Vietti: «La legge è uguale. Per tutti»

«L’attività di Pm e giudici non sottende disegni eversivi. Va rispettata. E questo vale anche per il premier», dice il vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura.

11/02/2011
Michele Vietti, 57 anni, avvocato, esponente di spicco dell'Udc di Casini, dal 2 agosto 2010 è vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura, Csm (foto di Paolo Siccardi/Sync),
Michele Vietti, 57 anni, avvocato, esponente di spicco dell'Udc di Casini, dal 2 agosto 2010 è vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura, Csm (foto di Paolo Siccardi/Sync),

Dagli attacchi alle Procure al processo breve. Michele Vietti, vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura (Csm), affronta tutti i punti di attrito tra il potere esecutivo e quello giudiziario in un'intervista a tutto campo che Famiglia Cristiana pubblicherà sul n. 8 in edicola dal 16 febbraio. Anticipiamo il testo integrale.


C’è tutto quello che ci si aspetta di trovare nello studio privato di uno come lui, a partire dai testi della Costituzione, del Codice civile e di quello penale consumati dalle frequenti consultazioni, per finire ai Cd di musica classica impilati con cura, Beethoven, Brahms e Mozart su tutti. Due le note eccentriche: il gran numero di papere d’ogni colore e misura («Le  colleziono; beninteso, non parliamo di gaffe») e alcuni bastoni da golf appoggiati in un angolo, ricordo, dice lui, di quando aveva spiccioli di tempo libero da spendere sul green. «Adesso mi devo occupare di ben altre cose», sospira togliendo dalla scrivania i giornali che anche oggi titolano in prima pagina sui Pm sotto schiaffo, sul processo breve e sui vari acciacchi della giustizia italiana. Michele Vietti, 57 anni appena compiuti, piemontese, avvocato, politico di spicco dell’Udc di Casini, dall’agosto 2010 è il vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura (Csm).

Si sente in guerra?

«No, perché dovrei? Sento semmai la responsabilità di dare un contributo affinché il Paese superi questa lunga stagione di contrapposizione permanente che lo paralizza e che l’ha ridotto al penultimo posto nella classifica mondiale della crescita».

Che c’entra l’economia?


«C’entra, eccome. L’amministrazione della giustizia, infatti, non è una variabile indipendente dello sviluppo economico. Qualche mese fa il rettore dell’Università Bocconi ha ricordato che la crescita italiana subisce un costante rallentamento dovuto anche alla diffusa illegalità. I Paesi dove funziona la giustizia, e in particolare la giustizia civile, tendono, invece, a specializzarsi nei settori produttivi più sofisticati e reggono meglio la sfida della concorrenza».

I magistrati si muovono come se fossero in trincea…

«Sono in trincea nel senso che devono difendere la legalità, un valore fondamentale senza il quale non ci sarebbe lo Stato di diritto. È la nostra Costituzione che affida ai magistrati il compito di garantire la legalità, intervenendo quando è violata. Questo si fa attraverso il processo, l’unico strumento con cui si assegnano i torti e le ragioni. Senza, saremmo alla giungla».

I processi vanno fatti…

«L’alternativa è la prevaricazione. Tutti devono rispettare le regole».

Nessuna eccezione, dunque...

«Nessuna eccezione. Semmai il principio vale in particolare per chi ricopre incarichi istituzionali o incarna uno degli altri poteri».

Come, ad esempio, il Primo ministro...

«Come ho avuto modo di affermare in occasione della recente inaugurazione dell’anno giudiziario, l’attività dei Pubblici ministeri e dei giudici non sottende disegni eversivi. Tutti devono rispettarla. E questo vale anche per il presidente del Consiglio dei ministri. Ciò non significa dover applaudire sempre e comunque i giudici. Ci mancherebbe. Ma se una società interpreta il sacrosanto diritto di critica, sale della democrazia, come rifiuto delle regole, come delegittimazione di chi ha la funzione di applicarle e farle rispettare, allora si esce dallo Stato di diritto e ci si incammina verso il passato, non verso il futuro».

Il conflitto lacera i vertici dello Stato…

«Condivido l’allarme del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che è anche il presidente del Csm. Si è superato il livello di guardia e occorre quanto prima ristabilire un corretto rapporto tra le istituzioni. Il fisiologico confronto, anche aspro quando è necessario, tra forze politiche, ormai si è trasformato in un patologico scontro che non risparmia nessuno, dalla presidenza del Consiglio, alle presidenze di Camera e Senato, a vari ministri. Si arriva perfino a mettere in discussione gli stessi cardini del convivere civile basato sulla separazione dei poteri, come si fa, ad esempio, quando si vuol limitare l’indipendenza e l’autonomia di quello giudiziario. Mi auguro che l’Italia riesca a uscire da questo inverno di delegittimazione. Dobbiamo tutti ricordare che gli uomini passano, ma che le istituzioni restano».

Resta anche il Vangelo. S’è formato dai salesiani e dai gesuiti, è credente, è padre e nonno. Visto il moltiplicarsi di certi pessimi esempi, come vive quest’epoca segnata dagli scandali e dall’emergenza educativa?

«In più occasioni il Papa ci ha ricordato che la crisi dell’etica pubblica è conseguenza della crisi dell’etica privata. Il venire meno dei valori fondanti della nostra civiltà cristiana, la mercificazione di qualunque sentimento, la divinizzazione del denaro e del successo sono purtroppo penetrati nel tessuto sociale e stanno logorando coscienze personali, rapporti interpersonali, comunità civile. Costruire sulla roccia della Parola di Dio resta un antidoto sicuro contro lo smarrimento di quest’epoca buia».

Organici insufficienti, norme troppo numerose e spesso contraddittorie, un presidente del Consiglio che urla ripetutamente contro i giudici: qual è a suo avviso il principale problema della giustizia oggi, in Italia?

«È avere una ragionevole durata dei processi. L’Europa ci condanna perché i nostri processi penali e civili durano troppo, ci vuole un grande sforzo collettivo di tutti gli operatori della giustizia per accelerare i tempi. Una risposta tardiva è una giustizia negata».

Ben venga allora il “processo breve” tanto caro al centrodestra e a Silvio Berlusconi…

«Chi non è d’accordo sul fatto che il processo debba essere breve? L’importante è che il processo diventi più breve rimanendo un processo, perché se per farlo breve lo rendiamo monco del suo sbocco naturale, che è la decisione, allora semplicemente non abbiamo più il processo. Se applicassimo alla sanità i principi del testo all’esame della Camera, sarebbe come pretendere di fissare un tempo massimo di ricovero perché il malato guarisca, trascorso il quale, se non è guarito, andrebbe soppresso».

Che fare allora?

«Occorre piuttosto intervenire attraverso una più razionale distribuzione delle risorse esistenti, cominciando, ad esempio, dalla revisione delle circoscrizioni giudiziarie disegnate ancora sulla geografia di un’Italia ottocentesca e preunitaria. Il numero di tribunali, già elevato in sè (sono 165 in tutto, con relative Procure della Repubblica), è esorbitante in relazione ad alcuni distretti. Solo in Piemonte ci sono 17 tribunali, con altrettante procure; nel piccolo Abruzzo 8. In Sicilia si contano 4 Corti d’appello. Si tratta di uffici collocati secondo logiche figlie di un’epoca in cui ci si spostava a cavallo in un contesto di economia agricola».

Si dice: i magistrati lavorano poco…

«Si tratta di un’affermazione piuttosto semplicistica, basata sull’oggettiva lentezza dei tempi della giustizia italiana. In realtà è vero che una migliore organizzazione del lavoro può condurre a migliori performance, come dimostrano alcuni recenti esempi positivi in tutto il Paese, ma la questione è assai più complessa. Lo testimoniano gli ultimi dati della Commissione europea per l’efficienza della giustizia (Cepej), che ha constatato come nel 2008 quanto a produttività nel contenzioso civile l’Italia sia al secondo posto per numero di affari definiti (2.693.564), dopo la Russia, ma davanti a Francia (1.774.350) e Spagna (1.620.000). Anche nel settore penale la situazione è analoga, sebbene in questo ambito gli ordinamenti siano assai diversi e quindi più difficilmente paragonabili: l’Italia è addirittura al primo posto con 1.204.982 procedimenti definiti, quasi il doppio della Francia (618.122), il Paese a noi più vicino sul piano dell’ordinamento giuridico. Occupiamoci dei problemi quotidiani che affliggono la giustizia penalizzando tutti i cittadini, anziché vagheggiare “grandi riforme” che interessano a pochi».

Alberto Chiara
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Postato da palula52@hotmail.it il 17/09/2011 16:41

Ho apprezzato l'intervento. Auspicherei iniziativa diretta del CSM per la divulgazione della utilità della revisione delle circoscrizioni giudiziarie e, aggiungerei, di eventuali depenalizzazioni coerenti col sentire civile dell'uomo comune: oserei anche indicare la utilità del rientro di molti magistrati assegnati a uffici extra giudiziarii. Una divulgazione potrebbe avvenire spendendo un migliario di euri per affiggere alcuni manifesti per ogni provincia, evitando così una probabile affannosa ricerca di attenzione presso i media i quali, in ampia parte, mostrano grande interesse per ben altri fatti e circostanze. Considerero naturale, oltrechè lecito, un tale approccio diretto di sensibilizzazione.

Postato da Rouge il 16/02/2011 14:09

Il vicepresidente del CSM compie una analisi estremamente corretta, dimostra equilibrio e senso dello stato, Cosa che a mio avviso manca completamente al presidente del consiglio. Alcuni passaggi mi hanno particolarmente e favorevolmente colpito, quando ricorda le parole del Papa: "la crisi dell’etica pubblica è conseguenza della crisi dell’etica privata" e «Chi non è d’accordo sul fatto che il processo debba essere breve? L’importante è che il processo diventi più breve rimanendo un processo, perché se per farlo breve lo rendiamo monco del suo sbocco naturale, che è la decisione, allora semplicemente non abbiamo più il processo. Se applicassimo alla sanità i principi del testo all’esame della Camera, sarebbe come pretendere di fissare un tempo massimo di ricovero perché il malato guarisca, trascorso il quale, se non è guarito, andrebbe soppresso». Credo che di fronte a comportamenti come quelli tenuti dal presidente del consiglio, non servono sentenze da parte dei giudici, non ci serve sapere se ha commesso dei reati, ne tantomeno quello che ci stanno propinando per risolvere i suoi problemi giudiziari con il cosidetto processo breve, per queste imputazioni la giustizia farà il suo corso, quello che noi SICURAMENTE SERVE E SAPPIAMO è che come persona ha tenuto tali e tanti comportamenti inqualificabili sia sotto l'aspetto etico che morale. Dobbiamo chiedere con forza che persone come questa NON POSSONO RICOPRIRE INCARICHI PUBBLICI, figuriamoci quello di presidente del consiglio.

Postato da cattolico il 14/02/2011 12:12

Cito Vittorio Alfieri "...Tirannide indistintamente appellare si deve ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzione delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto eluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono o tristo, uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammetta, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo"»

Postato da GP il 14/02/2011 11:37

Mi permetto di dire che Vietti ha centrato il problema. Ma ora bisogna passare dalle parole ai fatti. Rispetto a chi mi ha preceduto nei commenti, vorrei partire dalla gestione della giustizia ordinaria: la giustizia civile ha tempi lunghissimi e ciò è intollerabile. La mia esperienza personale mi dice che la durata derivi principalmente dai magistrati che hanno una produttività bassissima: lavorano pochissimo (dico questo nonostante mi è stata data ragione nell'unico caso in cui sono stato coivolto). Un saluto

Postato da Libero Leo il 13/02/2011 10:07

Molti complimenti ad Alberto Chiara per l’intervista a Vietti. Peccato che non abbia colto l’occasione per fare alcune domande un po’ meno scontate. Ad esempio: 1) Cosa pensa dei reati consistenti nella divulgazione di notizie coperte da segreto istruttorio, che non vengono quasi mai né inquisiti né condannati? Il CSM come pensa di porvi rimedio? 2) Ritiene che sia essenziale che un magistrato non solo sia imparziale, ma anche che appaia imparziale? 3) Appaiono imparziali i magistrati che manifestano le loro idee politiche e poi si trovano a dover giudicare politici che hanno idee politiche opposte alle loro? 4) Cosa pensa dei PM che ordinano la perquisizione anche corporale di una donna non inquisita (costringendola a denudarsi completamente) semplicemente perché ha pubblicato notizie vere che forse hanno dato fastidio a un altro PM? 5) Cosa pensa dell’abnorme numero di intercettazioni telefoniche (l’Italia forse ne detiene il record mondiale), che creano un diffuso timore di essere intercettati, visto che sono state pubblicate molte intercettazioni di persone non inquisite? 6) Ritiene che dia adeguate garanzie all’imputato il fatto che PM e giudice siano colleghi d’ufficio? 7) Quali indagini e filtri vengono attuati per evitare che un malavitoso (o parente di malavitosi), vincendo il concorso per entrare in magistratura, diventi magistrato? 8) Ritiene giusto che i magistrati non ‘paghino’ quasi mai per gli errori che commettono?

Postato da Federico Krauss il 12/02/2011 21:55

Vietti è un galantuomo, è una fortuna per l'Italia avere una personalità di tale livello al CSM. E' invece vergognoso constatare che il BESTEMMIATORE gridi ai 4 venti di essere stato assolto in tutti i processi che lo hanno visto indagato. La PRESCRIZIONE che gli ha consentito di salvarsi è stata raggiunta solo ed esclusivamente grazie alla poltrona di presidente del consiglio al quale è aggrappato con i pochi denti che gli rimangono. Chi di voi non ricorda le leggi vergogna per depenalizzare TUTTI i reati che lo vedevano imputato per reati finanziari come il falso in bilancio? E la legge per la successione? E l'INDULTO? E le leggi ad personam sulle TV e la negazione delle frequenze a chi ne doveva per legge godere? E i lodi vari ed eventuali, e le leggi per le intecettazioni (....ora sappiamo TUTTO quello che vigliaccamente si voleva nascondere, che squallore)? E la legge sul processo breve? ....è breve e non si celebra, i tempi si allungano e si va in prescrizione, questa è ricerca immonda, viscida, meschina di IMPUNITA'!!! Non è tollerabile, la Democrazia ha regole e leggi che non si deono più calpestare. Per fortuna come VIetti anche il VERO Presidente Napolitano ha espresso chiaramente l'iter di questa farsa: o i loquaci energumeni smettono di strillare come ossessi in modo ingiustificato e dannoso per l'immagine dell'Italia o si va a VOTARE! E lì l'animo di noi cattolici avrà finalmente modo di scuotersi da un torpore che ci attanaglia da troppo tempo. E' ora che il signor B. si vada a far processare.

Postato da rebarbaro il 12/02/2011 16:03

Giovanni Falcone, già nel maggio 1990, avvertiva: “Il CSM è diventato, anziché organo di autogoverno e garante dell’autonomia della Magistratura, una struttura da cui il Magistrato si deve guardare…, le correnti trasformate in cinghia di trasmissione della lotta politica”. Ma l’osservazione di Falcone doveva spingere i propri effetti oltre ogni immaginazione per la scoperta della possibilità di esercitare un potere senza limiti supportato dalla stampa e dall’opinione pubblica giustizialista.

Postato da RT57 il 11/02/2011 21:57

Ottimo articolo e parole molto misurate da parte dell'on. Vietti che dimostra di ben svolgere il ruole che egli ricopre da poco tempo. Tutte le istituzioni e le persone che si trovano a ricoprire incarichi molto importanti dovrebbero dimostrare equilibrio e correttezza istituzionale senza mai lasciarsi andare a deliri che invece vanno molto di moda nei ministri ormai degradati a fare i servi del padrone. Putroppo la realtà dimostra che le legge non è uguale per tutti e come ha detto chiaramente il presidente di RCS Mieli gli ultimi anni hanno dimostrato che chi ha soldi può sfuggire completamente alla legge: con ricorsi, i 3 livelli di giustizia e le prescrizioni di ogni tipo, chi ha fatto cose gravi alla fine rimane impunito. Berlusconi è l'esempio vivente di questo. Se poi ricordiamo le leggi su misura che sono da un decennio l'attività principale del parlamento non vedo che si possa affermare che i cittadini sono tutti uguali di fronte alla legge.

Postato da giorgiosavoia il 11/02/2011 17:10

Sono d'accordissimo con quanto sostenuto da Vietti. Ma quando l'U.D.C. sosteneva il governo Berlusconi, non ha votato tutte le leggi ad personam a favore di Berlusconi?
Giorgio Savoia

Postato da Andrea Annibale il 11/02/2011 14:20

Buongiorno, il principio di eguaglianza formale di fronte alla Legge, di importazione francese, subisce di fatto già importanti deroghe nel nostro Ordinamento. Basti fare un esempio. Si pensi alla vicenda del pentito Felice Maniero. Grazie alla legge sul pentitismo, ha ottenuto un forte sconto sulla pena a fronte del contributo dato allo smantellamento della relativa rete criminale. Si dirà che è un caso in cui situazioni dissimili vengono trattate in modo diverso in applicazione dello stesso principio di eguaglianza per giustificare la coerenza apparente del sistema giuridico ma si tratta a ben vedere di un artifizio. In altri termini, il principio di eguaglianza è, in parte, una semplice declamazione dei giurisperiti, cioè un’affermazione cui non corrisponde una effettiva realtà giuridica. Questo perché il principio di eguaglianza (parlo del principio di uguaglianza formale, non di quello di uguaglianza sociale ed economica che invece è sacrosanto), rappresenta filosoficamente un assurdo figlio della peggiore tradizione illuminista. Dal caso Berlusconi si può uscire solo in due modi. O sterilizzando completamente il suo potere reale, pur lasciandolo formalmente in carica con un passaggio soft di potere allo staff berlusconiano che sta attorno a lui. Oppure, offrendogli – de iure condendo – la possibilità di avere l’immunità penale chiedendo qualcosa in cambio, ad esempio, di non ricandidarsi come Premier o, addirittura, di ritirarsi a vita privata. E’ al momento più probabile, la prima strada, anzi si sta purtroppo verificando, con una paralisi del potere decisionale dell’Esecutivo da cui qualcuno dovrebbe spiegare come si può uscire. L’esempio fatto dall’Onorevole Vietti, cui va la mia somma stima e simpatia (sono iscritto all’UDC) ridicolizza giustamente con un esempio tratto dalla medicina l’idea stessa del processo breve e mostra come dietro questa idea c’è una mente politicamente malata e delirante, se non allo stesso tempo disonesta. Ciao.

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