Così il nostro Paese regala i suoi giovani

03/05/2013

Immagina, puoi. Lo dice George Clooney in uno spot molto diffuso in Tv. Ecco, allora immaginiamo un uomo o una donna che un giorno decide di fare a meno dei sogni, un altro della speranza, un terzo dell’ambizione, il quarto del futuro. Che cosa potrebbe fare, quella persona? Che vita avrebbe? Non sarebbe un ben triste destino, il suo? Ma questo è proprio ciò che accade alla nostra società, che è un corpo vivo non meno di una persona fisica e che giorno dopo giorno rinuncia al proprio futuro. Nella quasi indifferenza generale, e soprattutto in quella delle cosiddette “autorità costituite”, essa regala ad altri speranze e futuro permettendo che decine di migliaia di giovani tra i 20 e i 40 anni, in gran parte culturalmente e professionalmente già formati, lascino l’Italia e vadano a studiare o lavorare all’estero, in Paesi che sono ben felici di accoglierli. Nel solo 2012, se ne sono andati 36.365 giovani tra i 20 e i 40 anni, pari al 45 per cento di tutti gli italiani che nell’anno si sono trasferiti all’estero.

In quella fascia d’età, gli emigrati sono aumentati del 25 per cento in soli dodici mesi. Chi ama la canzone napoletana ricorderà questi versi: «Partono i bastimenti / per terre assai lontane». Era l’Italia dell’emigrazione povera tra fine Ottocento e primi decenni del Novecento. Oggi non è più così. Emigrano ragazzi diplomati e laureati, oppure in cerca di lavori non necessariamente umili, e non vanno lontano, anzi: si accontentano di girare l’angolo, certi di trovare comunque opportunità maggiori di quelle offerte dal nostro e loro Paese. Approdano soprattutto in Germania (che nel solo 2012, informa l’Albo degli italiani residenti all’estero, ha accolto quasi 11 mila nostri connazionali), per salire a bordo della potente locomotiva economica ma pure per approfittare di un Paese con regole precise e funzionanti.

Ma anche in Francia, Svizzera, Gran Bretagna, Belgio. Persino in Spagna! Ci sono i sempiterni Stati Uniti, superati però, almeno nei numeri, anche dall’Argentina. E naturalmente, i Paesi emergenti come il Brasile e l’Australia. In queste pagine abbiamo raccolto alcune storie esemplari, una pattuglia di giovani che ben rappresenta lo stillicidio di energie positive, ormai diventato ruscello, cui l’Italia si espone senza reagire. Eppure non sarebbe impossibile trattenere quelli come loro. Se il Governo Letta appena insediato fosse a corto d’idee o impossibilitato ad andare a cercare i giovani emigrati come abbiamo fatto noi, gli basterebbe aprire un computer e consultare le “proposte per il futuro” del movimento Io voglio restare (www.vogliorestare.it).

Niente di sconvolgente, molto normale ma prezioso buonsenso. Protezione della maternità e della paternità, da dichiarare “diritti universali, a prescindere dalle forme contrattuali”; più fondi per lo studio e per la ricerca (dove invece, negli ultimi anni, si è tagliato a più non posso); riduzione delle “irregolarità contrattuali” e del finto lavoro autonomo; un piano per l’occupazione giovanile; diritto alla casa. Provvedimenti che costano, ovviamente. Ma tutto costa: anche la cassa integrazione di massa, la politica, l’evasione fiscale, il dissesto del territorio e le barriere burocratiche all’iniziativa economica costano, e molto. Proprio a questo, però, serve una classe dirigente che si possa chiamare tale: a decidere per che cosa impegnarsi. E il futuro delle persone e del Paese non è poca cosa.

                                                                                                                  Fulvio Scaglione

a cura di Laura Ferriccioli e Pino Pignatta
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Postato da DOR1955 il 03/05/2013 15:53

Egregio Dr. Scaglione, di sicuro uno degli effetti della crisi politico-sociale-economica dell’Italia, causata anche da una classe politica-dirigenziale che definire insipiente (certificata da loro stessi per la stoltezza con cui battevano le mani al Presidente Napolitano mentre questi gli stava redarguendo fino all’accusa) è quasi un “elogio”, è la così detta “fuga dei cervelli”. Ma, come indicato nel suo articolo, chi decide di emigrare non necessariamente è sempre plurilaureato ma molto più frequentemente sono normalissime persone, più o meno giovani “esseri umani pensanti” (che richiama Cartesio e la sua celebre “cogito ergo sum”). Sono esseri umani pensanti (e in positivo) visto che hanno ben capito che questo Paese offre e offrirà loro pochissime possibilità, non solo di un lavoro commisurato alle loro capacità tante volte confermate da meritate Lauree-Master-Specializzazioni-Tirocinei, ma anche un qualsiasi lavoro “dignitoso e normale”, concetto comunque valido per tutti, il quale possa permettere di pensare con un minimo di fiducia al futuro, a una famiglia, a una abitazione. Non volendo e potendo, anche per mancanza di un numero consistente di riscontri diretti indicare alcuni dei motivi per cui la decisione di lasciare l’Italia spinge molti a farlo, voglio però qui evidenziare uno degli aspetti meno noto ai più e quasi sempre trascurato, a torto, dai media e strettamente legato a questo fenomeno di fuga dall’Italia. Mi riferisco all’enorme valore “immateriale” che viene tranquillamente e gratuitamente “regalato” alle Aziende estere costituito dai Brevetti, di qualsivoglia tipo essi siano; valore “immateriale” che però si traduce in valore economico molto rilevante a livello mondiale e che, “da gran furbi”, noi italiani paghiamo “due volte”. Lo paghiamo “due volte” in quanto, come Stato, dapprima abbiamo sostenuto il costo degli studi di queste persone che poi emigrano e poi, visto che lo sfruttamento economico dei loro Brevetti è a vantaggio di Aziende estere, lo paghiamo comperando il “frutto del loro ingegno” sotto forma di prodotti di varia matura. Per chi volesse “dilettarsi” a fare la verifica di quanto affermo basta andare via Internet in alcune banche dati dei Brevetti a livello mondiale, fra le quali cito EPO (European Patent Office) e WIPO (World Intellectual Property Organization) e constatare, purtroppo, che a fronte di migliaia di inventori italiani (titolari della cosiddetta proprietà intellettuale) la proprietà vera, quella materiale, quella che permette di trarre il maggior vantaggio economico dalla sfruttamento di una idea, nella maggioranza dei casi è di Aziende non italiane in quanto, o si sono acquistate il Brevetto dall’inventore italiano, o tale Brevetto è di loro proprietà in quanto l’inventore lavora presso l’Azienda stessa. E la prova provata della scarsa o nulla lungimiranza di chi dovrebbe tutelare al massimo la ricerca e lo sviluppo in Italia la posso provare direttamente in quanto, anche se non più giovanissimo e plurilaureato, nel 2012 ho depositato due domande di Brevetto per invenzione industriale. In attesa che arrivasse il Rapporto di Ricerca da parte di EPO che certificasse la Brevettabilità dei trovati (uno è arrivato con esito completamente positivo, mentre il secondo dovrebbe arrivare a giorni dato che è stato depositato un mese dopo) ho preso contatto, per ottenere una qualche forma di sostegno economico per quanto avevo intrapreso, con vari Enti nazionali e regionali i quali hanno come finalità anche il finanziamento della ricerca nonché il sostegno ai Brevetti e mi sono sentito rispondere, più o meno, di fare tutte le pratiche burocratiche necessarie nonché gli eventuali test e calcoli (necessari in quanto trattasi di prodotti immettibili sul mercato dopo omologazione-certificazione) e poi chiedere il finanziamento. Ma ci sono o ci fanno; se ho la disponibilità economica per arrangiarmi mica vengo a chiedere finanziamenti. Sta’ di fatto che adesso depositerò il primo PCT (Patent Cooperation Treaty) in modo da estendere la Brevettabilità in tutto il mondo e subito dopo comincerò a offrire “l’idea” a una Azienda estera disponibile a sfruttarne la potenzialità. Questo potrebbe significare che fra un po’ di tempo chi avrà bisogno di quel determinato prodotto lo dovrà acquistare da questa Azienda estera o pagare alla stessa delle royalties per poterlo produrre in Italia. E con questo penso di aver fatto capire la lungimiranza delle nostre classi politiche-dirigenti. PS: Se dovessi accordarmi per la cessione e/o sfruttamento di uno o entrambi i Brevetti con una Azienda estera io “seguirò” il/i mio/miei Brevetto/i così le tasse (oltretutto molto ma molto più basse che in Italia) le pagherò nel Paese dove “emigrerò”. Senza rimpianti!

Postato da germano turin il 02/05/2013 11:26

Niente di nuovo sotto il sole, quindi anche il lavoro è soggetto al mercato della domanda e dell'offerta. Come dire che qui in Italia ci sono oggi delle scuole eccellenti per formare i ragazzi... che vanno a lavorare all'estero. Quindi, in tanti Paesi del mondo, apprezzano e richiedono il "sapere" che viene insegnato (ma non viene apprezzato) nelle scuole italiane. Abbiamo quindi due opportunità: 1 - Tassare "l'esportazione dei cervelli" che onerosamente formiamo in Italia e poi vengono opportunamente e vantaggiosamente utilizzati all'estero; 2 Modificare profondamente la scuola italiana e metterla in condizione d'insegnare ai ragazzi quanto serve loro per trovare un lavoro dopo che hanno finito di studiare. Subito. Oggi. In Italia. Non vedo altre strade percorribili...

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