Referendum, istruzioni per l'uso

Acqua pubblica, centrali nucleari e legittimo impedimento: sono questi gli argomenti che verranno sottoposti al giudizio degli italiani il 12 e 13 giugno. VIDEO

Primo quesito: stop alla privatizzazione del servizio idrico

10/06/2011

Riguarda la modalità di affidamento della gestione dell’ acqua potabile che per legge deve avvenire tramite una gara pubblica, cui possono aderire i privati.

Acqua pubblica o acqua privata? Posta in questi termini, la questione si chiarisce da sola: un bene così essenziale per la vita non può avere un proprietario. E in effetti, nel nostro ordinamento ci sono almeno due articoli di legge (art. 822 del Codice civile e art. 1 della Legge Galli) che fissano, in modo inequivocabile, il principio che «le acque superficiali e sotterranee sono pubbliche e costituiscono una risorsa che è salvaguardata e utilizzata secondo criteri di solidarietà».

Ma allora perché un vasto movimento composto da associazioni laiche e cattoliche, per non parlare della Rete interdiocesana nuovi stili di vita e dell’impegno diretto delle parrocchie, ha sostenuto il referendum contro la “privatizzazione dell’acqua”? Perché il 31 dicembre scattano gli effetti del Decreto Ronchi: le società per azioni pubbliche che gestiscono i nostri acquedotti saranno privatizzate. Per i promotori e i sostenitori del referendum il servizio idrico privato equivale tout court alla privatizzazione dell’acqua. Eppure, in questi ultimi anni, in Italia il servizio idrico è stato aperto al mercato, ma era una facoltà non un obbligo. Grandi gruppi stranieri, francesi soprattutto, sono quindi già presenti nel nostro Paese e incassano le nostre bollette e il 7% di remunerazione del capitale.

La novità introdotta dal Decreto Ronchi si chiama obbligo per i Comuni di cedere almeno una quota del 40 per cento ai privati. In gioco ci sono grandi interessi: 64 miliardi di euro da riversare sulle reti idriche in 30 anni, dieci volte l’investimento richiesto per costruire il ponte sullo Stretto. La vittoria del Sì non risolve, però, i problemi di un Paese che fa acqua da tutte le parti. Il Sì avrebbe l’effetto di rilanciare il dibattito e il confronto politico. Spetterà poi al Parlamento discutere una nuova legge per disciplinare la materia, allontanando gli speculatori da un servizio pubblico essenziale come l’acqua.


Perché SI


Per impedire che il servizio idrico sia affidato al mercato ed evitare il rincaro delle tariffe. «Una volta vinta la gara e ottenuta la gestione del servizio per trent’anni, i privati si rivolgeranno alle banche oppure faranno ricorso ai mercati finanziari per poter investire. Nel primo caso caricheranno sulla tariffa il costo degli interessi bancari, nel secondo la remunerazione degli investitori, oltre il guadagno per il rischio imprenditoriale», spiega Rosario Lembo, presidente del Comitato italiano per un contratto mondiale sull’acqua. «Conti alla mano, le tariffe aumenteranno almeno del 50%, con trend crescenti negli anni, come è già avvenuto nelle città italiane ed europee che hanno affidato ai privati il servizio idrico».

Con la privatizzazione verrà meno anche la politica di riduzione dei consumi e degli sprechi: trattandosi di un bene sempre più prezioso, l’acqua si trasformerà in merce, soggetta come qualunque altra alla logica del “più consumi, più guadagno”. «Il gestore non avrà alcun interesse a raccomandare l’uso razionale della risorsa, ma al contrario adotterà politiche finalizzate a garantire la redditività del capitale investito per gli azionisti».

Almeno per i primi anni, la corsa al fatturato farà riporre nel cassetto gli investimenti per la manutenzione degli impianti o per i controlli di qualità, con il risultato che i servizi scadenti lo saranno sempre di più. «Un gestore privato non avrà mai la stessa accortezza di quello pubblico, perché cercherà soprattutto di realizzare profitti», sottolinea Lembo.



Perché NO


C’è un equivoco: il Decreto Ronchi non prevede la privatizzazione dell’acqua (perché la proprietà delle fonti e delle reti è pubblica), ma una gestione del ciclo idrico integrato (rubinetti, fognature e depurazione) affidata, tramite gara, a imprese disposte a operare con standard qualitativi più alti e a prezzi inferiori. L’acqua come tale, dunque, non diventerebbe privata: la legge prevede solo l’obbligo che la gestione del servizio idrico sia affidata alla libera concorrenza, in modo da realizzare gli obiettivi di efficienza, economicità e qualità.

«Non bisogna parlare di proprietà dell’acqua, ma di idraulici», semplifica Antonio Massarutto, docente di Economia pubblica e Politica economica all’Università di Udine. «Così come ciascuno di noi può decidere se riparare da solo un guasto o richiedere un intervento, allo stesso modo i Comuni dovranno scegliere se creare una struttura di “idraulici” alle proprie dipendenze oppure affidarsi a professionisti esterni.

Alle amministrazioni, dunque, viene chiesto di organizzare una gara d’appalto per affidare la gestione dei servizi idrici, a cui comunque può partecipare anche l’azienda pubblica. «L’ingresso di un privato non determinerebbe l’aumento automatico in bolletta, perché il Piano di ambito territoriale indica gli obblighi del gestore in materia di investimenti, livelli di servizio e tariffe. Al massimo, l’eventuale ritocco sarebbe dovuto a una revisione del Piano per favorire investimenti volti a migliorare il servizio», rassicura Massarutto.

di Giuseppe Altamore e Paola Rinaldi
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Postato da folgore il 13/06/2011 02:42

Metafisico, ti sei dimenticato della centrale nucleare di Krško, tra l'altro a circa 130 Km in linea d'aria dal confine italiano. E si tratta di una centrale che rifornisce sia la Slovenia che la Croazia, e che in futuro potrebbe avere una partecipazione dell'Italia (Regione Friuli Venezia Giulia). E anche la nostra Enel pensate che all'estero non partecipi al nucleare? Ma non è mica in italia e pertanto le radiazioni si fermeranno alla frontiera....

Postato da METAFISICO il 12/06/2011 22:57

Dunque, no alle centrali nucleari in Italia. Benissimo, continuiamo a comprare energia elettrica dalla Francia che ce la vende dopo averla prodotta nelle sue centrali nucleari, a pochi chilometri dal nostro territorio.

Postato da ciro amato il 12/06/2011 10:02

rispondo a c. pacchioni. caro amico, vorrei affermare che sulla normativa commetti un errore. le norme europee, che sono più soft della ns legge italiana, prevedono l'apertura del capitale delle società che gestiscono servizi pubblici locali al privato. la ns legge, appunto l'art. 23 bis,prevede l'obbligo di affidare ai privati il servizio e solo se il mercato non risponde si potrà fare l'in house. questo percorso descritto è obbligato. vi prego di studiare bene la giurisprudenza della corte della ue. in materia di acqua esiste una direttiva del parlamento europeo, la n. 60 del 2000 che dice che cl'acqua è una non merce. l'italia se n' infischiata (legittimamente per diritto lo poteva fare). la corte costituzionale nella sentenza n. 325/10, che è pure oggetto di referendum per come modifica l'art. 23 bis, dice chiaramente che l'in house è una eccezione perchè la regola è il mercato ai privati. ora concordo perfettamente con te che spessissimo le società pubbliche sono dei carrozzoni per le prebende politiche, ma vi sono casi in cui esse funzionano. nella città di milano, come da sole 24 ore del 3 giugno, le tariffe medie sono tra le più basse d'europa e d'italia. per cui ci sono casi di pubblico ok e casi no; così per il privato. io non sono a favore del mito del pubblico (ci lavoro nella pa) e so che spesso non funziona. per cui ogni esperienza va vista nel concreto per quello che è. ma il referendum ha un tema di fondo, purtroppo eccesivamente ideologizzato dal comitato per il si, e di risposta, da quelli del no (anche alcuni movimenti ecclesiali sono caduti nella battaglia ideologica e non di idee). la questione è se l'acqua deve essere oggetto di mercato. tu fai riferimento alle comunicazioni. bene, infatti l'esempio è veramente calzante. lì la concorrenza ha fatto veramente abbassare le tariffe. il problema è se l'acqua deve essere messa a mercato e oggetto di concorrenza. la risposta mia è no e se fosse si anche gli economisti riconoscono che è difficile a farsi il mercato libero e concorrenziale dell'acqua. la questione è veramente complessa e articolata. ma chi ne parla veramente? l'acqua è ora bene pubblico e lo resterà anche dopo il referendum al di là del risultato, ma come sanno gli economisti è un monopolio naturale, cioè comanda chi gestisce non chi ne ha la proprietà (è lo stesso caso dei concessionari delle spiagge). un altro problema è la debolezza dei politici che stanno negli ambiti ottimali di autorità (gli ATO) che non sanno o non vogliono spesso negoziare dei buoni contratti dell'acqua con i gestori privati. vedi, la quesitone ha molte sfaccettature. il referendum deve far riprendere il dibattito politico e non dare per certa una soluzione. aiuta tutto noi a ridiscutere di nuovo. ovviamente abbasso le poltrone dei politici riciclati! a presto

Postato da folgore il 11/06/2011 12:52

@giogo: vedi che le cd. scorie nucleari ci sono comunque, in quanto arrivano anche dalle attività di ricerca e da quelle ospedaliere e industriali. E quelle occorre, in ogni caso, provvedere a porre in sicurezza. E non si tratta di una entità piccola.

Postato da c.pacchioni il 11/06/2011 10:35

Caro Giogo e caro Ciro, anche voi siete caduti nell'inganno. Il referendum sull'acqua si basa su UN FALSO clamoroso. La legge NON OBBLIGA gli enti locali a cedere "il controllo" degli acquedotti ai privati ma, secondo una norma europea, ad "aprire la partecipazione azionaria", che non significa non avere la maggioranza per la gestione. Detto questo, bisogna ricordare due cose: la prima è che il 97 per cento degli acquedotti sono pubblici, alcuni d'eccellenza la maggior parte una schifezza, il mito della mano pubblica è una stupidaggine; la seconda è che si fa un passo indietro sulla strada delle liberalizzazioni, cioè della concorrenza che è quella che conviene SEMPRE ai consumatori. Migliora il servizio e scendono i prezzi. Abbiamo due esempi in casa: la telefonia (vi ricordate i costi e i disservizi quando c'era solo la Telecom?) e da qualche anno, seppur ancora timidamente, gas ed elettricità. Gli italiani non sono ancora abituati, ma anche su gas e luce si può risparmiare migliorando il servizio. Ed è lo stesso scenario previsto per l'acqua. MA VOGLIAMO DIRCELO CHE QUESTA E' UNA BATTAGLIA POLITICA PER SALVARE LE POLTRONE DEI POLITICI NEI CDA DELLE MUNICIPALIZZATE? POLTRONE MOLTO BEN REMUNERATE. Io NON voto

Postato da giogo il 10/06/2011 18:37

La "trappola" sta nel decreto Ronchi (il tentenna) che pone l'obbligatorietà ai comuni di cedere parte della proprietà pubblica ai privati...cose folli, obbligatorietà=prezzo saldi di fine stagione. Ma sto prof.(ogni tanto ne spunta uno) Massarutto, la cosa mi puzza, mi pare un po troppo interessato...non è che magari nel prossimo futuro farà il consulente di qualche bravo gestore privato ?? MA! Per quanto riguarda Di Pietro ier sera ad Anno Zero ha dichiarato di aver commesso un errore di valutazione riguardo al decreto del 96 e si è scusato con gli elettori...ben venga da parte dei politici un riconoscimento dei propri ERRORI...quasi una novità!! Per il nucleare è presto detto le SCORIE (cioè i rifiuti, che ancora NON si è trovato un sito dove mettere quelle di allora)) delle centrali nucleari, un problema ENORME che lasceremo in eredità a centinaia di generazioni future, è bene rammentare che il tempo di dimezzamento delle radiazioni emanate dalle scorie è di 1500 anni circa...parliamo di dimezzamento cioè della metà, per metà della metà altri 1500...e così via...e così sia una FOLLIA !! Per l'altro quesito...mi pare che la legge "dovrebbe" essere uguale per tutti... O NO?? !! buon VOTO a tantissimi

Postato da antonel il 10/06/2011 17:55

Caro Direttore, non so se è questo il posto adatto ma vorrei, a poche ore dal voto, aver la possibilità di spezzare una lancia a favore dell'astensione. Ho visto con molto dispiacere gran parte della Chiesa italiana e la stessa Famiglia Cristiana schierarsi perché gli italiani si rechino alle urne a "fare il loro dovere" come ha improvvidamente dichiarato lo stesso presidente Napolitano, non accorgendosi del grave vulnus costituzionale che una frase del genere provoca. L'articolo 75 della Costituzione prevede espressamente il "quorum" come una delle tre opzioni offerte SOLO PER I REFERENDUM ABROGATIVI. Infatti, per quelli confermativi (riforme della Costituzione) il quorum non è previsto. L'astensione ha un suo alto valore civico: significa che il cittadino su certe materie non vuole né abrogare né approvare, ma lasciare libertà al Parlamento (siamo una democrazia rappresentativa o no?) di muoversi secondo opportunità e coscienza. Come Lei certo sa, la vittoria dei "sì" o dei "no", più che legittima, ha l'effetto di "blindare" in un senso o nell'altro per cinque anni la decisione. Mi sembra che buttare nel cestino il tema delle liberalizzazioni (caro anche al Governo Prodi) e affossare per sempre il nucleare siano scelte irresponsabili, ma questa è la mia opinione. Che esprimerò, ESERCITANDO UN MIO DIRITTO COSTITUZIONALE, con l'astensione. Mi permetto, caro Direttore, di ricordarle che in occasione del referendum sulla fecondazione assistita questa scelta fu fatta molto responsabilmente anche dal mondo cattolico. Vogliamo dirlo con chiarezza? Le sarei grato se non cestinasse questo mio intervento. Non mi sembrerebbe giusto.

Risposta di: Fulvio Scaglione (vicedirettore FC)

Cara Antonel,

sulla perfetta legittimità dell'astensione in caso di referendum abrogativo, per quel che vale il mio parere, posso dire che la penso esattamente come Lei. Poi, certo, andrò a votare.
Saluti

Postato da ciro amato il 10/06/2011 15:56

vorrei rispondere al prof massarutto e precisare alcune questioni inerenti i referendum sull'acqua. il decreto ronchi ha previsto, in difformità dall'ordinamento comunitario, che ogni servizio pubblico, non solo l'acqua ma anche l'illuminazione votiva, i campi sportivi, i parcheggi, lo scuolabus debbe (e non possa) essere affidato al privato, prima di decidere se il comune possa gestirlo in casa (in house, si dice). le norme comunitarie non dicono questo e neanche la corte europea. è il ns paese che è andato dirtto verso la necessaia privatizzazione di ogni servizio pubblico. il prof parla di idraulici, ma la situazione è, in diritto, molto diversa. i comuni non possono gestire in house l'acqua: 1 perchè l'autorità della concorrenza non si esprime mai favorevolmente (il parere suo è obbligatorio). 2. perchè per come è scritto l'art. 23 bis è impossibile, con le multinazionali, impedire la mano lunga di queste sul "mercato dell'acqua". la questione è di principio: l'acqua è una risorsa comune e va sottratta al mercato. infine. il prof. massarutto è un economista e sa che quello dell'acqua è un monopolio naturale cioè i cittadini non possono scegliersi l'erogatore. cioè non si può creare vera concorrenza; perciò le tariffe sono alte e non possono e non potranno scendere. inoltre il prof tace che il privato prende per sè un compenso del 7% sul capitale investito e molti che sostengono il "no" hanno seriamente riconosciuto che la perecentuale è troppo alta. sinceramente tra le due opzioni ideologiche, acqua publbica e acqua privata, preferisco ciò che dice la dottrina sociale della Chiesa e ciò che eiri ha affermato il Santo Padre: gestione responsabile dei beni comuni e vera ecologia umana. il resto è chiacchiera ideologica ed interessata. ma il dibatitto è lungo.....

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