essendoci un legame di sangue, si è
stabilito un attaccamento tra genitori e figli che funziona esattamente
nello stesso modo».
Gli esperti invitano i genitori a non sentirsi messi in discussione,
o peggio delegittimati, dal “fantasma” del legame biologico, ma
piuttosto a prendere atto che esso esiste. Fuori dalle contrapposizioni,
usando disponibilità, affidabilità, attenzione, empatia, sarà possibile
aiutare i figli a elaborare quella “nostalgia struggente” che molto o
poco, presto o tardi, potrà coglierli in certi momenti della vita.
Benedetta Verrini